Muore suicida il grande regista Mario Monicelli - Foto Locandine Film e Video Ricordo

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    Mario Monicelli è morto suicida

    lunedì 29 novembre 2010

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    Mario Monicelli - Locandine e film
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    Lo annunciano sobriamente Fabio Fazio e Roberto Saviano in diretta in studio a Vieni via con me.


    Mario Monicelli è morto. Il regista si è suicidato. Era ricoverato al San Giovanni di Roma per un tumore alla prostata, e si è lanciato dal quarto o quinto piano dell’ospedale. Muore dunque uno dei più grandi (e longevi) registi della storia del cinema italiano, come il padre, anch’egli suicida nel 1946.


    Spesso Monicelli aveva ironizzato sulla sua morte, chiedendosi quando sarebbe venuto il suo momento.
    Oggi ha scelto lui.


    E non c’è molto altro da aggiungere, se non un applauso per la straordinaria carriera di questo grande regista che ci lascia.


    Mario Monicelli - Locandine e film
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    29/11/2010



    Mario Monicelli si è suicidato


    Roma, volo dal 5° piano dell'ospedale



    Il regista Mario Monicelli si è ucciso lanciandosi dal quinto piano del reparto di urologia dell'ospedale San Giovanni di Roma, dove era ricoverato. Lo rendono noto fonti sanitarie. Il regista aveva un tumore alla prostata. Anche suo padre Tomaso, noto scrittore e giornalista, si era tolto la vita nel 1946. Monicelli diresse oltre sessanta film. Fra i suoi grandi successi, "Guardie e ladri", "I soliti ignoti", "La Grande guerra".

    Monicelli


    Nato, il 15 maggio del 1915 a Viareggio, figlio del critico teatrale e giornalista Tommaso, dopo la laurea in storia e filosofia a Pisa Mario Monicelli, esordisce nel cinema nel 1932 con il corto, firmato insieme ad Alberto Mondadori, Cuore rivelatore. E' considerato il padre - con colleghi come Dino Risi, Luigi Comencini e Steno - della commedia all'italiana. Fra i suoi grandi successi, "Guardie e ladri" (due premi a Cannes nel '51), nel pieno del suo sodalizio con Totò; "I soliti ignoti" (nomination all'Oscar), "La Grande guerra" (1959) trionfatore a Venezia con il Leone d'oro; "L'armata Brancaleone" (1965). Sono gli anni dell'amicizia con Risi, degli scontri con Antonioni, del controverso rapporto con Comencini, del trionfo della commedia all'italiana e dei 'colonnelli della risata'.

    Inventa Monica Vitti attrice comica in "La ragazza con la pistola" (1968); nel 1975 raccoglie l'ultima volontà di Pietro Germi che gli affida la realizzazione di "Amici miei". Nel 1977 recupera la dimensione tragica con "Un borghese piccolo piccolo". Seguono fra gli altri "Speriamo che sia femmina" (1985) e il feroce "Parenti serpenti" (1993) con cui dimostra di saper leggere le trasformazioni della società italiana con l'acume e la cattiveria di sempre. E' del 2006 il tanto desiderato ritorno sul set di un film, rallentato da ritardi e difficoltà produttive, con "Le rose del deserto", liberamente ispirato a "Il deserto della Libia" di Mario Tobino e a "Guerra d'Albania" di Giancarlo Fusco.




    www.tgcom.mediaset.it/
     
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    30/11/2010

    Niente funerale per Mario Monicelli


    Carlo Verdone: "Era molto depresso"



    Niente funerale per Mario Monicelli, morto suicida nell'ospedale San Giovanni di Roma. Il nipote Niccolò ha spiegato che Monicelli sarà portato a Monti alle 10, il rione di Roma in cui viveva, per un ultimo saluto. Poi alla Casa del cinema e giovedì la cremazione. "Era molto depresso - racconta Verdone al Corriere della Sera - Forse non sopportava più la vecchiaia". Intanto la procura di Roma ha aperto un fascicolo per fare luce sul suicidio.



    Il magistrato di turno ha compiuto, in nottata, un sopralluogo nel reparto di Urologia dell'ospedale San Giovanni. "Atti relativi a", formula utilizzata per i procedimenti privi di ipotesi di reato, è l'intestazione del fascicolo.

    "Mi sento solo, depresso, abbandonato". Questo avrebbe confidato Mario Monicelli ad uno dei sanitari che lo aveva in cura. Secondo quanto si apprende il regista sarebbe arrivato l'altro ieri all'ospedale San Giovanni da solo proprio per sottoporsi alla terapia. Ma era già arrivato, si apprende, "profondamente depresso e sconfortato".

    Intanto il nipote del regista ha anche precisato che la salma di Monicelli sarà cremata "in forma privata alla presenza della sola famiglia che non ritiene necessario fare un funerale" ha aggiunto, sottolineando che tutto verrà fatto "nel rispetto della volontà di Mario Monicelli e di tutti i familiari".

    "Non è una tragica fine, è un uomo che ha vissuto - ha continuato Niccolò Monicelli -. Mi sembra che di messaggi ne abbia lasciati tanti, ricordatelo con i suoi film". Alla camera mortuaria erano presenti l'ultima compagna, Chiara Rapaccini, e le tre figlie.

    La moglie Chiara: "L'ospedale lo ha aiutato moltissimo"
    "L'ospedale San Giovanni ha aiutato mio marito nel suo ultimo anno di vita come forse mai nessun altro". Lo dice la moglie Chiara Rapaccini. Mentre glissa sulle sue proteste per il fatto che il corpo del regista sia stato lasciato a lungo, coperto da un telo, sotto la pioggia, in attesa del medico legale: "Questo è un altro discorso. "Voglio dire soltanto che io, la moglie Chiara Rapaccini, e tutta la famiglia Monicelli, vogliamo ringraziare chi ha fatto la cosa più straordinaria ed ha aiutato Mario nell'ultimo anno: sono stati vigili, attenti e meravigliosi. Ringraziamo tutti il reparto di urologia due del l'Ospedale San Giovanni di Roma e il suo direttore Gianluca d'Elia, per l'assistenza affettuosa recata a Mario Monicelli per gli ultimi tre anni della sua vita e soprattutto nell'ultimo periodo, fino all'ultimo giorno. Chi dice - aggiunge all'Ansa - che io abbia affermato il contrario sta ledendo la dignita' dell'intero ospedale. E' terribile che mi venga attribuita una tale affermazione, quindi l'unica cosa che vorrei ora e' salvare la dignita' dell'ospedale che lo ha aiutato moltissimo".

    A Viareggio lutto cittadino
    Il Comune di Viareggio ha proclamato il lutto cittadino per la morte di Mario Monicelli. Il sindaco Luca Lunardini, ha precisato l'amministrazione comunale all'AdnKronos, ha disposto le bandiere a mezz'asta in tutti gli edifici pubblici in segno di omaggio al regista nato a Viareggio il 16 maggio 1915. "Perdiamo un illustre concittadino, piangiamo la sua scomparsa", ha detto Lunardini. Il sindaco ha annunciato anche un imminente Consiglio comunale straordinario dedicato interamente al ricordo di Mario Monicelli.

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    La polizia ritrova il cadavere





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    30/11/2010

    Monicelli, la bontà del cinismo


    Una carriera lunga oltre 70 anni




    "Bischerate", avrebbe detto, tutte bischerate quei titoloni che in queste ore stanno celebrando il suo addio a questa terra. Mario Monicelli era fatto così, amava poco parlare, e bene, di quello che aveva fatto. Non era uno di quelli che si gonfiava il petto con le glorie passate e presenti. Era un uomo di fatti e di poche parole, e quando apriva bocca detestava farlo per il gusto di dire semplicemente qualcosa. Ripeteva che alla sua età non gli faceva paura la morte, ma temeva solo non poter più avere la forza di lavorare. E forse per questo ha deciso lui quand'era il momento di andarsene.

    Monicelli


    Ma le parole servono, eccome, adesso, per salutare uno dei più completi uomini di cinema che in oltre settant'anni di carriera (la sua prima regia è del 1937) è riuscito a raccontare il nostro Paese come pochi. Inventore della commedia all'italiana (pietra miliare "I soliti ignoti", anno 1958), "figlia" della grande stagione del neorealismo, Monicelli ha saputo cogliere, con grande umanità, tagliente ironia e una buona dose di cinismo, la quotidianità, senza cadere in inutili buonismi.


    Dicono fosse cattivello, che non risparmiasse nessuno, uno di quelli che le cose le diceva in faccia. "Toscanaccio", diremmo con un aggettivo abusato (era viareggino, per la cronaca). Italianissimo, in realtà, al di là dei confini regionali. Certo, se pensiamo ad "Amici miei", alle zingarate e alle supercazzole, in quel film c'è riversata tutta la sua anima toscana, che si specchia nella goliardia dei cinque protagonisti, ai quali fa rivivere molti scherzi fatti in gioventù.

    Ma Monicelli va oltre, la sua è una commedia "nazionale" ad ampio respiro, che segue una narrazione a tutto tondo, studia la società e la racconta servendosi dell'ironia dietro la quale si cela spesso un retrogusto amaro. Del resto, cos'è il comico se non il tragico visto di spalle?
    Con una settantina di film all'attivo, ha diretto, tra gli altri, Totò, Mastroianni, Gassman, Sordi, Tognazzi, De Sica, Volontè. E ancora Magnani, Loren, Vitti, Cardinale, Muti, Sandrelli. E li ha diretti in storie semplici, popolari, immediate, che riuscivano a lasciare qualcosa, oltre a una sana risata.


    Proprio la ricerca della semplicità era la sfida che affrontava in ogni suo film: scrivere storie per tutti, in cui tutti potessero trovare qualcosa, senza perdersi in labirinti di trame complesse e disarmoniche. "Guardie e ladri", "La grande guerra", "L'armata Brancaleone", "Romanzo popolare", "Un borghese piccolo piccolo", "Il marchese del Grillo" e "Speriamo che sia femmina", oltre a "I soliti ignoti" e ai due "Amici miei", sono quei film che non ci si stanca mai di guardare, dove amori, amicizie, virtù e miserie umane vengono rappresentati così come li viviamo o potremmo viverli ogni giorno.
    La vita è il grande palcoscenico dove Monicelli ha mosso i suoi personaggi, con un occhio di riguardo nei confronti dei perdenti. Banale a dirsi, più difficile a realizzarsi senza, appunto, cadere nel banale.Perozzi, Mascetti, Melandri, Necchi, Sassaroli, e ancora Ferribbotte e Capannelle, Brancaleone e il Marchese del Grillo, sono diventati vere icone pop, fonti di inesauribili citazioni che fanno sempre il loro effetto.

    In questi ultimi anni il regista viareggino non si è fermato. Continuava a lavorare, ha diretto l'ultimo film quattro anni fa, aveva altri progetti e, nelle sue ultime uscite, non aveva perso la sua vis polemica, scagliandosi contro un Paese che non fa abbastanza per il cinema e la cultura, sperando addirittura in una rivoluzione. Una provocazione, ma fino a un certo punto.  Instancabile, è arrivato all'estremo sacrificio, pur di non vivere diversamente da come aveva fatto in questi 95 anni. Un disperato gesto di libertà che sconvolge ma che, forse, senza voler essere cinici come lui, non sorprende più di tanto.

    Domenico Catagnano






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