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Parole d'amore
di Scott McGehee & David Siegel
Titolo: Parole d'amore (Bee Season)
Regia: Scott McGehee & David Siegel
Sceneggiatura: Naomi Foner
Fotografia: Giles Nuttgens
Interpreti: Richard Gere, Juliette Binoche, Flora Cross, Max Minghella, Kate Bosworth, Corey Fischer, Sam Zuckerman, Joan Mankin, Piers Mackenzie, Lorri Holt, Brian Leonard, Kathy McGraw, John Evans, Alisha Mullally, Olivia Charles, Steven Anthony Jones, Velina Brown, Justin Alioto, Ben Johnson, Sophie Oda, Shawn Smith, Mickey Boxell, Gaayatri Kaundinya
Nazionalità: USA, 2005
Durata: 1h. 44'
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*Anima Ribelle*.
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Parole d'amore
di Scott McGehee & David Siegel
Iris Murdoch amava le parole, le capiva, le assaporava fin dentro la loro essenza più profonda e scriveva libri su di esse. La sua passione per la parola e la perdita di essa è oggetto di un film del 2003, "Iris", con Judi Dench. Non è un gran film, ma in confronto a questo "Parole d'Amore" diventa un capolavoro. Ci sono voluti due registi, Scott McGehee e David Siegel, per firmare una delle opere più melense e stupide del 2005, che nemmeno l'appeal degli attori riesce a risollevare dalle basi esigue, pasticciate e diseguali.
In una classica famiglia americana da serial Tv, la piccolina è una specie di campionessa nelle gare di spelling (ovvero dire lettera per lettera ogni parola). Da che non veniva molto considerata, la bambina si conquista un affetto smisurato del padre, l'astio del fratello, e fa cadere in simil-depressione la madre. Ma la bimba, spinta dal padre, deve concorrere alla gara nazionale di spelling...
La sceneggiatura di questo film parte male e prosegue peggio, visto che tutti gli sforzi di resa drammaturgica vengono strozzati da quell'atmosfera rarefatta da soap-opera che va spesso in moda nelle produzioni hollywoodiane. Non basta l'eleganza formale, una bella fotografia e l'atmosfera creata dalla musica per fare un film decente, apprezzabile anche dalle signore amanti delle belle storie tutte buoni sentimenti e lacrime iper facili. Qui suona tutto molto finto fin dall'inizio, e quello che è peggio, nessuno crederebbe mai né alla bravura della bimba né ai dubbi religiosi esistenziali del padre. Troppo effettistico già nella sceneggiatura per poter essere valido sullo schermo, e troppo caramelloso per poter commuovere nel suo essenzialismo kitsch da supermercato.
Eppure il tema di fondo era giusto: più la bimba va incontro a parole difficili, più la sua famiglia si disgrega. Peccato che la difficoltà delle parole non sia proporzionata alla serie di sciagure che si abbattono su questo gruppo di famiglia in interno. A questo aggiungiamo anche una punta di misticismo posticcio, quello del padre che vede nella bravura della figlia un dono divino, e il quadro è completo.L'unico motivo che può spingere qualcuno a vedere il film sono le performance dei due protagonisti, Richard Gere e Juliette Binoche. Peccato che la robusta esperienza di entrambi si sfrangi in maniera misera con l'inconsistenza psicologica dei personaggi, complessi sì, ma resi malissimo. E Gere alle prese con le parole mistiche di Dio, più che fascinoso appare ridicolo, mentre la Binoche in passato ha fatto di molto meglio.
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