AIDO

Associazione Italiana per la Donazione di Organi e Tessuti

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  1. *Anima Ribelle*
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    - 1 9 7 3 -
    L’Associazione Italiana Donatori Organi nasce a Bergamo il 26 febbraio 1973. Bisogna comunque ricordare che il primo gruppo di donatori di organi a carattere prettamente provinciale (Donatori Organi di Bergamo - D.O.B.) si forma sempre a Bergamo il 14 novembre 1971 per iniziativa di Giorgio Brumat.
    Le prime fasi dell’Associazione si sovrappongono, non solo cronologicamente, con i primi trapianti italiani, al tempo possibili, esclusivamente per i reni. L’obiettivo dell’AIDO è quello di cercare di diffondere la prospettiva di tale trattamento risolutivo, come auspicabile alternativa alla dialisi pei nefropatici. Questa situazione, tra l’altro , si rivelava anche di maggior urgenza rispetto ad oggi, stanti le grosse difficoltà che tale trattamento comportava ancora agli inizi degli anni ‘70. I pazienti afflitti dalle varie forme di insufficienza renale, infatti, erano costretti a spostarsi di decine di chilometri per effettuare, con cadenza trisettimanale, il trattamento, a questo obbligati dalla scarsità e dalla dislocazione dei centri di cura.


     



    http://www.aido.it/
     
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  2. *Anima Ribelle*
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    - 1 9 7 5 -
    Nei giorni 19, 20 e 21 settembre si tiene la prima Assemblea nazionale a S. Pellegrino Terme (BG) unitamente al primo convegno di studio dei Consigli scientifici operanti in seno all’associazione. L’impegno e la serietà con la quale vengono affrontati i problemi di carattere associativo e quelli di carattere scientifico danno una svolta decisiva alla vita dell’associazione, contribuendo, attraverso il lavoro svolto dai Consigli scientifici, ad accreditarla ed a formulare una bozza di testo legislativo sulla materia.
    Il primo Consiglio direttivo eletto dai delegati nomina Presidente nazionale il dottor Aldo Boccioni che si distingue per alcune iniziative: l’accordo con il Ministero della Pubblica Istruzione per la promozione dell’AIDO nelle scuole e i contatti con il Ministero della Sanità e con varie personalità del mondo politico per la nuova legge sui trapianti.


    - 1 9 7 7 -
    A Cervia, nel corso della prima assemblea straordinaria (3-5 giugno), i delegati nazionali approvano all’unanimità il nuovo Statuto associativo. A Bolzano si tiene la seconda assemblea nazionale (25-27 novembre, nel corso della quale si procede al rinnovo delle cariche associative per il triennio 1978-1980 e all’approvazione del regolamento dello statuto. Grande soddisfazione per il numero degli iscritti (71.365) e per i gruppi comunali presenti su tutto il terriero nazionale (620).


    - 1 9 8 0 -
    San Pellegrino Terme ospita nel mese di maggio (23-25) il secondo convegno di studi sui prelievi e trapianti di organo. I lavori delle sei commissioni (Chirurghi trapiantatori, Medici legali, Immunologi, Neurochirurghi - Rianimatori, Cardiochirurghi, Oculisti) si concludono con una assemblea plenaria nella quale vengono approvati gli emendamenti al nuovo disegno di legge sui trapianti predisposto dalla Commissione Sanità della Camera.. Il professore Paride Stefanini a nome di tutti i partecipanti rivolge un caloroso ringraziamento all’AIDO per l’organizzazione del Convegno.


    - 1 9 8 4 -
    Il 7 febbraio il Presidente della Repubblica Sandro Pertini riceve al Quirinale i membri della Giunta di Presidenza. Al termine dell’incontro il Presidente Pertini sottoscrive l’adesione all’associazione e l’atto di donazione.
    Il 10 e l’11 giugno Perugia ospita la prima Giornata Nazionale AIDO – LIONS per la donazione degli organi.


    - 1 9 8 6 -
    Il 28 febbraio a Bergamo, nel corso di una cerimonia, il Ministro della Sanità, Costante Degan, consegna all’AIDO la medaglia d’oro al merito della Sanità Pubblica, conferita dal Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga.
    Nel mese di settembre (26-28) si tiene a Foggia la V Assemblea Nazionale nel corso della quale viene approvato l’Istituzione di un fondo, nel quale fare affluire contributi delle strutture periferiche dell’AIDO, a tutti i livelli, per la realizzazione di iniziative dirette alla formazione di giovani medici e personale paramedico partecipanti ai programmi di trapianto in Italia.

     
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  3. *Anima Ribelle*
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    - 1 9 8 9 -
    Nel mese di maggio il presidente nazionale Vittorio Mazzotto, attraverso il Fondo Boccioni, bandisce 10 borse di studio a favore di giovani medici Anestesisti – Rianimatori, partecipanti al programma dei trapianti di organo in Italia.


    - 1 9 9 0 -
    Il 29 aprile 5.000 aderenti, provenienti da tutta Italia, sfilano per le vie di Roma, dal Colosseo a Piazza San Pietro, dietro uno striscione con su scritto:”In silenzio, insieme per la vita” . Scopo della manifestazione la protesta silenziosa per il ritardo dell’approvazione della nuova legge per i trapianti.
    Il 21 luglio stipula della convenzione con la seconda Università degli Studi di Roma per l’istituzione di un Corso di perfezionamento in “Trapianti di organo” e bando di concorso per n. 5 premi di studio (di cui 1 destinato ai trapianti pediatrici) per laureati in medicina e chirurgia per attività di perfezionamento nel campo dei prelievi e dei trapianti di organo.


    - 1 9 9 1 -
    Il 7 giugno nel corso di una conferenza stampa presso l’Hotel Nazionale di Roma il presidente nazionale Piergaetano Bellan denuncia che nel 1990 sono morte oltre 600 persone in attesa di trapianto e che sono stati effettuati 287 prelievi a fronte della disponibilità di 1.136 potenziali donatori. Viene lanciata una raccolta di firme per una proposta di legge di iniziativa popolare per superare le lacune della legge n. 644 del 1975.


    - 1 9 9 3 -
    Il 30 aprile, l’1 e il 2 maggio si svolge a Brescia il convegno internazionale “Unità europea nei trapianti di organi,: leggi ed esperienze a confronto”, organizzato dalla Sezione provinciale di Brescia e dal Consiglio Regionale della Lombardia su incarico dell’AIDO Nazionale.


    - 1 9 9 5 -
    Il 15 giugno il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro riceve una delegazione di partecipanti all’VIII Assemblea Nazionale dell’AIDO (Fiuggi 15-17 giugno). Nel corso dell’incontro afferma:” Grazie, grazie molto per avere iniziato, perché vuol dire aver aperto una strada. Grazie, perché vi muovete su un piano di generosità, su un piano di solidarietà, su un piano di questo denominatore comune umano, che dovrebbe essere per ciascuno di noi, a cominciare dal sottoscritto, di assoluta chiarezza. L’augurio che io faccio per la vostra assemblea è un augurio che faccio a ciascuno di noi: di essere capaci di raccogliere questa vostra testimonianza, perché voi rappresentate molto, ma soprattutto, incarnate molto, che è molto di più che parlare. E’ molto di più”.


    - 1 9 9 6 -
    Il 23 aprile una delegazione associativa deposita in Cassazione 102.386 firme raccolte in tutta Italia per una proposta di legge di iniziativa popolare dal titolo “Modifica dell’art. 6 della legge 2 dicembre n. 644 del 1975 : disciplina dell’obiezione al prelievo di parte di cadavere a scopo di trapianto terapeutico. Norme a tutela del rispetto delle dichiarazioni di volontà del cittadino in materia.


    - 1 9 9 8 -
    L’11 giugno a Roma, nella Sala del Cenacolo a Montecitorio, nel corso della cerimonia di apertura della IX Assemblea Nazionale (12-14 giugno), ospiti del Presidente della Camera e socio AIDO , Luciano Violante, viene presentato il primo numero del giornale associativo “L’Arcobaleno – per una cultura della donazione –“.


    - 1 9 9 9 -
    Il 29 aprile l’Esecutivo Nazionale viene ricevuta da una delegazione del Ministero della Sanità. Nel corso dell’incontro vengono affrontati i problemi che pone l’applicazione della nuova legge sui trapianti, varata il 1 aprile, e del ruolo, soprattutto per quanto riguarda l’informazione ai cittadini, che l’AIDO dovrà svolgere.
    Il 19 novembre l’AIDO entra a far parte della Consulta tecnica permanente per i trapianti, come previsto dall’art. 9 comma 2 della legge 91/99.


    - 2 0 0 0 -
    Il 15 giugno viene stampata la nuova tessera associativa con la dichiarazione di volontà secondo gli articoli 4 e 23 della legge 91/99.


    - 2 0 0 1 -
    L’11 maggio è on line il nuovo sito associativo, realizzato gratuitamente dalla Società Nethouse di Torino.
    Il 19 giugno muore a Bergamo Giorgio Brumat, al rientro dalla X Assemblea Nazionale AIDO svoltasi a Fiuggi nei giorni 15 – 17 giugno.


    - 2 0 0 2 -
    Il 19 e il 20 ottobre si svolge la prima giornata nazionale AIDO di informazione e autofinanziamento, che vede coinvolti i volontari in 646 piazze. Lo slogan della manifestazione:”La donazione e il trapianto di organi riguardano tutti. Aiutaci a farlo capire” è rivolto a tutti i cittadini sensibili perché essi stessi divengano strumenti della corretta informazione attraverso una sorta di “passaparola” e del sostegno finanziario di ulteriori campagne informative su tale argomento.
    Testimonial della giornata la presentatrice televisiva e socia Aido, Paola Saluzzi, che invita ad acquistare per l’autofinanziamento una piantina di Anthurium andreanum.
    Il 30 novembre il Santo Padre Giovanni Paolo II riceve in udienza particolare, assieme alla Fondazione Don Gnocchi e agli Alpini, i componenti dell’Esecutivo e una folta rappresentanza dell’AIDO. Nel corso dell’udienza viene presentata la supplica con le firme dei responsabili nazionali e regionali per la beatificazione di Don Carlo Gnocchi.


    - 2 0 0 3 -
    L’8 marzo a Bergamo, la presidente nazionale Enza Palermo firma l’accordo con il Centro Nazionale Trapianti e la Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere finalizzato alla realizzazione di iniziative integrate tra i soggetti firmatari volte a promuovere tra i cittadini la più ampia informazione in materia di donazione e trapianto di organi e tessuti.

    Il 16 marzo a Roma, nel corso dell’incontro nazionale con i Presidenti provinciali e regionali, viene presentato da Gabriele Ravaioli il Sistema Informatico Aido (SIA), che mette in linea tutte le strutture associative e permette il trasferimento dei nominativi dei soci AIDO al “sistema gemello” del Centro Nazionale Trapianti.

    L’8 maggio parte la prima campagna nazionale di comunicazione “Dai valore alla vita, dona gli organi”, realizzata da AIDO, ACTI, ANTF, AITF, FORUM, VITE , in collaborazione con il Ministero della Salute e, il Centro Nazionale Trapianti.

    Il 27 e 28 settembre si svolge la seconda giornata nazionale di informazione e autofinaziamento nel corso della quale si festeggiano i trent’anni di fondazione dell’Associazione. Per l’occasione il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, attraverso la Segreteria Generale della Presidenza della Repubblica fa pervenire un messaggio nel quale, tra l’altro, si afferma: “le giornate di informazione promosse dall’Aido, in occasione del trentennale della sua fondazione, sono una testimonianza di costante e rigoroso impegno al servizio del diritto fondamentale dell’uomo alla salute….. Agli aderenti all’Aido e a tutti i promotori dell’evento il Presidente della Repubblica rivolge il Suo incoraggiamento a proseguire in questa generosa attività”.

     
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  4. *Anima Ribelle*
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  5. *Anima Ribelle*
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    L A   S T O R I A   D E I   T R A P I A N T I  


    La possibilità di prolungare la vita o di ridare salute o giovinezza attraverso la sostituzione di organi o tessuti malati con organi e tessuti sani, prelevati da soggetti appartenenti alla stessa specie o a specie differenti ha stimolato la fantasia popolare da sempre. Se ne trova traccia nella mitologia, in numerose leggende e in rappresentazioni artistiche.
    La nascita dei trapianti viene fissata dalla tradizione nel III secolo d.C., quando i santi Cosma e Damiano compirono il miracolo di sostituire la gamba del loro sacrestano, andata in cancrena, con quella di un uomo deceduto poco prima.


    La storia scientifica dei trapianti d'organo, invece, ha inizio nel 1902, quando un chirurgo di nome Alexis Carrel mise a punto la tecnica per congiungere due vasi sanguigni. Utilizzando questa tecnica furono eseguiti i primi trapianti di cuore e di rene su animali. Il primo ostacolo che questi pionieri dovettero affrontare fu il rigetto: l'organismo ospite rifiutava i tessuti e gli organi estranei. Durante la II Guerra Mondiale, il dottor Peter Medawar, eseguendo innesti cutanei in pazienti gravemente ustionati nei bombardamenti di Londra, dimostrò che l'incompatibilità era di origine genetica. I risultati di questi studi portarono l’équipe del Prof. Murray il 23 dicembre 1954 ad eseguire il primo trapianto di rene fra gemelli identici. Negli anni successivi furono eseguiti un gran numero di trapianti da donatore vivente, soprattutto negli Stati Uniti, con risultati soddisfacenti. 

     

    Nel frattempo si erano compiuti esperimenti di trapianto di reni da soggetti appena morti: il cosiddetto trapianto da donatore cadavere.
    Nel 1965 si raggiunse la certezza che questo tipo di intervento era possibile e centri di trapianto renale si aprirono in tutto il mondo.




    Albero della vita
    di G. Klimt



    Da allora questi interventi furono effettuati in numero sempre maggiore e con sempre migliori risultati, fino a diventare operazioni di routine. 
    Nel 1963 furono eseguiti il primo trapianto di fegato dal Prof. Starzl e il primo di polmone dal Prof. Hardy. Nel 1966 i Prof. Kelly e Lillehei eseguirono il primo trapianto di pancreas e nel 1967 il Prof. Barnard il primo cuore. 


    I successi ottenuti in questi campi hanno generato grande entusiasmo e grandi speranze sulle potenzialità del trapianto. L'unico rischio reale resta ancora quello del rigetto, cioè del complesso di reazioni biologiche con cui l'organismo tende a rifiutare l'organo trapiantato in quanto lo riconosce come estraneo. In questi anni sono state sperimentate varie strategie per rendere il soggetto ricevente "tollerante" nei confronti del trapianto.


    La ricerca medica continua in questo senso, anche perché il progresso dei trapianti è stato e continuerà ad essere largamente dipendente dallo sviluppo delle conoscenze in questo settore e della messa a punto di tecniche che consentano di "tipizzare" i tessuti e riconoscerne il grado di compatibilità.

     

     
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  6. *Anima Ribelle*
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    ATTIVITA' DI PRELIEVO E TRAPIANTO IN ITALIA 2003


























     

    I donatori cadavere effettivi sono stati 1.042, quelli utilizzati 947.

     

    Una media di 18,5 per milione di popolazione (pmp) per i donatori effettivi e una media di 16,8 per i donatori utilizzati.

     

    (Abitanti in Italia 57.313.000:dati ISTAT).

     

    La media europea è di 16,5 pmp.

    ATTIVITA' DI PREMIAZIONE PER REGIONE

    ATTIVITA' DI DONAZIONE PER REGIONE
    ATTIVITA' DI PRELIEVO E TRAPIANTO IN ITALIA 2000 A T T I V I T A '   D I   D O N A Z I O N E





























































































    Regioni e provincie autonome N° donatori effettivi N° donatori utilizzati
      
    Abruzzo – Molise 12,8 10,3
    Basilicata 11,8 11,8
    Provincia autonoma di Bolzano 28,2 28,2
    Calabria 10 9,5
    Campania 8,7 8,3
    Emilia – Romagna 34,6 30
    Friuli V.G. 23,7 19,5
    Lazio 11,510,2
    Liguria 28,8 25,6
    Lombardia 19,7 18,3
    Marche 23,2 23,2
    Piemonte - Valle d'Aosta 27,8 26,8
    Puglia 9,3 9
    Sardegna 15,6 15
    Sicilia 7 6,4
    Toscana 30,6 25,1
    Provincia autonoma di Trento 4,2 4,2
    Umbria 19,6 19,6
    Veneto 24,9 23,4
    Italia 18,5 16,8

    A T T I V I T A '   D I   D O N A Z I O N E
    P E R   Z O N E   G E O G R A F I C H E

    ATTIVITA' DI PREMIAZIONE PER REGIONE A T T I V I T A '   D I   D O N A Z I O N E

    Nord: donatori 638; 25,1 pmp (popolazione 25.379.601)

    Valle d’Aosta (117.204), Piemonte(4.303.830), Liguria (1.668.896), Lombardia (8.882.408), Trentino Alto Adige (896.722: Bolzano 442.243, Trento 452.479), Veneto (4.395.263), Friuli - Venezia Giulia (1.195.055), Emilia Romagna (3.920.223)


    Centro: donatori n. 213; 19,5 pmp (popolazione 10.939.598)

    Toscana (3.528.735), Umbria (814.796), Marche (1.433.994), Lazio (5.162.073),


    Sud e Isole: donatori 191; 9,2 pmp (popolazione 20.641.101)

    Abruzzo (1.255.549), Molise (331.494), Campania (5.668.895), Puglia (4.049.972), Basilicata (610.821), Calabria (2.074.763), Sicilia (4.997.705), Sardegna (1.651.902)


    A T T I V I T A '   D I   D O N A Z I O N E 
    D E L L E   O R G A N I Z Z A Z I O N I   I N T E R R E G I O N A L I

     A T T I V I T A '   D I   D O N A Z I O N E A T T I V I T A '   D I   T R A P I A N T O

    AIRT (Associazione Interregionale Trapianti): donatori 370; 22,8 pmp
    Valle d’Aosta, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, provincia autonoma di Bolzano, Puglia


    NITp (Nord Italia Transplant): donatori 367; 20,3 pmp
    Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, provincia autonoma di Trento, Liguria, Marche


    OCST (Organizzazione Centro Sud Trapianti): donatori 211; 9,6 pmp
    Umbria, Abruzzo - Molise, Lazio, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna


    A T T I V I T A '   D I   T R A P I A N T O 
    N e l   2 0 0 3    s o n o   s t a t i   e f f e t t u a t i
    2 8 1 9   t r a p i a n t i ,   c o s ì   s u d d i v i s i :

     A T T I V I T A '   D I   D O N A Z I O N E C O M M E N T O













    R e n e :  1 4 8 9










    F e g a t o :  8 6 7









    C u o r e :  3 1 7









    P a n c r e a s :  7 7









    P o l m o n e :  6 5









    I n t e s t i n o  T e n u e :  3









    M u l t i v i s c e r a l e :  1









    O p p o s i z i o n i  a l l a  d o n a z i o n e (%)

    Abruzzo/Molise: 56,5 – Basilicata: 33,3 – Calabria: 26,7 – Campania: 45,3 – Emilia Romagna: 27,8 – Friuli V.G.: 26,2 – Lazio: 30,9 – Liguria: 32,9 – Lombardia: 21,5 – Marche: 14,4 – Piemonte -Valle d’Aosta: 25,1 – Prov. autonoma Bolzano: 11,1 – Prov. autonoma Trento: 0,0 – Puglia: 33,8 – Sardegna: 22,9 – Sicilia: 53,9 – Toscana: 27,7 – Umbria: 30,0 – Veneto: 17,3.

    ITALIA: 29,8









    P a z i e n t i  i n  l i s t a  d i  a t t e s a  ( n .  1 0 9 5 4)

    Rene:8.287
    Fegato:1.550
    Cuore:654
    Polmone:231
    Pancreas: isolato232

















    I  t e m p i   m e d i  d i  a t t e s a  d e i  p a z i e n t i  i n  l i s t a

    Rene:3,4 anni
    Fegato:1,4 anni
    Cuore:2,3 anni
    Polmone:2,2 anni
    Pancreas: isolato3,2 anni

    L a  p e r c e n t u a l e  d i  m o r t a l i t à  i n  l i s t a

    Rene:0,8%
    Fegato:4,5%
    Cuore:7,3%
    Polmone:12,5%
    Pancreas: isolato3,1%

    C e n t r i  a u t o r i z z a t i  a d  e f f e t t u a r e  t r a p i a n t i  d i :

    Rene:38
    Rene + pancreas20
    Cuore:15
    Cuore + polmone:7
    Polmone:10
    Fegato:18
    Pancreas:6
    Intestino:2


    B A N C H E  D E I  T E S S U T I  a t t i v i t à  2 0 0 3
     A T T I V I T A '   D I   D O N A Z I O N E C O M M E N T O





























    Banche degli Occhi – attività complessiva
    Cornee pervenute alle banche
    2001: 12.115
    2002: 12.289
    2003: 12.896

    Cornee scartate
    2001: 7.377
    2002: 6.448
    2003: 6.668


    Cornee distribuite
    2001: 5.076
    2002: 5.387
    2003: 5.382


    Su 17 banche, le seguenti si sono distinte per l’attività generale: Mestre, Lucca, Monza, Bologna, Pavia, Torino, Roma, Fabriano, Genova, L’Aquila, Milano, Bari, Cosenza, Palermo, Roma (Gemelli).


     

    Banche dell’Osso – attività complessiva

    Segmenti pervenuti alle banche
    2001: 2.113
    2002: 2.829
    2003: 3.287


    Segmenti scartati
    2001: 370
    2002: 488
    2003: 601


    Segmenti distribuiti
    2001: 834
    2002: 2.275
    2003: 3.362


    Su 7 banche le seguenti si sono distinte per l’attività generale: Bologna, Treviso, Firenze, Milano (Pini), Torino, Verona.


     

    Banche della Cute – attività complessiva

    Cute pervenuta alle banche (cm2)
    2001: 172.074
    2002: 248.601
    2003: 287.926


    Cute scartata (cm2)
    2001: 14.315
    2002: 40.016
    2003: 49.287


    Cute distribuita (cm2)
    2001: 99.411
    2002: 154.387
    2003: 270.789


    Su 7 banche le seguenti si sono distinte per l’attività generale: Siena, Torino, Milano (Niguarda) Cesena, Verona.


     

    Banche dei Vasi – attività complessiva

    Tessuti pervenuti alle banche
    2001: 347
    2002: 525
    2003: 626


    Tessuti scartati
    2001: 153
    2002: 231
    2003: 272


    Tessuti distribuiti
    2001: 153
    2002: 258
    2003: 284


    Su 8 banche le seguenti si sono distinte per l'attività generale: Treviso, Bologna, Milano.


     

    Banche delle Valvole – attività complessiva

    Tessuti pervenuti alle banche
    2001: 407
    2002: 579
    2003: 481


    Tessuti scartati
    2001: 160
    2002: 233
    2003: 243


    Tessuti distribuiti
    2001: 124
    2002: 184
    2003: 144


    Su 8 banche le seguenti si sono distinte per l’attività generale: Treviso, Pisa, Milano (Monzino), Bologna, Torino.


     
















     
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  7. *Anima Ribelle*
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    D A T I   1 9 9 2 - 2 0 0 3














































      D O N A T O R I   1 9 9 2 - 2 0 0 3
    199219931994199519961997199819992000200120022003
    329360445576629667707788823988945947
    5,86,27,910,111,011,612,313,714,317,118,118,5
    p.m.p  































    T R A P I A N T I   D I   R E N E    1 9 9 2 - 2 0 0 3
    199219931994199519961997199819992000200120022003
    6116788391.0641.1471.2211.2071.3141.310144714661489































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    C E N T R I   A U T O R I Z Z A T I   A D  E F F E T T U A R E   T R A P I A N T I    D I  :

    Rene: 43, Rene + pancreas:  20; Cuore: 14; Cuore + polmone: 7;
    Polmone: 10; Fegato: 19; Pancreas: 6; Intestino: 2.



    Edited by *Anima Ribelle* - 28/6/2005, 06:08
     
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  8. *Anima Ribelle*
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    S T A T U T O R E G O L A M E N T O

    COSTITUZIONE E CARATTERE


    COSTITUZIONE E CARATTERE

    Articolo 1Articolo 1



    L’A.I.D.O. – Associazione Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule – Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale (ONLUS) – con sede legale a Bergamo, è costituita tra i Cittadini favorevoli alla donazione volontaria, post mortem, anonima e gratuita di organi, tessuti e cellule a scopo di trapianto terapeutico.

    1. E’ una organizzazione apartitica, aconfessionale, interetnica, senza scopo di lucro, fondata sul lavoro volontario. Essa opera nel settore socio-sanitario ed ha l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale.

    2. L’Associazione è strutturata su tutto il territorio nazionale.




    1. L’Associazione è impegnata a vigilare sulla volontarietà, l’anonimato e la gratuità della donazione.

    2. E' costituita una sede operativa in Roma anche per la gestione dei rapporti con le Istituzioni centrali dello Stato.

    3. Il logo associativo è rappresentato da una forma geometrica triangolare con angoli arrotondati, sfondo rosso, contorno bianco e scritta “aido” in nero con “d” bianca a sfondo nero.


    FINALITÀ


    FINALITÀ

    Articolo 2Articolo 2



    Finalità dell’A.I.D.O. sono:

    1. promuovere, in base al principio della solidarietà sociale, la cultura della donazione di organi, tessuti e cellule;

    2. promuovere la conoscenza di stili di vita atti a prevenire l’insorgere di patologie che possano richiedere come terapia il trapianto di organi;

    3. provvedere, per quanto di competenza, alla raccolta di dichiarazioni di volontà favorevoli alla donazione di organi, tessuti e cellule post mortem.




    1. L’Associazione assicura la propria collaborazione alle Istituzioni nell’informazione e nell’assistenza ai Cittadini per una scelta consapevole relativa al prelievo di organi, tessuti e cellule a fini di trapianto terapeutico

    2. L’A.I.D.O. svolge opera di sensibilizzazione verso le Istituzioni affinché siano attuate nel modo migliore a livello locale le disposizioni di legge in merito alla organizzazione del prelievo e trapianto di organi, tessuti e cellule a fini terapeutici.


    ATTIVITA'


    ATTIVITA'

    Articolo 3Articolo 3



    ARTICOLO 3
    1. Per il raggiungimento delle finalità associative l’A.I.D.O. svolge le seguenti attività:

    a. promuove campagne di sensibilizzazione ed informazione permanente dei cittadini su tutto il territorio nazionale;

    b. instaura rapporti e collaborazioni con Istituzioni ed Enti pubblici e privati ed Associazioni italiane e internazionali.

    c. svolge attività di informazione nelle materie di propria competenza con particolare riferimento al mondo del lavoro, della scuola, delle Forze Armate, delle Confessioni religiose e delle Comunità sociali.

    d. promuove e partecipa ad attività di formazione, informazione e sensibilizzazione e di sostegno alla ricerca scientifica nel campo del prelievo e trapianto di organi, tessuti e cellule con raccolta di fondi attraverso una propria Fondazione;

    e. promuove la conoscenza delle finalità associative e delle attività svolte attraverso la stampa associativa e materiale multimediale;

    f. provvede, per quanto di competenza, alle formalità necessarie per l’esecuzione della volontà degli iscritti;

    g. svolge attività di aggiornamento e formazione per i dirigenti associativi al fine di armonizzare gli interventi formativi su tutto il territorio nazionale.

    2. Al fine del perseguimento delle attività istituzionali e di quelle ad esse strumentali, conseguenti e, comunque, connesse, l’A.I.D.O. può compiere, in osservanza delle norme di legge, attività commerciali e produttive esclusivamente marginali, nel rispetto di quanto indicato nell'art. 10 n.5 del D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460




    1. Per il raggiungimento delle finalità l’A.I.D.O.:

    a. realizza intese operative in unità d’azione con Enti ed altre Associazioni nazionali ed internazionali, nel rispetto dei compiti istituzionali dell’Associazione;

    b. cura all’interno dell’Associazione la formazione e l’aggiornamento permanente dei Dirigenti;

    c. progetta ed organizza, anche in collaborazione con Enti pubblici e privati, corsi di formazione e di aggiornamento per docenti, responsabili, animatori, ecc. sulle tematiche del prelievo di organi a scopo di trapianto terapeutico.

    2. L'Associazione, inoltre, ha facoltà - in relazione a specifiche esigenze determinate dalle Istituzioni e dalle legislazioni locali - di definire le modifiche di cui all'art.27 dello Statuto.

    3. E’ fatto divieto ai Soci e alle Strutture associative di raccogliere fondi finalizzati a fini diversi da quelli espressamente previsti dallo Statuto ed in particolare per:

    - acquistare macchinari ed attrezzature per ospedali;

    - viaggi per trapianti in Italia e all’estero;

    - effettuare trapianti all’estero;

    - Istituzioni pubbliche o private, Enti od Associazioni diverse dall’A.I.D.O.

    4. L’attività della Fondazione sarà regolata con appositi Statuto e Regolamento.

    5. La conoscenza delle attività associative si realizza attraverso il giornale ufficiale “L’Arcobaleno” con Redazione nella sede operativa di Roma e attraverso il sito Internet.

    6. Il materiale promozionale e informativo, sia cartaceo che multimediale, è unico su tutto il territorio nazionale e promosso dal Consiglio Nazionale. Ogni deroga dovrà essere preventivamente autorizzata dalla Giunta di Presidenza Nazionale.

    7. E’ fatto divieto di utilizzare il nome ed il logo dell’A.I.D.O. per scopi non rispondenti ai principi e alle finalità dell’Associazione. L’utilizzo del logo deve essere, in ogni caso, autorizzato dalla Struttura superiore.

    8. Conserva le manifestazioni di volontà e le trasmette al SIT tramite il SIA.


    SOCI


    SOCI

    Articolo 4Articolo 4



    1. Sono Soci dell’A.I.D.O. coloro che sottoscrivono la domanda di adesione e la dichiarazione di volontà favorevole alla donazione di organi tessuti e cellule post mortem, e si impegnano a sostenere l’A.I.D.O. per i fini istituzionali.

    2. I Soci possono accedere a tutte le cariche che sono elettive e non retribuite.

    3. La persona che instaura con l’A.I.D.O. un rapporto di lavoro dipendente o autonomo o un qualsiasi altro rapporto di contenuto patrimoniale, non può assumere cariche associative a tutti i livelli, né rappresentare strutture dell’Associazione come previsto dalla normativa in vigore. Può, tuttavia, esercitare il diritto di associato nel diffondere i fini istituzionali nel pieno rispetto di quanto previsto all'articolo 10 n. 1 lettera h del D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460.

    4. La partecipazione alla vita associativa non può essere temporanea. La qualifica di Socio si perde per dimissioni.




    1. 1. All’atto dell’iscrizione il Socio deve aver compiuto il 18° anno di età e deve prendere conoscenza delle norme Statutarie e del Regolamento dell’Associazione ed impegnarsi ad osservarle

    2. L’iscrizione all’A.I.D.O. deve essere richiesta per iscritto compilando l’apposito modulo comprensivo della dichiarazione di volontà in merito alla donazione di organi, tessuti e cellule dopo la morte. Tale modulo deve essere uniforme per tutte le Strutture.

    3. Ogni Socio, nell’ambito della comunità in cui vive, deve operare con lealtà e probità per il raggiungimento dei fini associativi e collaborare al buon funzionamento della struttura associativa di appartenenza.

    4. Le tessere sociali ed il simbolo identificativo dell'Associazione sono uniformi per tutti gli iscritti e conformi al modello stabilito dal Consiglio Nazionale. In attesa del raggiungimento della maggiore età potrà essere rilasciato un apposito tesserino di Amico dell'AIDO conforme al modello e alle modalità stabilite dal Consiglio Nazionale, attestante la volontà di voler partecipare alla vita associativa.

    5. La domanda di iscrizione e la tessera devono recare il medesimo numero, che è progressivo per ogni Socio, apposto dalla Sezione competente, la quale ne riporta i dati in apposito registro e/o supporto magnetico e rilascia la relativa tessera.

    6. I numeri corrispondenti a Soci deceduti, dimissionari, trasferiti e irreperibili, non devono essere riutilizzati.

    7. La tessera deve essere compilata in forma chiara e leggibile in ogni sua parte.

    8. Le domande di adesione, conservate in mobile adeguato presso la sede della Sezione Provinciale, devono essere archiviate in progressione numerica.

    9. Ogni Socio deve comunicare sollecitamente alla Struttura di base di appartenenza la variazione di residenza; se il trasferimento è fuori provincia la Sezione provvede immediatamente al trasferimento dell’iscrizione alla Sezione di nuova residenza del Socio per il tesseramento.

    10. La qualità di Socio risulta dall’iscrizione in apposito registro e/o supporto magnetico dopo il versamento dell'eventuale contributo se previsto.

    11. L’iscrizione è revocabile solo in forma scritta; in tal caso il modulo di iscrizione è restituito al richiedente previa riconsegna della tessera.

    12. Il rilascio all’iscritto della tessera, completa in ogni suo elemento, deve essere effettuato entro trenta giorni dalla presentazione della domanda.

    13. Ai fini dei diritti associativi fa fede la data di presentazione della domanda.

    14. I Soci sono eleggibili alle cariche associative purché abbiano frequentato un corso di formazione ai vari livelli ad esclusione del Gruppo Comunale e non siano stati condannati per condanne infamanti.

    15. Per l’elezione alle cariche nazionali e regionali è necessaria l’iscrizione da almeno tre anni.


    STRUTTURE


    STRUTTURE

    Articolo 5Articolo 5



    1. L’Associazione si articola in: - A.I.D.O. Nazionale

    - A.I.D.O. Regionali
    - Sezioni provinciali
    - Gruppi comunali


    L’articolazione delle Strutture in ambito Regionale è decisa dai singoli Consigli Regionali in funzione della legislazione regionale, della situazione locale e dell'organizzazione socio-sanitaria in vigore, al fine di raggiungere nell'ambito della Regione il risultato operativo ottimale per l'Associazione, anche prevedendo la costituzione di Sezioni pluricomunali, comprensoriali o territoriali e la costituzione di Gruppi intercomunali o rionali.

    2. L’Associazione, a livello Nazionale, Regionale, di Sezione e di Gruppo ha i seguenti organi:

    - Assemblea;
    - Consiglio Direttivo;
    - Giunta di Presidenza(limitatamente al livello nazionale, regionale e provinciale)
    - Conferenza dei Presidenti (limitatamente al livello nazionale e regionale);
    - Collegio dei Revisori dei Conti;
    - Collegio dei Probiviri;
    - Collegio di appello nazionale dei Probiviri.



    3. A livello Gruppo il Collegio dei Revisori è facoltativo; ove non fosse stato eletto è sostituito dal corrispondente organo del livello superiore.

    4. A livello Gruppo il Collegio dei Probiviri é sostituito dal corrispondente organo del livello superiore.

    5. Ogni Struttura risponde in proprio circa la responsabilità fiscale/civile. Ogni Struttura si deve dotare di codice fiscale al fine di assumere autonomia gestionale pur mantenendo il rispetto delle indicazioni dettate dalla Struttura superiore.




    Gli Organi statutari:

    1. agiscono nell’ambito della propria competenza e del mandato ricevuto dalle Assemblee;

    2. impegnano l’Associazione solo se eletti regolarmente e come tali operanti nella scrupolosa osservanza dello Statuto e del Regolamento;

    3.esercitano opera di sorveglianza e di stimolo sugli organi rispettivamente inferiori intervenendo direttamente e motivatamente, in quanto necessiti, con la convocazione delle Assemblee, lo scioglimento dei Consigli Direttivi e la nomina di Commissari.


    STRUTTURE


    ASSEMBLEA

    Articolo 6Articolo 6



    1. L'Assemblea rappresenta il massimo livello della vita associativa.

    2. L'Assemblea è ordinaria e straordinaria. L'Assemblea ordinaria si distingue in elettiva e intermedia.




    1. Le Assemblee sono regolate dalle disposizioni di cui agli articoli successivi del presente Regolamento.

    2. Ad ogni Assemblea deve essere invitato un rappresentante del Consiglio Direttivo della Struttura immediatamente superiore.


    ASSEMBLEA ELETTIVA
    COMPOSIZIONE E FUNZIONAMENTO


    ASSEMBLEA ELETTIVA
    COMPOSIZIONE E FUNZIONAMENTO

    Articolo 7Articolo 7



    1. L’Assemblea elettiva è formata:

    - a livello Gruppo da tutti i Soci;

    - ai livelli nazionale, regionale e provinciale dai Delegati nominati dalle rispettive Assemblee inferiori secondo le modalità fissate dal Regolamento.
    Ogni Socio o Delegato ha diritto a un voto.


    2. Ciascuna Assemblea è convocata dal rispettivo Consiglio Direttivo ogni quattro anni o più frequentemente su decisione del Consiglio medesimo o su richiesta di almeno un decimo dei membri delle Strutture immediatamente inferiori. In tale evenienza sono riconvocati i Delegati nominati nell’ultima Assemblea.

    3. Le date delle Assemblee elettive devono essere raccordate alle scadenze delle Assemblee elettive superiori.

    4. Ogni Assemblea è validamente costituita:

    - in prima convocazione con la presenza della metà più uno degli aventi diritto al voto;

    - in seconda convocazione, decorse almeno ventiquattro ore dalla prima convocazione, con qualsiasi numero di presenti.


    5. Hanno diritto al voto:


    - a livello Gruppo i Soci;
    - a livello Sezione, Regionale e Nazionale i Delegati presenti ed ammessi dalla Commissione Verifica Poteri.




    1. Per le Assemblee provinciali, regionali e nazionale la rilevazione dei Soci per determinare il numero dei Delegati è fatta alla data del 31 dicembre dell’anno precedente. Ogni Assemblea al proprio livello può modificare i rapporti di rappresentanza per la successiva convocazione.

    2. Ogni Struttura, qualunque sia la sua consistenza numerica, deve essere rappresentata da almeno un Delegato.

    3. I componenti in carica del Consiglio Direttivo, del Collegio dei Revisori dei Conti e del Collegio dei Probiviri partecipano di diritto all’Assemblea con facoltà di parola, ma non di voto se non Delegati.

    4. L’ammissione ad ogni Assemblea Provinciale, Regionale e Nazionale è subordinata alla presentazione da parte della Struttura inferiore di:

    - bilancio consuntivo dell’anno precedente;

    - verbali di Assemblea dell’anno in corso;

    - relazione morale del Consiglio Direttivo;

    - pagamento della quota associativa annuale con riferimento, per la quota da versare, agli iscritti al 31 dicembre dell’anno precedente.
    L’esame della documentazione è di competenza della Giunta di Presidenza per la successiva trasmissione con le proprie osservazioni alla Commissione Verifica Poteri.

    5. Ogni Socio o Delegato ha diritto ad un solo voto; non sono ammesse deleghe.

    6. L’Assemblea elegge fra i non candidati:

    - il Presidente;

    - uno o più Vice Presidenti;

    - uno o più Segretari;

    - uno o più Questori di sala;

    - tre o più membri per la Commissione Elettorale;

    - tre o più membri per la Commissione Verifica Poteri dell' Assemblea successiva.

    7. La Commissione Verifica Poteri, non appena insediata, elegge il proprio Presidente che riferirà all’Assemblea sui lavori compiuti.

    8. La Commissione Verifica Poteri:

    a. accredita il Delegato previa verifica, attraverso l’esame della documentazione, della regolarità della Assemblea della Struttura di appartenenza e dopo l’accertamento della identità, anche avvalendosi, per quest’ultima, della dichiarazione scritta del Capo Delegazione che garantisca l’identità del proprio Delegato;

    b. con la collaborazione della Segreteria accerta – sulla scorta dei documenti associativi o con propria inchiesta – la regolarità e la idoneità di ogni singolo Candidato ad essere eletto;

    c. conferisce i documenti legittimatori di Delegato all’Assemblea.

    9. Contro le decisioni della Commissione Verifica Poteri è ammesso ricorso alla Presidenza la quale, in via prioritaria, ragguaglierà l’Assemblea demandando a questa la decisione che è presa a maggioranza, previo un solo intervento a favore e uno contrario.

    10. La Commissione Verifica Poteri esaurisce il suo compito con la rimessa del verbale al Presidente dell’Assemblea.

    11. La Commissione elettorale provvede alle operazioni di voto.

    12. Le elezioni alle cariche associative avvengono con voto segreto salvo che l’Assemblea decida alla unanimità per il voto palese.

    13. L’Assemblea delibera validamente con la maggioranza assoluta dei votanti, ove non diversamente previsto, e per voto palese, salvo che la stessa Assemblea disponga per il voto segreto come previsto per argomenti riguardanti operazioni elettorali o questioni personali.

    14. Proclamati gli eletti il Presidente dell'Assemblea li convoca entro quindici giorni per l'insediamento.

    15. Il verbale dell’Assemblea, anche nell’ipotesi di registrazione integrale, è redatto dai Segretari, sottoscritto dal Presidente e dai Segretari, inserito nel libro dei verbali assembleari ed inviato al Consiglio della Struttura superiore entro quindici giorni dalla data di svolgimento.


    ASSEMBLEA INTERMEDIA
    COMPOSIZIONE E FUNZIONAMENTO


    ASSEMBLEA INTERMEDIA
    COMPOSIZIONE E FUNZIONAMENTO

    Articolo 8Articolo 8



    1. L’Assemblea intermedia è formata:

    - a livello Gruppo dai Soci;

    - a livello nazionale, regionale e provinciale dai Presidenti delle rispettive strutture inferiori o da un loro delegato.

    2. Ciascuna Assemblea intermedia è convocata dal rispettivo Consiglio Direttivo negli anni intermedi secondo le modalità fissate dal Regolamento.




    1. Le Assemblee intermedie a tutti i livelli

    a. discutono e approvano:

    - la relazione sull’attività svolta dal Consiglio Direttivo nell’ultimo anno;

    - la relazione sull’esecuzione del programma quadriennale;

    - il bilancio consuntivo dell’ultimo anno di attività;

    - il bilancio preventivo annuale.
    b. prendono atto della relazione del Collegio dei Revisori dei Conti.

    2. L’Assemblea intermedia, in particolare, redige un documento di valutazione dell’attività svolta nell’anno trascorso e di indicazioni e proposte per l’anno successivo, sempre nel rispetto della mozione finale della precedente Assemblea elettiva ed, in particolare, del programma quadriennale.

    3. L’Assemblea intermedia può trattare anche argomenti di particolare interesse ed urgenza proposti dal Consiglio Direttivo.

    4. Il verbale dell'Assemblea, corredato degli allegati, deve essere inviato alla struttura superiore nei 15 giorni successivi alla data della Assemblea stessa.


    ASSEMBLEA NAZIONALE


    ASSEMBLEA NAZIONALE

    Articolo 9Articolo 9



    1. L’Assemblea nazionale elettiva è convocata dal Consiglio Nazionale ogni quattro anni e si svolge secondo le norme stabilite dal Regolamento.

    2. Negli anni intermedi il Consiglio Nazionale convoca l’Assemblea dei Presidenti dei Consigli Regionali o di un loro delegato, secondo le norme stabilite dal Regolamento.

    3. Spetta all’Assemblea Nazionale:

    a. l’approvazione della relazione sull’attività svolta, elaborata dal Consiglio Nazionale;

    b. l’approvazione del bilancio consuntivo, accompagnato da una relazione dell’Amministratore e dalla relazione del Collegio dei Revisori dei Conti;

    c. l’approvazione del bilancio preventivo proposto dal Consiglio Nazionale;

    d. l’approvazione di impegni economici pluriennali;

    e. l’approvazione degli indirizzi di politica associativa cui dovranno attenersi tutte le Strutture inferiori;

    f. l’approvazione del Regolamento associativo e delle modifiche;

    g. la determinazione delle quote sociali a carico dei Consigli Regionali;

    h. quando elettiva:

    - l’elezione dei componenti il Consiglio Nazionale e la Commissione Verifica Poteri;

    - l'elezione dei componenti il Collegio dei Revisori dei Conti, del Collegio dei Probiviri e del Collegio di appello nazionale dei Probiviri.




    1. L’Assemblea Nazionale è convocata entro il 15 giugno con lettera raccomandata A.R., da spedirsi ai Presidenti dei Consigli Regionali almeno sessanta giorni prima della data fissata, con l’indicazione del luogo, della data e dell’ora.

    2. L’ordine del giorno deve essere inviato trenta giorni prima dell’inizio dell’Assemblea.

    3. All’Assemblea Nazionale elettiva ogni Delegato rappresenta 7.000 Soci o frazione superiore a 3.500.

    4. Le quote sociali decorrono dal 1 gennaio dell'anno successivo e sono calcolate sul numero dei Soci al 31 dicembre dell'anno precedente. La comunicazione del numero degli iscritti deve essere inviata alle strutture superiori entro il 31 gennaio dell'anno successivo.


    ASSEMBLEA REGIONALE


    ASSEMBLEA REGIONALE

    Articolo 10Articolo 10



    1. L’Assemblea elettiva regionale è convocata dal rispettivo Consiglio Direttivo ogni quattro anni secondo le norme stabilite dal Regolamento.

    2. Negli anni intermedi è convocata l’Assemblea dei Presidenti Provinciali, o di un loro delegato, secondo le modalità previste dal Regolamento.

    3. Spetta all’Assemblea Regionale:

    a. l’approvazione della relazione sull’attività svolta, elaborata dal Consiglio Direttivo;

    b. l’approvazione del bilancio consuntivo, accompagnato da una relazione dell’Amministratore e dalla relazione del Collegio dei Revisori dei Conti;

    c. l’approvazione del bilancio preventivo proposto dal Consiglio Direttivo;

    d. l’approvazione degli impegni economici pluriennali;

    e. l’approvazione degli indirizzi di politica associativa regionale come da indicazioni del Consiglio
    Nazionale adeguandoli alla situazione territoriale;

    f. la determinazione delle quote sociali a carico delle Sezioni Provinciali

    g. quando elettiva:

    - l'elezione dei componenti il Consiglio Direttivo Regionale e la Commissione Verifica Poteri;

    - l'elezione dei componenti il Collegio dei Revisori dei Conti ed il Collegio dei Probiviri;

    - la nomina dei Delegati alla Assemblea Nazionale e l’indicazione dei Candidati alle cariche nazionali.

     
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  9. *Anima Ribelle*
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    ASSEMBLEA PROVINCIALE E PLURICOMUNALE


    ASSEMBLEA PROVINCIALE E
    PLURICOMUNALE

    Articolo 11Articolo 11



    1. L’Assemblea elettiva provinciale è convocata ogni quattro anni dal rispettivo Consiglio Direttivo secondo le norme stabilite dal Regolamento.

    2. Negli anni intermedi è convocata l’Assemblea dei Presidenti dei Gruppi comunali o di un loro Delegato, secondo le modalità stabilite dal Regolamento.

    3. Spetta all’Assemblea Provinciale/pluricomunale:

    a. l’approvazione della relazione sull’attività svolta, elaborata dal Consiglio Direttivo;

    b. l’approvazione del bilancio consuntivo, accompagnato da una relazione dell’Amministratore e dalla relazione del Collegio dei Revisori dei Conti;

    c. l’approvazione del bilancio preventivo proposto dal Consiglio provinciale;

    d. l'approvazione degli impegni economici pluriennali;

    e. l’approvazione degli indirizzi di politica associativa provinciale come da indicazioni del Consiglio Regionale adeguandoli alla situazione territoriale;

    f. la determinazione delle quote sociali a carico dei Gruppi Comunali:

    g. quando elettiva:

    - l’elezione dei componenti il Consiglio provinciale e la Commissione Verifica Poteri;

    - l'elezione dei componenti il Collegio dei Revisori dei Conti ed il Collegio dei Probiviri;

    - la nomina dei Delegati alla Assemblea regionale e l’indicazione dei Candidati alle cariche regionali. 




    1. L’Assemblea della Sezione Provinciale o assimilata è convocata entro il 15 aprile con lettera spedita ai Presidenti dei Gruppi almeno trenta giorni prima della data di convocazione e recante luogo, data e ora della riunione e l’ordine del giorno.

    2. All’Assemblea Provinciale elettiva ogni Delegato rappresenta 200 Soci o frazione superiore a 100.

    3. Ogni Assemblea può modificare il numero dei Delegati per l’Assemblea successiva.

    4. Quando elettiva, le Sezioni dovranno inviare alla Giunta di Presidenza l’elenco dei Delegati e dei Candidati alle cariche associative assieme ai verbali delle Assemblee ed ai documenti per l’Assemblea. I Candidati al Consiglio Regionale devono essere almeno due per Provincia pena l’esclusione dalle candidature e la conseguente non rappresentanza della Provincia nel Consiglio Regionale.

    5. Le quote sociali decorrono dal 1 gennaio dell'anno successivo e sono calcolate sul numero dei Soci al 31 dicembre dell'anno precedente. La comunicazione del numero degli iscritti deve essere inviata alle strutture superiori entro il 31 gennaio dell'anno successivo.


    ASSEMBLEA DEL GRUPPO


    ASSEMBLEA DEL GRUPPO

    Articolo 12Articolo 12



    1. L’Assemblea del Gruppo è l’espressione fondamentale dell’Associazione ed è costituita dai Soci. E’ convocata annualmente dal Consiglio Direttivo.

    2. Spetta all’Assemblea:

    a. l’approvazione della relazione sull’attività svolta, elaborata dal Consiglio Direttivo;

    b. l’approvazione del bilancio consuntivo accompagnato da una relazione dell’Amministratore e dalla Relazione del Collegio dei Revisori dei Conti;

    c. l’approvazione del bilancio preventivo proposto dal Consiglio Direttivo;

    d. la programmazione dell’attività annuale in applicazione delle linee politiche associative indicate dall’Assemblea Provinciale da attuare nell’ambito territoriale;

    e. la definizione degli eventuali contributi a carico dei Soci.


    3. Ogni quattro anni:

    a. elegge i membri del Consiglio Direttivo e del Collegio dei Revisori dei Conti se previsto;

    b. nomina i Delegati all’Assemblea provinciale;

    c. indica i Candidati alle cariche provinciali.




    1. L’Assemblea del Gruppo, costituita dai Soci, è convocata annualmente, con i mezzi più idonei, entro il 28 febbraio, con almeno quindici giorni di anticipo.

    2. La convocazione deve essere fatta indicando luogo, data e ora della riunione e l’ordine del giorno.

    3. L’Assemblea del Gruppo elegge il Presidente e il Segretario che redigerà il verbale, copia del quale, con allegati relazioni e bilanci , deve essere inviata entro 15 giorni alla Segreteria della Struttura superiore; quando elettiva anche con allegati l'elenco degli eletti, dei delegati e candidati alla Struttura superiore.


    ASSEMBLEA COSTITUTIVA
    DEL GRUPPO


    ASSEMBLEA COSTITUTIVA
    DEL GRUPPO

    Articolo 13Articolo 13



    L’Assemblea costitutiva è convocata in qualunque data dal Presidente della Sezione su propria iniziativa, a seguito di delibera del Consiglio Direttivo, o per richiesta del Comitato promotore costituito da almeno 30 Soci




    1.L’Assemblea costitutiva del Gruppo può essere convocata qualora vi siano almeno 30 Soci, sotto la Presidenza del Presidente della Sezione o di un Consigliere da questi delegato.

    2. L’Assemblea costitutiva deve:

    a. redigere verbale di costituzione in conformità al modello predisposto dalla Segreteria Nazionale;

    b. eleggere gli Organi associativi che restano in carica fino alla data delle Assemblee elettive;

    c. definire il programma di attività valido fino alla Assemblea annuale successiva.

    3. Copia della documentazione (verbale di costituzione, piani e programmi) deve essere inviata entro 15 giorni alla Sezione provinciale/pluricomunale e Consiglio Regionale di appartenenza e alla Segreteria Nazionale con tutta la documentazione di cui all'art. 12 comma 3.


    CONSIGLI DIRETTIVI


    CONSIGLI DIRETTIVI

    Articolo 14Articolo 14



    1. Ad ogni livello il Consiglio Direttivo dà attuazione al Programma approvato dalla rispettiva Assemblea.

    2. Tutte le Strutture, a qualsiasi livello, sono vincolate alla attuazione dei programmi e delle iniziative approvate dall’Assemblea e dal Consiglio Direttivo delle Strutture superiori.

    3. I singoli Consigli devono svolgere opera di controllo sul rispetto delle norme statutarie da parte delle rispettive Strutture inferiori.

    4. Ogni Consiglio può programmare ed attuare iniziative limitatamente al territorio di competenza. Per iniziative che interessino Strutture al di fuori del proprio territorio ne dovrà essere preventivamente richiesta autorizzazione alla Giunta di Presidenza della Struttura di competenza (Regionale per l’interessamento di più province della stessa Regione, Nazionale per più province di differenti Regioni).

    5. I Consigli intrattengono rapporti con gli organismi pubblici e privati del proprio livello

    6. In caso di inadempienza alle norme statutarie o persistente inattività da parte di un Consiglio Direttivo, il Consiglio della Struttura superiore ne dichiara lo scioglimento e nomina un Commissario, che resta in carica per la durata – prorogabile una sola volta per uguale periodo – di tre mesi, cura l’ordinaria amministrazione e convoca l’Assemblea per l’elezione dei nuovi organi associativi




    1. Il Consiglio, nell’ambito del territorio di competenza, stabilisce la propria sede operativa nella località maggiormente rispondente ai criteri di funzionalità ed economicità.

    2. Il Consiglio è convocato dal Presidente con avviso inviato con almeno quindici giorni di anticipo, recante l’ordine del giorno,la data, ora e luogo della riunione a mezzo posta o qualsiasi altro mezzo tecnologico legalmente riconosciuto.

    3. Il Consiglio è validamente costituito con la presenza della metà più uno dei membri; le decisioni sono valide se adottate dalla metà più uno dei presenti al momento del voto, a Consiglio sempre validamente costituito. In caso di parità prevale il voto del Presidente.

    4. Non sono ammesse deleghe.

    5. Il Consigliere assente senza giustificato motivo per tre sedute consecutive è dichiarato decaduto e surrogato dal primo dei non eletti.

    6. Il Consigliere dimissionario, deceduto o decaduto è surrogato dal primo dei non eletti.

    7. Ove i Consiglieri subentrati a deceduti, dimissionari o decaduti giungano a rappresentare la metà più uno dei componenti del Consiglio, il Presidente dichiara lo scioglimento dello stesso e convoca l’Assemblea per una nuova elezione di tutto il Consiglio.

    8. Le relazioni all’Assemblea sono fatte proprie dal Consiglio; se approvate a maggioranza devono contenere anche le istanze della minoranza.

    9. In caso di impedimento il Presidente è sostituito dal Vice Presidente Vicario.

    10. Il Consigliere Segretario redige il verbale che, dopo emendamenti ed approvazione del Consiglio alla riunione successiva, è trascritto nell’apposito libro dei verbali e deve essere inviato alla Struttura superiore entro 15 giorni; sovrintende al buon funzionamento degli uffici e dà esecuzione alle delibere del Consiglio e della Giunta di Presidenza.

    11. Il Presidente deve convocare il Consiglio con la frequenza prevista dallo Statuto, in difetto, ciascun componente il Consiglio medesimo può notificare l’inadempienza al Presidente del Collegio dei Probiviri.

    12. Il Consiglio è responsabile per ogni spesa deliberata.

    13. La carica di Presidente a tutti i livelli non è compatibile con l’appartenenza ad associazioni segrete.

    14. Le cariche di Giunta di Presidenza a livello Provinciale e Regionale non sono compatibili con incarichi di Giunta di Presidenza e del Collegio dei Revisori del livello immediatamente superiore.

    15. I membri del Consiglio Direttivo del Gruppo Comunale sono incompatibili con la carica di Revisore dei Conti a livello Provinciale.


    CONSIGLIO DIRETTIVO NAZIONALE


    CONSIGLIO DIRETTIVO NAZIONALE

    Articolo 15Articolo 15



    1. Il Consiglio Direttivo Nazionale

    a. mette in atto gli indirizzi di politica associativa indicati dall’Assemblea Nazionale, coordinandone e controllandone l’applicazione da parte dei Consigli Regionali;

    b. organizza e gestisce attività e manifestazioni che interessano tutto il territorio nazionale o più Regioni;

    c. instaura e tiene rapporti con gli organismi pubblici e privati del livello nazionale.

    2. Il Consiglio Direttivo Nazionale si compone di almeno un rappresentante per ogni Consiglio Regionale a condizione che lo stesso abbia fornito non meno di due Candidati.

    3. Il numero dei Consiglieri viene definito di volta in volta dall’Assemblea.

    4. Il Consiglio si riunisce almeno due volte l’anno e dura in carica quattro anni.

    5. Il Consiglio elegge al suo interno il Presidente, tre Vice Presidenti dei quali uno Vicario, un Amministratore, un Segretario, un Addetto stampa e comunicazione. Tutti questi costituiscono la Giunta di Presidenza.

    6. Spetta tra l’altro al Consiglio:

    a. la partecipazione senza diritto di voto alle sedute dell’Assemblea Nazionale;

    b. l’indicazione dei progetti per l’attuazione degli indirizzi di politica associativa approvati dall’Assemblea;

    c. la proposizione di attività finalizzate alla promozione della Donazione;

    d. la promozione di convegni su temi specifici;

    e. l’accettazione di lasciti, eredità, legati e donazioni, nonché l’acquisto e la vendita di beni immobili.

    7. La mancata approvazione del bilancio consuntivo da parte dell’Assemblea, determina l’automatica decadenza del Consiglio.




    1. In assenza di precisa indicazione della Struttura periferica a cui è destinato il lascito, è il Consiglio Nazionale ad esercitare il potere di accettare lasciti, eredità, legati, donazioni; allo stesso compete, in particolare la gestione e l'utilizzo del lascito stesso.


    CONSIGLIO DIRETTIVO REGIONALE


    CONSIGLIO DIRETTIVO REGIONALE

    Articolo 16Articolo 16



    1. Il Consiglio Direttivo Regionale, oltre a mantenere rapporti con gli organismi pubblici e privati della Regione:

    a. individua le linee guida dell’attività associativa in ambito regionale sulla base delle indicazioni dell’Assemblea Regionale;

    b. coordina l’attività delle Sezioni con particolare riferimento ai rapporti con le Strutture socio-sanitarie;

    c. organizza e gestisce manifestazioni ed attività che interessano tutto il territorio regionale o più province.

    2. Il Consiglio Direttivo Regionale si compone di almeno un rappresentante per ogni Sezione Provinciale a condizione che la stessa abbia fornito non meno di due Candidati.

    3. Il numero dei Consiglieri viene definito di volta in volta dall’Assemblea.

    4. Il Consiglio si riunisce almeno due volte l’anno e dura in carica quattro anni.

    5. Il Consiglio elegge al suo interno il Presidente, non più di tre Vice Presidenti dei quali uno Vicario, un Amministratore, un Segretario, un Addetto stampa e comunicazione. Tutti questi costituiscono la Giunta di Presidenza.

    6. Spetta tra l’altro al Consiglio:

    a. la partecipazione senza diritto di voto alle sedute dell’Assemblea Regionale;

    b. l’indicazione dei progetti per l’attuazione degli indirizzi di politica associativa approvati dall’Assemblea;

    c. la proposizione di attività finalizzate alla promozione della Donazione;

    d. la promozione di convegni su temi specifici;

    e. l’accettazione di lasciti, eredità, legati e donazioni, nonché l’acquisto e la vendita di beni immobili.

    7. La mancata approvazione del bilancio consuntivo da parte dell’Assemblea, determina l’automatica decadenza del Consiglio.




    1. In presenza dell'indicazione della Sezione periferica a cui è destinato il lascito ma in assenza della città o regione di riferimento, la competenza ad esercitare il potere di accettare lasciti, eredità, legati, donazioni è di spettanza della Sezione del luogo in cui si apre la successione; alla stessa compete la gestione e l'utilizzo del lascito stesso.


    CONSIGLIO DIRETTIVO PROVINCIALE


    CONSIGLIO DIRETTIVO PROVINCIALE

    Articolo 17Articolo 17



    1. Il Consiglio Direttivo della Sezione Provinciale:

    a. intrattiene e mantiene rapporti con gli organismi pubblici e privati della Provincia, in particolare con le ASL/ASO. Ove nel territorio provinciale esistano più ASL/ASO coordina le attività svolte dai Gruppi nei rapporti con le singole ASL/ASO;

    b. coordina l’attività dei singoli Gruppi controllandone il rispetto delle norme statutarie;

    c. organizza e gestisce manifestazioni ed attività che coinvolgono tutto o in parte il territorio provinciale;

    d. conserva e tiene aggiornati gli Atti Olografi dei residenti nella provincia, rilascia le relative tessere, inserisce i dati nel Sistema Informativo A.I.D.O. secondo le disposizioni ed i criteri indicati nel Regolamento.

    2. Il Consiglio Direttivo Provinciale si compone di un numero da un minimo di 5 a un massimo di 15 membri.

    3. Si riunisce almeno quattro volte l’anno e dura in carica quattro anni.

    4. Il Consiglio elegge al suo interno il Presidente, due Vice Presidenti dei quali uno Vicario, un Amministratore, un Segretario. Tutti questi costituiscono la Giunta di Presidenza.

    5. Spetta tra l’altro al Consiglio:

    a. la partecipazione senza diritto di voto alle sedute dell’Assemblea Provinciale;

    b. la realizzazione dei progetti per l’attuazione degli indirizzi di politica associativa indicati dall’Assemblea Provinciale;

    c. la realizzazione di attività finalizzate alla promozione della Donazione in ambito provinciale;

    d. la promozione di convegni su temi specifici;

    e. l’accettazione di lasciti, eredità, legati e donazioni, nonché l’acquisto e la vendita di beni immobili.

    6. La mancata approvazione del bilancio consuntivo da parte dell’Assemblea, determina l’automatica decadenza del Consiglio.

    7. Nel caso di inattività di un Gruppo Comunale o di impossibilità di costituzione, ove non sia possibile aggregarlo ad altra Struttura vicina, il Consiglio Provinciale può nominare un referente per lo svolgimento dell’attività associativa.




    1. Le modalità organizzative del conferimento dati al SIA saranno inserite una volta definiti gli accordi con il Ministero della Salute.

    2. In presenza dell'indicazione della Sezione periferica cui è destinato il lascito , ma in assenza della città o regione di riferimento, la competenza ad esercitare il potere di accettare lasciti, eredità, legati, donazioni è di spettanza della Sezione del luogo in cui si apre la successione; alla stessa compete la gestione e l'utilizzo del lascito stesso.


    CONSIGLIO DIRETTIVO COMUNALE


    CONSIGLIO DIRETTIVO COMUNALE

    Articolo 18Articolo 18



    1. A livello Gruppo Comunale il Consiglio Direttivo:

    a. intrattiene e mantiene rapporti con gli organismi pubblici e privati esistenti al proprio livello;

    b. svolge opera di informazione e sensibilizzazione della cittadinanza;

    c. organizza attività e manifestazioni nel territorio di competenza.

    d. può accettare lasciti, eredità, legati e donazioni e acquistare e vendere beni immobili.

    2. Il Consiglio Direttivo del Gruppo si compone di un numero da un minimo di 5 a un massimo di 15 componenti.

    3. Il Consiglio si riunisce almeno una volta ogni due mesi e dura in carica quattro anni.

    4. Elegge al suo interno il Presidente, due Vice Presidenti, un Amministratore, un Segretario; é facoltativo un Vice Presidente Vicario.




    1. In presenza dell'indicazione del Gruppo Comunale cui é destinato il lascito, la competenza di accettare lasciti, eredità, legati, donazioni é di spettanza del Gruppo Comunale indicato.


    GIUNTA DI PRESIDENZA


    GIUNTA DI PRESIDENZA

    Articolo 19Articolo 19



    1. La Giunta di Presidenza elabora e mette in atto il programma e le iniziative approvate dal rispettivo Consiglio Direttivo. E’ organo di raccordo con la Conferenza dei Presidenti delle Strutture inferiori.
    In particolare:

    1. a livello Nazionale:

    a. predispone gli schemi di bilancio consuntivo e preventivo da sottoporre al Consiglio Nazionale per la successiva approvazione dell’Assemblea Nazionale;

    b. in caso di urgenza delibera sui seguenti argomenti:

    - generale promozione e coordinamento delle attività associative a livello nazionale e internazionale;

    - elaborazione di sistemi, criteri operativi e mezzi di comunicazione volti alla promozione ed allo sviluppo della cultura della donazione;
    le relative delibere dovranno essere ratificate successivamente dal Consiglio Nazionale.

    c. delibera inoltre sui seguenti argomenti:

    - acquisto di beni e servizi nei limiti di spesa fissati dal bilancio preventivo;

    - acquisto di beni ammortizzabili nei limiti di spesa previsti dal bilancio preventivo;

    - la scelta del personale che dovrà prestare la propria opera in favore del Consiglio Nazionale a titolo di lavoro subordinato o autonomo o altre forme di collaborazione previste dalle vigenti leggi e la risoluzione dei contratti stessi;

    - la decisione di agire e resistere in giudizio, di transigere o di rinunciare alle azioni, di compromettere in arbitri, anche amichevoli compositori e di nominare avvocati e consulenti;

    - su tutti gli argomenti ad essa delegati dal Consiglio Nazionale, del quale esegue le delibere;

    d. attende all’ordinaria amministrazione.

    2. a livello Regionale:

    a. predispone gli schemi di bilancio consuntivo e preventivo da sottoporre al Consiglio Regionale per la successiva approvazione dell’Assemblea Regionale;

    b. in caso di urgenza delibera sui seguenti argomenti:

    - generale promozione e coordinamento delle attività associative in ambito Regione;
    le relative delibere dovranno essere ratificate successivamente dal Consiglio Regionale.

    c. delibera inoltre sui seguenti argomenti:

    - acquisto di beni e servizi nei limiti di spesa fissati dal bilancio preventivo;

    - acquisto di beni ammortizzabili nei limiti di spesa previsti dal bilancio preventivo;

    - la scelta del personale che dovrà prestare la propria opera in favore del Consiglio Regionale a titolo di lavoro subordinato o autonomo o altre forme di collaborazione previste dalle vigenti leggi e la risoluzione dei contratti stessi;

    - su tutti gli argomenti ad essa delegati dal Consiglio Regionale, del quale esegue le delibere;

    d. attende all’ordinaria amministrazione.

    3. a livello Provinciale/pluricomunale:

    a. predispone gli schemi di bilancio consuntivo e preventivo da sottoporre al Consiglio Provinciale per la successiva approvazione dell’Assemblea Provinciale;

    b. in caso di urgenza delibera sui seguenti argomenti:

    - generale promozione e coordinamento delle attività associative in ambito Provincia;
    le relative delibere dovranno essere ratificate successivamente dal Consiglio Provinciale.

    c. delibera inoltre sui seguenti argomenti:

    - acquisto di beni e servizi nei limiti di spesa fissati dal bilancio preventivo;

    - acquisto di beni ammortizzabili nei limiti di spesa previsti dal bilancio preventivo;

    - la scelta del personale che dovrà prestare la propria opera in favore del Consiglio Provinciale a titolo di lavoro subordinato o autonomo o altre forme di collaborazione previste dalle vigenti leggi e la risoluzione dei contratti stessi;

    - su tutti gli argomenti ad essa delegati dal Consiglio Provinciale, del quale esegue le delibere;

    d. attende all’ordinaria amministrazione;

    e. vigila e garantisce la corretta organizzazione nella raccolta, conservazione e trasmissione dei dati dei Soci nel SIA (Sistema Informativo A.I.D.O.)




    1. Gli schemi di bilancio devono essere presentati ai rispettivi Consigli Direttivi entro il 15 aprile per il Nazionale, entro il 30 marzo per il livello regionale, entro il 28 febbraio per il livello provinciale.

    2. Le delibere adottate dalla Giunta devono essere inviate entro 15 giorni ai rispettivi Consigli Direttivi.

    3. Le cariche di Presidente e Segretario della Giunta di Presidenza sono incompatibili con l’incarico di Presidente e Segretario dell’Assemblea del livello di riferimento.

    4. Le cariche di Presidente e Vice Presidente non possono essere ricoperte per più di due mandati consecutivi a decorrere dalla data di approvazione del presente Regolamento. Nel computo dei mandati si intendono compresi anche quelli iniziati e poi interrotti per qualsiasi motivo.


    CONFERENZA DEI PRESIDENTI


    CONFERENZA DEI PRESIDENTI

    Articolo 20Articolo 20



    1. La Conferenza dei Presidenti, costituita dai Presidenti di Strutture di pari livello, è organo di raccordo con la Giunta di Presidenza dell’organo superiore. E’ costituita a livello Nazionale e Regionale. Il Presidente, in caso di indisponibilità, può essere sostituito da un Vice Presidente.

    2. E’ la sede dove le linee unitarie di indirizzo politico, definite dall’A.I.D.O. Nazionale/Regionale, vengono declinate sulle singole realtà regionali/provinciali e dove si concordano le modalità per l’attuazione dei programmi delle attività di interesse sovraregionale/interprovinciale nonché dei protocolli di intesa e delle azioni di sostegno a favore delle realtà carenti.

    3. E’ convocata dal Presidente Nazionale/Regionale almeno tre volte l’anno; è convocata, altresì, ogni qualvolta richiesto da almeno un terzo dei Presidenti che la costituiscono.

    4. Per le votazioni ogni Presidente ha voto pari ad uno.

    5. Alle sedute della Conferenza partecipa, senza diritto di voto, la Giunta di Presidenza dello stesso livello.




    1. La Conferenza, ove accerti motivatamente che il Consiglio Direttivo di riferimento non si attiene al programma quadriennale, può richiedere la verifica attraverso l’Assemblea Intermedia da convocarsi entro sessanta giorni dal provvedimento.

    2. Le funzioni di Segreteria della Conferenza sono assolte dalla Segreteria di riferimento.


    PRESIDENTE


    PRESIDENTE

    Articolo 21Articolo 21



    1. Il Presidente è il rappresentante legale dell’Associazione nell’ambito territoriale di competenza.

    2. Il Presidente Nazionale lo è anche in campo internazionale.

    3. Il Presidente convoca l’Assemblea, convoca e presiede il Consiglio Direttivo, la Giunta di Presidenza e la Conferenza dei Presidenti, formula l’ordine del giorno in accordo con la Giunta di Presidenza.

    4. In caso di assenza o di impedimento, il Presidente è sostituito dal Vice Presidente Vicario o da uno dei Vice Presidenti secondo quanto previsto dal Regolamento.

    5. In caso di commissariamento di una Struttura a livello inferiore, il Presidente della Struttura superiore adotta i provvedimenti urgenti ed indilazionabili non ascrivibili a normale amministrazione ad essa riferiti.

    6. Il Presidente cura l’esecuzione e l’attuazione delle delibere della Giunta di Presidenza.

    7. Assume, solo in casi di urgenza, i provvedimenti straordinari nelle materie di competenza della Giunta di Presidenza, con l’obbligo di sottoporli alla ratifica della Giunta stessa in occasione di una riunione che dovrà essere convocata entro i dieci giorni lavorativi successivi.

    8. Nell’espletamento dei suoi compiti il Presidente è coadiuvato dal Segretario.




    1. Il Presidente presiede il Consiglio, la Giunta di Presidenza e la Conferenza dei Presidenti e fissa, d’intesa con la Giunta, la data delle riunioni ed il luogo delle stesse.

    2. Convoca l’Assemblea, su deliberazione del Consiglio, e coordina l’attività di esso.

    3. Quando lo ritiene opportuno, previo parere della Giunta di Presidenza, interviene in sede giudiziaria a tutela dell’immagine dell’Associazione.

    4. In caso di impedimento il Presidente è sostituito dal Vice Presidente Vicario o, in assenza di questo, dal Vice Presidente più anziano di iscrizione.

    5. Nel caso di adozione di provvedimenti urgenti straordinari relativi ad una Struttura commissariata, il Presidente della Struttura superiore ne riferisce alla Giunta di Presidenza di riferimento per l’adozione degli opportuni provvedimenti.


    COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI


    COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI

    Articolo 22Articolo 22



    1. E’ costituito da tre componenti effettivi e due supplenti eletti dall’Assemblea tra persone di provata esperienza contabile e amministrativa. Dura in carica quattro anni.

    2. Il Collegio dei Revisori dei Conti svolge le funzioni previste dagli articoli 2403 e 2406 del Codice Civile e quindi controlla, al competente livello, l’amministrazione dell’Associazione, accerta la regolare tenuta della contabilità e vigila sul corretto utilizzo dei mezzi finanziari ai fini associativi.

    3. Redige apposita relazione da allegare al rendiconto annuale, con cui è espresso un parere di merito e di contenuto.

    4. Elegge al suo interno il Presidente nella prima riunione di insediamento.

    5. Su mandato del Consiglio del livello di appartenenza, in conseguenza di fondati motivi atti ad accertare la regolarità amministrativa, effettua verifiche sulla gestione della contabilità delle Strutture del livello inferiore.




    1. Ogni membro è rieleggibile per non più di due mandati e può essere ricusato solo per giusta causa.

    2. Al Presidente è demandato il compito di redigere il verbale di ogni seduta da far sottoscrivere a ciascun componente.

    3. Il Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti ha l’obbligo della convocazione del Collegio ed è responsabile della tenuta dei verbali.

    4. Non può assumere la carica di Revisore dei Conti colui che si trova nelle condizioni previste dall’articolo 2382 del Codice Civile.

    5. In caso di decesso, rinuncia o decadenza di un componente del Collegio subentra il primo dei supplenti per numero di voti.

    6. Qualora il numero dei supplenti fosse insufficiente per assicurare la composizione del Collegio, lo stesso è integrato nella prima Assemblea utile.

    7. La prestazione di Revisore dei Conti è svolta secondo le modalità previste dall’articolo 2404 del Codice Civile, in modo volontario e gratuito, salvo il rimborso delle spese sostenute per l’espletamento delle mansioni svolte fuori sede.

    8. Le responsabilità dei Revisori dei Conti sono quelle previste dall’articolo 2407 del Codice Civile.

    9. Il Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti o un suo Delegato, può assistere alle riunioni del Consiglio Direttivo, della Giunta di Presidenza ed alle Assemblee cui deve essere invitato.

    10. Le cariche del Collegio dei Revisori dei Conti a livello provinciale e regionale non sono compatibili con le cariche del Collegio dei Revisori dei Conti e della Giunta di Presidenza di livello immediatamente superiore e nell'ipotesi di cui all'art. 23 comma 12 punti c,d,e.


    COLLEGIO DEI PROBIVIRI


    COLLEGIO DEI PROBIVIRI

    Articolo 23Articolo 23



    1. Il Collegio dei Probiviri, eletto dall’Assemblea di riferimento è composto da tre membri effettivi e due supplenti scelti fra persone dotate di adeguata professionalità in materia giuridica. Nell'esercizio delle sue funzioni il Collegio può avvalersi di esperti esterni all'Associazione.

    2. Il Collegio dei Probiviri giudica al proprio livello i comportamenti antistatutari o non il linea con i dettati associativi su denuncia del Presidente o del Consiglio Direttivo.

    3. Il Collegio nella prima riunione di insediamento elegge al suo interno il Presidente

    4. Il Collegio dei Probiviri si pronuncia sui ricorsi contro membri del Consiglio Direttivo e sulle controversie tra Soci su argomenti di carattere associativo.

    5. Il Collegio dei Probiviri, in grado di appello, decide sui ricorsi presentati avverso le pronunce dei Collegi dei Probiviri delle Strutture inferiori.

    6. La decisione del Collegio nazionale dei Probiviri è inoppugnabile ed esecutiva, salvo per i giudizi promossi nei confronti dei Consiglieri Nazionali, i quali hanno facoltà di ricorso in ultima istanza al Collegio di Appello Nazionale.

    7. Il Collegio dei Probiviri esprime un giudizio su quanto sottoposto al suo esame; gli eventuali provvedimenti di conseguenza sono di competenza del Consiglio Direttivo:

    8. La carica di membro del Collegio dei Probiviri è incompatibile con qualunque altra carica o funzione nell’ambito degli organi e organismi associativi a qualsiasi livello.




    1. Ogni componente resta in carica per un quadriennio, è rieleggibile per non più di due mandati e può essere ricusato solo per giusta causa.

    2. Il Presidente ha l’obbligo di convocare il Collegio ove abbia materia di che giudicare. Al Presidente è demandato il compito di redigere il verbale di ogni seduta da far sottoscrivere a ciascun componente.

    3. In caso di decesso, rinuncia o decadenza di un componente del Collegio subentra il primo dei supplenti per numero di voti.

    4. Ogni componente del Collegio può essere ricusato per gravi motivi, in analogia a quanto disposto dall’articolo 52 del Codice di Procedura Civile.

    5. La prestazione dei Probiviri è svolta in modo volontario e gratuito, salvo il rimborso delle spese sostenute per l’espletamento delle mansioni svolte fuori sede.

    6. Il Collegio giudica a maggioranza sia in primo che in secondo grado, sulle istanze pervenutegli per iscritto, corredate dai mezzi di prova, a pena di nullità; deposita la decisione non oltre il novantesimo giorno dall’apertura del giudizio.

    7. I ricorsi al Collegio dei Probiviri Nazionale devono essere spediti a mezzo raccomandata A.R. indirizzata al Presidente del Collegio dei Probiviri Nazionale presso la Segreteria Nazionale.

    8. Il Collegio dei Probiviri giudicherà secondo equità con il rispetto del contraddittorio, previo esperimento del tentativo di componimento della vertenza e/o controversia.

    9. Le parti devono comparire personalmente, con facoltà di farsi assistere da patrocinatori. La decisione è comunicata per iscritto alle parti.

    10. Su mandato del Consiglio Direttivo della struttura di appartenenza, è dovere del Collegio dei Probiviri intervenire nelle Strutture inferiori, relazionando alla Struttura di appartenenza e, per conoscenza, alla Struttura interessata.

    11. Sono illeciti associativi:

    a. la non osservanza delle norme statutarie e regolamentari;

    b. ogni comportamento che evidenzia la mancanza di reciproco rispetto fra i responsabili.

    12. Le sanzioni applicabili, in base al livello di gravità sono:

    a. richiamo o censura;

    b. sospensione temporanea dall’incarico;

    c. destituzione dall’incarico;

    d. destituzione completa da ogni incarico istituzionale e rappresentativo;

    e. interdizione perpetua dagli incarichi associativi.

    Alle sanzioni di cui alle lettere b, c, d, e, si applica la pena accessoria della trasmissione del provvedimento ai Consigli Regionali per la comunicazione alle relative Strutture inferiori.


    COLLEGIO DI APPELLO NAZIONALE


    COLLEGIO DI APPELLO NAZIONALE

    Articolo 24Articolo 24



    1. Si compone di tre membri eletti dall’Assemblea Nazionale fra persone laureate in giurisprudenza non iscritte all’Associazione.

    2. Giudica in ultima istanza sui ricorsi dei Consiglieri Nazionali avverso le decisioni adottate dal Collegio dei Probiviri nazionale.

    3. Il Collegio nella prima riunione di insediamento elegge al suo interno il Presidente.




    1. Ogni componente resta in carica per un quadriennio, è rieleggibile e può essere ricusato solo per giusta causa.

    2. Le decisioni del Collegio di appello sono inappellabili.

    3. Il ricorso deve essere inviato per lettera raccomandata A.R. al Presidente del Collegio presso la Segreteria Nazionale.

    4. Il Collegio giudica a maggioranza sulle istanze pervenutegli per iscritto, corredate dagli elementi di prova, a pena di nullità; deposita la decisione non oltre il novantesimo giorno dall’apertura del giudizio.

    5. Le parti devono comparire personalmente, con facoltà di farsi assistere da patrocinatori.


    RISORSE ECONOMICHE


    RISORSE ECONOMICHE

    Articolo 25Articolo 25



    1. L’A.I.D.O. trae le risorse finanziarie per il suo funzionamento e per lo svolgimento della sua attività da:

    a. contributi dei Soci e di privati;

    b. contributi dello Stato, di Enti e di Istituzioni pubbliche e private finalizzati esclusivamente a sostegno di specifiche e documentate attività e progetti, anche pervenuti da convenzione;

    c. contributi di Organismi internazionali;

    d. donazioni e lasciti testamentari;

    e. rimborsi derivanti da convenzioni;

    f. entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali;

    g. entrate derivanti da attività connesse alle attività istituzionali;

    h. fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente in occasioni di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione;

    i. reddito del patrimonio.

    2. Il funzionamento delle Strutture superiori è assicurato dalle quote sociali di quelle inferiori secondo le modalità stabilite dal Regolamento.




    1. Le Assemblee nazionale, regionali e provinciali, sulla base dei rispettivi bilanci, determinano la misura delle quote sociali a carico delle Strutture inferiori.

    2. I Consigli Direttivi comunali, sulla scorta delle richieste delle Strutture superiori e delle attività proprie, possono stabilire l’entità dell'eventuale contributo annuo a carico degli associati da sottoporre all’approvazione dell’Assemblea.

    3. Gli oneri derivanti dal commissariamento di una Struttura sono a carico della Struttura stessa nella misura delle capacità economiche che le sono proprie.

    4. Le spese sostenute dai Soci, nell’adempimento di mandati specifici ricevuti dai rispettivi Consigli, sono a carico dei Consigli stessi.


    BILANCIO


    BILANCIO

    Articolo 26Articolo 26



    1. Ogni anno devono essere redatti, a cura del Consiglio Direttivo, i bilanci preventivo e consuntivo predisposti dalla Giunta di Presidenza (ove prevista) e da sottoporre all'approvazione dell'Assemblea.

    2. I bilanci devono essere portati a conoscenza del Collegio dei Revisori dei Conti almeno 15 giorni prima della presentazione all'Assemblea.

    3. I proventi derivanti da attività commerciali o produttive marginali sono inseriti in apposita voce del rendiconto dell’Associazione; l’Assemblea delibera sull’utilizzazione dei proventi che, obbligatoriamente, devono essere destinati per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse.

    4. E’ vietata la distribuzione, in qualsiasi forma anche indiretta nel rispetto del comma 6 dell'articolo 10 del D.Lgs. 4 dicembre 1997 n. 460, di utili o avanzi di gestione, nonché fondi, riserve o capitali, durante la vita dell’Associazione, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge o siano effettuate a favore di altre ONLUS che, per legge, statuto o regolamento fanno parte della medesima unitaria struttura.

    5. E’ fatto obbligo di impiegare gli utili e gli avanzi di gestione per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle direttamente connesse.

    6. E' fatto obbligo di redigere il bilancio annuale. L'esercizio finanziario deve coincidere con l'anno solare.




    1. Il Consiglio provvede, su indicazione della Giunta di Presidenza (ove prevista), alle variazioni necessarie e/o opportune tra i capitoli di spesa del bilancio preventivo già approvato dall'Assemblea, nel rispetto della somma complessiva delle uscite ovvero alla variazione per nuove o maggiori spese compensate da nuove o maggiori entrate.

    2. Dal bilancio consuntivo devono risultare i beni, i contributi e lasciti ricevuti e le spese per capitoli e voci analitiche.

    3. Ogni Struttura deve tenere e conservare una chiara ed aggiornata documentazione dei movimenti economici rispondente ai requisiti di chiarezza e di aderenza alle vigenti normative di legge.

    4. Ogni Struttura al proprio livello deve provvedere alla iscrizione al Registro del Volontariato (ove previsto) al fine di acquisire la qualifica di ONLUS.


    AUTONOMIE REGIONALI


    AUTONOMIE REGIONALI

    Articolo 27Articolo 27



    1. I Consigli Direttivi Regionali possono integrare le norme del Regolamento per adeguarle alle leggi della Regione di appartenenza, previo parere favorevole della Giunta di Presidenza nazionale e successiva approvazione dell’Assemblea Regionale.

    2. I Consigli Regionali definiscono l’organizzazione associativa nel territorio di competenza in funzione della legislazione regionale, dell’organizzazione socio-sanitaria della Regione e delle situazioni locali.




    1. Le norme dell’articolo 27 dello Statuto sono estese alle Province autonome di Trento e Bolzano.


    DURATA DELL’ASSOCIAZIONE


    DURATA DELL’ASSOCIAZIONE

    Articolo 28Articolo 28



    1. L’A.I.D.O. ha durata illimitata; il suo scioglimento può essere deliberato esclusivamente dall’Assemblea Nazionale convocata in via straordinaria, con la maggioranza dei tre quarti degli aventi diritto al voto.

    2. L’Assemblea Nazionale Straordinaria, che delibera lo scioglimento dell’Associazione, delibera inoltre, dopo aver provveduto alla liquidazione di tutte le passività e pendenze, la devoluzione delle eventuali attività residue ad altra organizzazione non lucrativa di utilità sociale o a fini di pubblica utilità sentito l’organismo di controllo di cui all'articolo 3 comma 190 della legge 662/96, salvo diversa destinazione imposta dalla legge.




    1. In caso di scioglimento dell’Associazione, il Presidente e la Giunta di Presidenza restano in carica per gli adempimenti relativi alla liquidazione dell’Associazione.


    MODIFICHE DELLO STATUTO


    MODIFICHE DELLO STATUTO

    Articolo 29Articolo 29



    1. Le modifiche al presente Statuto sono deliberate dall’Assemblea Nazionale Straordinaria con la maggioranza dei due terzi degli aventi diritto al voto ad eccezione della maggioranza richiesta dall'articolo 28 dello Statuto circa la deliberazione di scioglimento.




    1. Le proposte di modifica dello Statuto devono essere sottoposte al parere preventivo della Giunta di Presidenza e della Conferenza dei Presidenti riuniti in seduta congiunta.

    2. Successivamente le modifiche devono essere sottoposte al Consiglio Nazionale che, con motivato parere, convocherà l’Assemblea Straordinaria.


    NORME DI ATTUAZIONE


    NORME DI ATTUAZIONE

    Articolo 30Articolo 30



    1. Le norme di attuazione del presente Statuto sono contenute nel Regolamento di esecuzione, che è approvato, a maggioranza, dall’Assemblea Nazionale Ordinaria.




    1. Il testo dello Statuto associativo, approvato dall’Assemblea Nazionale Straordinaria e quello del presente Regolamento, approvato dall’Assemblea Nazionale Ordinaria, sono immediatamente trasmessi dal Consiglio Nazionale alle Strutture inferiori.

    2. Le norme in essi contenute entrano in vigore subito dopo la loro approvazione ad eccezione di quelle riguardanti le incompatibilità di cui all'art. 14 comma 14 e di quelle all'art.22 comma 10 del Regolamento che entreranno in vigore al termine del primo quadriennio di applicazione dello Statuto.

    3. A partire dall’approvazione del presente Regolamento la durata del mandato triennale degli Organismi a tutti i livelli è prorogata a quattro anni al fine di raccordare le scadenze ai sensi dell’articolo 7.3 dello Statuto.


    NORME TRANSITORIE E FINALI


    NORME TRANSITORIE E FINALI

    Articolo 31Articolo 31



    1. Per quanto non previsto dal presente Statuto valgono le norme stabilite dal Codice Civile.




    1. La Giunta di Presidenza è l'organo deputato ad esprimere pareri in materia statutaria e regolamentare.


     

     
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    Il successo dei trapianti legato alla possibilità di "salvare la vita" di persone affette da particolari malattie, ha aumentato le aspettative sia da parte dei malati che dei medici interessati ad offrire la cura più adeguata. E' questo il motivo per cui vi è una costante crescita di richiesta di trapianti.


    E’ ovvio che le varie organizzazioni bioetiche che sono deputate a pronunciarsi su questi temi abbiano espresso pareri chiari ed insindacabili.


    Onde evitare le ambiguità riportiamo (anche integralmente) i vari pronunciamenti del Comitato Nazionale per la Bioetica e della Pontificia Accademia delle Scienze.

    DICHIARAZIONE SUI CRITERI OGGETTIVI DELLA MORTE
    DEFINIZIONE E ACCERTAMENTO DELLA MORTE NELL'UOMO
    DONAZIONE D'ORGANO A FINI DI TRAPIANTO
    IL NEONATO ANENCEFALICO E LA DONAZIONE DI ORGANI


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    Pontificia Accademia delle Scienze
    DICHIARAZIONE SUI CRITERI OGGETTIVI DELLA MORTE (21 Ottobre 1985)



    D e f i n i z i o n e   d e l l a   m o r t e


    Una persona è morta quando ha subito una perdita irreversibile di ogni capacità di integrare e di coordinare le funzioni fisiche e mentali del corpo.

    La morte sopravviene quando:

    a) le funzioni spontanee del cuore e della respirazione sono definitivamente cessate, oppure
    b) si è accertata la cessazione irreversibile di ogni funzione cerebrale.

    Dal dibattito è risultato che la morte cerebrale è il vero criterio della morte poiché l'arresto definitivo delle funzioni cardio-respiratorie conduce molto rapidamente alla morte cerebrale.
    Il gruppo ha dunque analizzato i diversi metodi clinici e strumentali che permettono di constatare questo arresto irreversibile delle funzioni cerebrali. Per essere certi, mediante un elettroencefalogramma, che il cervello è diventato piatto, ossia che non presenta più attività elettrica, è necessario che l'esame venga effettuato almeno due volte a distanza di sei ore.


    P r o l u n g a m e n t o   a r t i f i c i a l e   d e l l e   f u n z i o n i   v e g e t a t i v e


    In caso di morte cerebrale, la respirazione artificiale può prolungare la funzione cardiaca per un tempo limitato.
    Questa sopravvivenza indotta degli organi è indicata quando si prevede un prelievo in vista di un trapianto.
    Questa eventualità è possibile solo in caso di lesione cerebrale totale e irreversibile sopraggiunta a un soggetto giovane, generalmente dopo un trauma violento.
    Prendendo in considerazione gli importanti progressi delle tecniche chirurgiche e dei mezzi per aumentare la tolleranza agli innesti, il gruppo ritiene che i trapianti di organi meritano il sostegno dello professione medica, della legislazione e della popolazione in generale.
    La donazione di organi, deve, in ogni circostanza, rispettare le ultime volontà del donatore o il consenso della famiglia nel caso in cui questa sia presente. 

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    Comitato Nazionale per la bioetica
    DEFINIZIONE E ACCERTAMENTO DELLA MORTE NELL'UOMO (15 Febbraio 1991)



    Il concetto di morte è definito dalla perdita totale e irreversibile della capacità dell’organismo di mantenere autonomamente la propria unità funzionale. 
    La morte può essere accertata attraverso criteri anatomici, clinici, biologici, cardiaci e neurologici. Per quanto riguarda i criteri anatomici, clinici, biologici e cardiaci il comitato rinvia ai criteri comunemente accettati o codificati e ritiene valido quanto è contenuto nel Regolamento di Polizia Mortuaria di recente modificato (D.M. in data I 0 settembre 1990). 


    Per quanto riguarda i criteri neurologici il Comitato ritiene accettabile solo quello che fa riferimento alla cosiddetta "morte cerebrale", intesa come danno cerebrale organico irreparabile, sviluppatosi acutamente, che ha provocato uno stato di coma irreversibile, dove il supporto artificiale è avvenuto in tempo a prevenire o trattare l'arresto cardiaco anossico.


    Non può essere accettato il criterio che fa riferimento alla "morte corticale", nel verificarsi della quale rimangono integri i centri del paleoencefalo e permane attiva la capacità di regolazione centrale delle funzioni omeostatiche o vegetative compresa la respirazione autonoma. 
    Non può altresì essere accettato il criterio che fa riferimento alla morte del troncoencefalo perché essa non indica di per sé che le strutture al di sopra del tronco abbiano perso lo possibilità di funzionare se stimolate in altro modo. 


    Alla attenta applicazione dei criteri clinici che, in presenza di una lesione cerebrale organica dimostrata con i mezzi della Diagnostica strumentale, inducono il sospetto di morte cerebrale, deve accompagnarsi la ricerca, da parte del rianimatore, di tutti i fattori che possono fornire la certezza dell’avvenuta morte cerebrale. 
    L'accertamento della morte in età pediatrica presenta problemi particolari per superare i quali si ritengono accettabili i criteri compilati dalla "Task force for the determination of Brain death in children", che prevedono un periodo di osservazione più lungo. 


    L’accertamento della morte del neonato a termine comporta l’applicazione congiunta di tutti i criteri indicati dalla Task Force; per il neonato pretermine, specie di età gestazionale inferiore alle 32 settimane, oltre ai criteri indicati dalla Task Force, debbono raccomandarsi un tempo di osservazione sufficientemente lungo e la più ampia prudenza nella valutazione dei parametri strumentali attualmente disponibili. 

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    Comitato Nazionale per la bioetica
    DONAZIONE D'ORGANO A FINI DI TRAPIANTO (7 ottobre 1991)


    I l   C o m i t a t o :


    Ritiene che si debba perseguire un'etica che consideri doverosa la donazione post-mortem e ne favorisca la diffusione; 
    ritiene che per facilitare il raggiungimento dell’obbiettivo di un trapianto/donazione, sia consigliabile la transizione verso un regime giuridico del consenso ai prelievi di organo da cadavere, nel quale possano trovare riconoscimento più equilibrato le istanze della scelta personale di donare i propri organi - per una fase appropriato di età - e la presunzione qualificata della prestazione del consenso nei confronti di chi abbia taciuto, pur in presenza dì una norma che prescriva di esplicitare la propria volontà relativamente all’accettazione del prelievo; 

    i n   o g n i   c a s o ,   i l   C o m  i t a t o   r i t i e n e   n e c e s s a r i o :  


    Che venga accresciuta la sensibilità nei riguardi della cultura dei trapianti, nell’ambito dei principi generali di solidarietà umana, attraverso adeguate iniziative socio-sanitarie con esplicito impegno da parte dello Stato di assumersi l'onere della loro realizzazione; 
    che siano rimosse tutte le numerose difficoltà a livello organizzativo che costituiscono ancora causa manifesta di mancato utilizzo di organi potenzialmente disponibili per la salvezza di una vita umana; 
    che venga bandita ogni ipotesi di commercializzazione nella trapiantologia umana anche attraverso una più attenta sorveglianza e la creazione di idonei strumenti legislativi penalistici.

    Versione completa 


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    Comitato Nazionale per la bioetica
    IL NEONATO ANENCEFALICO E LA DONAZIONE DI ORGANI (21 Giugno 1996)







    N e o n a t o   a n e n c e f a l i c o 


    Il documento affronta il problema dei neonati nei quali si manifestano forme di anencefalia: una patologia di cui generalmente si ha cognizione solo all’interno di un ristretto numero di persone, per lo più specialisti. 
    Eppure, quello dei bambini anencefalici è un problema bioetico di grande rilievo e sotto diversi profili: oltre ad attivare una seria riflessione sulla dignità della persona che comunque a tali bambini va riconosciuta, esso mette in questione tematiche relative alla opportunità della loro rianimazione, alla determinazione del momento della loro morte, e soprattutto, alla liceità di far uso del loro corpo come fonte per organi da trapiantare.
    Per quanto riguarda quest’ultimo punto per il Comitato Nazionale di Bioetica rendere disponibili gli organi per un trapianto rappresenta un grande sbocco umanitario all’impegno ed alle sofferenze dei familiari.

     
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    IL NEONATO ANENCEFALICO E LA DONAZIONE DI ORGANI  
    Comitato nazionale per la Bioetica - Testo approvato dal CNB il 21.6.1996



    P R E S E N T A Z I O N E 


    Sensibilissima e divisa su questioni bioetiche, peraltro obiettivamente cruciali, quali la fecondazione assistita, l'eutanasia, lo statuto dell'embrione umano, la pubblica opinione nutre sicuramente ben poche perplessità per quel che concerne la liceità etica della donazione di organi e più in generale dei trapianti: una pratica, questa, che probabilmente desta ancora (e pour cause) sentimenti complessi, caratterizzati da uno strettissimo intreccio di ammirazione e timore, ma che pure sembra ormai entrata in una logica routinaria, sia pur di altissimo livello. Ma in ordine ai trapianti le questioni bioetiche continuano a presentarsi, sia pure in forme tali da non coinvolgere (o da non coinvolger più) l'attenzione spasmodica dei mezzi di comunicazione di massa: caso limitato, ma esemplare, quello appunto della donazione di organi nell'infanzia da bambino anencefalico. Ma il Comitato Nazionale per la Bioetica, che pure è profondamente convinto che sia proprio dovere prendere assolutamente sul serio e dare pronta risposta ai turbamenti bioetici che emergono dalla pubblica opinione, anche quando obiettivamente sovradimensionati, non perciò ritiene irrilevante prendere posizione su questioni che molti riterrebbero marginali, sia per la loro eventuale sofisticazione teorica, che per la loro limitata incidenza statistica. Un caso tipico è appunto quello dei neonati nei quali si manifestino forme di anencefalia: una patologia, questa, di cui generalmente si ha cognizione solo all'interno di un ristretto numero di persone, per lo più specialisti. Pure, quello dei bambini anencefalici è un problema bioetico di grande rilievo e sotto diversi profili: oltre ad attivare una seria riflessione sulla dignità di persona che comunque a tali bambini va riconosciuta, esso mette in questione tematiche relative alla opportunità della loro rianimazione, alla determinazione del momento della loro morte, e soprattutto appunto alla liceità di far uso del loro corpo come fonte per organi da trapiantare. Ma le questioni non si limitano a queste: non si dimentichi, ad es., quale significato può avere una diagnosi prenatale di anencefalia del feto per la coppia dei suoi genitori. Problematiche del genere avevano già suscitato l'attenzione del CNB durante l'elaborazione di alcuni tra i suoi più importanti documenti, a partire dal primo tra tutti, Definizione e accertamento della morte nell'uomo (approvato il 15 febbraio 1991); oltre a questo, mi limito a ricordare Diagnosi prenatali (18 luglio 1992), Trapianti di organi nell'infanzia (21 gennaio 1994), Bioetica con l'infanzia (22 gennaio 1994), fino al recentissimo Venire al mondo (15 dicembre 1995). Il continuo, seppur trasversale, riproporsi del tema dell'anencefalia ha convinto alla fine i membri del Comitato ad attivare sul tema uno specifico gruppo di lavoro, alla cui direzione è stato designato il Prof. Corrado Manni, perché fosse elaborato un testo sintetico ma esauriente, che potesse servire da orientamento sullo statuto bioetico da riconoscere ai bambini anencefalici, in particolare per quel che concerne la possibilità di utilizzarli come donatori di organi. Il gruppo, al quale hanno afferito i colleghi Barni, Benciolini, Coghi, Danesino, Gaddini, Leocata, Loreti Beghè, Sgreccia e Romanini, ha portato rapidamente a termine i propri lavori, che sono stati esaminati, discussi e in più di un caso ulteriormente puntualizzati dal Comitato, riunito in seduta plenaria. Alla stesura del documento hanno inoltre collaborato il Prof. Rodolfo Proietti ed il Dott. Lorenzo Martinelli dell’Istituto di Anestesiologia e Rianimazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, ed il Prof. Pier Paolo Mastroiacovo dell’Istituto di Clinica Pediatrica della stessa Univesità. Il giorno 21 giugno 1996 si è infine avuta l'approvazione unanime del documento.

    Nel licenziarlo alle stampe sento il dovere di formulare un ringraziamento e un auspicio: un ringraziamento a coloro che hanno collaborato alla sua redazione, e soprattutto a Corrado Manni, senza il cui decisivo contributo scientifico e bioetico il documento non avrebbe mai visto la luce; e l'auspicio perché questo testo venga, come merita, letto, meditato e ampiamente discusso. 


    Il Presidente 

    Francesco D'Agostino


    Roma, 21 giugno 1996


    P R E M E S S A 


    Il problema del neonato anencefalico ha assunto negli ultimi anni un'importanza via via crescente sotto molteplici aspetti: medici, tecnici, giuridici, ma soprattutto, etici.
    Nel 1967 fu riportato il primo caso di trapianto da donatore anencefalico, ma la relazione scientifica non affrontò minimamente le numerose questioni che tale procedura suscitava, limitandosi a descrivere gli aspetti tecnici ed osservando che "i neonati anencefalici erano una scelta ragionevole come donatori per i trapianti infantili" (1). Oggi la voce 'anencephaly' dell’Index Medicus riporta decine di references, con un notevole aumento a partire dal 1984; molte di esse analizzano anche le tematiche etiche che tale ambito della medicina suscita (2).
    Ciò sta a significare che all'aumentato interesse scientifico e trapiantologico suscitato dal feto anencefalico corrisponde anche una riflessione etica assai estesa, riflessione che mancava al momento in cui tale problema si presentò.
    Un primo ambito di problemi si riferisce al trattamento medico dell'anencefalico dopo la nascita: questo aspetto si è reso più evidente con la disponibilità, sempre maggiore, di mezzi di terapia intensiva e con le domande che tale disponibilità suscita in questo caso particolare.
    Un secondo ambito, ben più ampio e controverso, comprende gli aspetti relativi al possibile uso dei feti anencefalici come donatori di organi per il trapianto: questo aspetto ha assunto notevole importanza a causa dei progressi che la tecnica dei trapianti ha avuto in questi ultimi anni; progressi che hanno reso possibili i trapianti anche in età neonatale ed hanno acuito maggiormente la scarsità di organi per questo particolare arco di età.
    Le cause di morte cerebrale sono, peraltro, assai rare nell'età infantile e la disponibilità di donatori si limita ai soggetti morti per asfissia perinatale, ai decessi per morte improvvisa neonatale (sudden infant death syndrome), incidenti o maltrattamenti (child abuse) (2).
    Prima ancora di addentrarsi nelle problematiche etiche del neonato anencefalico una precisazione terminologica: alcuni autori hanno contestato come fuorviante la semplice denominazione di anencefalico poichè essa conterrebbe già la considerazione di questi soggetti come esseri depersonalizzati. Analogamente si osserva che improprio è definirli donatori d'organo in quanto nell'età neonatale ed infantile non si può parlare di donazione, azione che presuppone capacità di intendere e di volere liberamente (3). Pur accettando le considerazioni espresse in tali osservazioni i termini in questione saranno qui indifferentemente usati per motivi di praticità.
    Saranno considerati dapprima gli aspetti biologici fondamentali, con i margini di incertezza che ancora sussistono e, successivamente, gli aspetti antropologici ed etici relativi alla problematica del neonato con malformazione anencefalica. 








    ASPETTI BIOMEDICI DELL'ANENCEFALIA


    Definizione: letteralmente anencefalia significa assenza dell'encefalo. In realtà si definisce con tale termine una rara malformazione del tubo neurale intervenuta tra il sedicesimo ed il ventiseiesimo giorno di gestazione, in cui si ha "assenza completa o parziale della volta cranica e dei tessuti sovrastanti e vario grado di malformazione e distruzione degli abbozzi di cervello esposto"(4). Si verifica quindi, assenza degli emisferi cerebrali e dei tessuti cranici che li racchiudono, con presenza del tronco encefalico e di porzioni variabili del diencefalo. La assenza degli emisferi e del cervelletto può essere variabile, come variabile può essere il difetto della volta cranica. La superficie nervosa è coperta da un tessuto spugnoso, costituito da tessuto esposto degenerato.
    E' questo il quadro di riferimento generale della malformazione anencefalica; non si deve tuttavia pensare che questa malformazione sia una entità strettamente definibile. L'Autore di un testo qualificato sull'anencefalia si stupisce, a ragione, della varietà di denominazioni e di classificazioni esistenti in letteratura sull'argomento (4).
    La difficoltà di classificazione si basa sul fatto che l'anencefalia non è una malformazione di tipo tutto-nulla, non è quindi o presente o assente, ma si tratta di un continuum malformativo che passa, senza soluzione di continuo, dai quadri meno gravi ai quadri di indubitabile anencefalia. Una classificazione rigida è quindi pressoché impossibile (5).
    Alcune malformazioni del sistema nervoso centrale sono per alcuni aspetti accostabili all'anencefalia, ma da non confondere con essa. Tra queste ricordiamo:
    - la sindrome della banda amniotica (in cui può essere presente anencefalia associata ad amputazioni, ma raramente malformazioni di organi interni);
    - la iniencefalia, in cui abbiamo malformazioni gravi della colonna cervicale e malformazioni multiple;
    - l'encefalocele, un difetto del tubo neurale in cui una parte dell'encefalo, più o meno gravemente malformato, ernia da un difetto di chiusura del cranio (6).
    Accanto a tali malformazioni si deve ricordare anche l'idrocefalia, le cui forme più gravi possono avere significato funzionale analogo a quello dell'anencefalia (7); per questo motivo anche tale malformazione è spesso citata nel dibattito sul feto anencefalico (8).

    Malformazioni associate: sono numerose le malformazioni associate a questa patologia:
    - gravi e frequenti le malformazioni di organi cranici quali occhio, orecchio, ipofisi.
    - meno frequenti le malformazioni a carico dell'apparato cardiocircolatorio (2-8%) a fronte dello 0.4% della popolazione generale e dell'apparato genitourinario (dal 4 al 26%) (9,36) a fronte dell'8.4% della popolazione generale.
    Tale incidenza, pur non trascurabile e tuttora di valutazione non definitiva, ha fatto concludere che reni, fegato e cuore, pur essendo in generale di dimensioni più ridotte per il peso corporeo ed affetti da una maggiore percentuale di malformazioni, sono nella maggior parte dei feti anencefalici nati vivi adatti, almeno inizialmente, ad essere trapiantati (10, 91, 36).
    Secondo i dati IPIMC (Indagine Policentrica Italiana Malformazioni Congenite) in 55 autopsie eseguite su neonati anencefalici, 20 neonati presentavano una malformazione associata, e tra essi 7 presentavano una cardiopatia. Il peso medio era di 1982 g nei neonati senza malformazioni, 1670 nei neonati con malformazioni extracardiache e 1355 g nei neonati con cardiopatia.

    Eziologia: non è nota, ma si pensa ad un'origine multifattoriale in cui fattori genetici ed ambientali abbiano un ruolo preminente; non si tratta di una malformazione comune nelle affezioni virali e nella patologia cromosomica.

    Prevalenza: la prevalenza dell'anencefalia, benché variabile in base ai criteri diagnostici ed alle misure di screening prenatale, è dell'ordine di grandezza di 0.3 - 1 per mille nati (11,12,13), comprendendo sia i nati morti che i nati vivi.
    Tale dato mostra un declino di circa il 5% annuo e del 2.7% degli anencefalici nati vivi. E' prevedibile che in conseguenza dei sempre più ampi piani di screening prenatale la prevalenza dei difetti del tubo neurale alla nascita sarà, via via, sempre più ridotta.
    Secondo i dati dell'IPIMC (Indagine Policentrica Italiana Malformazioni Congenite) che si riferiscono a 1.793.000 nati, osservati nel periodo 1978-1994 in circa 100 ospedali italiani, si sono verificati 185 casi di neonati anencefalicici, di cui 120 nati vivi (68 deceduti entro 24 ore) e 65 nati morti.
    Negli ultimi 5-6 anni la prevalenza dell'anencefalia è di circa lo 0.5 - 1 per 10.000 nati. Riferendo questi dati al totale delle nascite in Italia ( circa 520.000 / anno) si può prevedere la nascita annuale di 25-50 neonati anencefalici.

    Diagnosi: la diagnosi prenatale è possibile tramite lo screening della alfa fetoproteina materna e l'ultrasonografia. I due metodi combinati hanno dimostrato, su screening di larga scala, una sensibilità tra l'80 ed il 100% (14,15,16,17).
    Da notare che molte legislazioni permettono l'interruzione della gravidanza in presenza di malformazioni gravi del feto. Un recente studio ha evidenziato che nel caso dell'anencefalia l'interruzione volontaria della gravidanza interviene in circa l'80 per cento dei casi (96).
    La diagnosi è fatta, spesso, prima della ventesima settimana di gestazione (18).
    Aspetti funzionali: il feto anencefalico è gravemente deficitario sul piano neurologico. Le funzioni legate alla corteccia mancano: sono quindi assenti non solo i fenomeni della vita psichica, ma anche la sensibilità (19, 20), la motilità (21), l'integrazione di quasi tutte le funzioni corporee (22). Generalmente è mantenuto un controllo più o meno valido della funzione respiratoria e circolatoria, funzioni che dipendono da strutture poste nel tronco encefalico.

    Sopravvivenza: con le attuali terapie la sopravvivenza dell'anencefalico è molto ridotta. Sono riportate percentuali di nati vivi tra il 40 e il 60% (23, 24) mentre dopo la nascita soltanto l'8% sopravvive più di una settimana e l'1 % tra uno e tre mesi (25, 26). E' riportato un caso singolo di sopravvivenza fino a 14 mesi (81) e due casi di sopravvivenza di 7 e 10 mesi, senza necessità di respirazione meccanica (97).
    Il registro della British Columbia nel periodo 1952-1981 ha registrato 450 anencefalici, di cui il 60% nati morti ed il 40% nati vivi. Dei 180 nati vivi il 58% non sopravvisse oltre le 24 ore. La mortalità a 72 ore fu dell'86% e del 98% ad 1 settimana. (25)
    Nonostante una aspettativa di vita così ridotta non è sempre possibile definire l'imminenza del decesso (27) e la durata della vita può essere di molto influenzata dalle terapie di sostegno intensivo.
    Solo in piccola parte si assiste ad una progressiva degenerazione del tessuto nervoso, dato che la lesione appare generalmente stabilizzata al momento della nascita. Un rischio elevato si ha al momento del parto, per il trauma che il tessuto nervoso residuo subisce non essendo protetto dalle strutture ossee. Successivamente la morte interviene principalmente per insufficienza respiratoria causata da incompetenza delle strutture nervose di controllo o da displasia polmonare ed in piccola parte per anomalie multiple di tipo endocrino (ipofisi, surrene) (4, 28, 29).
    Recentemente è sorto negli Stati Uniti un caso medico-legale (conosciuto come il caso di Baby K) in seguito alla nascita con parto cesareo di una neonata anencefalicica, la cui condizione era conosciuta fin dalla vita intrauterina. La madre si oppose alla interruzione della ventilazione meccanica, che era stata istituita dopo la nascita. La Corte Distrettuale sentenziò che sulla base dell'Emergency Treatment Act la terapia respiratoria con ventilatore non era nè "futile ", ne "inumana" ed era perciò conforme alla legge americana. La pretesa dell'ospedale di rifiutare tale tipo di cura non era perciò legittima, in quanto la legislazione americana non prevede alcun tipo di deroga riguardante il trattamento di pazienti affetti da anencefalia (98).
    In ogni caso, pur di fronte a sopravvivenze variabili, anche in dipendenza dal grado di sostegno intensivo e dall'epoca di raccolta delle casistiche, la anencefalia è una condizione letale e normalmente nessun neonato sopravvive oltre i tre giorni. (6) 


     







    PROBLEMI CORRELATI AL NEONATO ANENCEFALICO ED ALLA DONAZIONE DI ORGANI


    Il CNB in altro documento ha già affrontato i complessi problemi bioetici che sorgono in ordine alla trapiantologia infantile (cfr. Trapianti di organi nell’infanzia, approvato il 21 gennaio 1994). E’ già stato rilevato, quindi, come la necessità di piccoli organi ai fini del trapianto sia molto superiore alle possibilità di reperimento degli stessi. La maggior parte dei pazienti in attesa di trapianto muore prima che sia stato possibile reperire un donatore (30). Gli organi in età infantile sono necessari per i trapianti in piccoli pazienti (sindrome del cuore sinistro ipoplasico, atresia biliare), e sono particolarmente interessanti anche per le caratteristiche di sopravvivenza e di possibilità di crescita del loro potenziale funzionale.
    Promettenti sviluppi si aprono, quindi, anche per l'impiego di tali piccoli organi in sede eterotopica in funzione ausiliaria e non sostitutiva, permanente o transitoria (30).
    In futuro è ipotizzabile, inoltre, l'uso di linee cellulari, anzichè interi organi, nel trattamento di neoplasie del sistema ematopoietico, di deficit enzimatici, immunologici ed endocrini.
    Nonostante i molti aspetti e risultati incoraggianti, l'intera materia dei trapianti infantili è ancora oggetto di discussione critica, sia per le indicazioni che per le tecniche e i risultati, a prescindere quindi dagli aspetti etici (27, 31, 32, 33). Nella valutazione si deve anche rammentare che si tratta di una chirurgia di altissimo livello tecnico - organizzativo, che assai difficilmente sarà a disposizione di un numero elevato di pazienti. (Per una revisione della materia del prelievo da donatore anencefalico vedi (34))
    Assai controverso è il ruolo che la eventuale disponibilità di organi di feti anencefalici potrebbe assumere nel soddisfare le esigenze di piccoli pazienti necessitanti di trapianto.
    Pur partendo da analoghe considerazioni numeriche autori diversi giungono a conclusioni diametralmente opposte sul numero di feti disponibili teoricamente negli Stati Uniti ogni anno: da 1800 feti vivi (35) a 400 disponibili al trapianto (36) fino a poche unità di trapianti realmente effettuabili (27, 89).
    La differente valutazione si basa sulla diversa considerazione del numero dei prematuri, delle malformazioni associate, delle difficoltà di trovare un adeguato ricevente, della sopravvivenza a lungo termine e di molti altri fattori. Per una estesa analisi di questi dati vedi (8).
    Anche se tale controversia può non rivestire particolare rilevanza etica, è tuttavia importante osservare come la potenzialità dell'uso dei feti anencefalici sia stata assai diversamente valutata: da unico rimedio ad una situazione di grande necessità di organi, a provvedimento di irrilevante effetto sul problema delle gravi malformazioni infantili, in grado di rimediare solo a pochissime situazioni particolari.

    Il problema delle cure al neonato anencefalico
    Prescindendo dalla possibilità di utilizzare gli organi di neonati anencefalici ai fini del trapianto il problema medico fondamentale è quello di stabilire quali cure si debbano prestare dopo la nascita, una volta accertata la diagnosi ed appurato che non esistono possibilità di sopravvivenza a lungo termine.
    La disponibilità di mezzi di terapia intensiva atti al sostegno delle funzioni vitali suscita la domanda se tali mezzi debbano essere impiegati. Generalmente vi è accordo sul fatto che in questi casi, si debbano utilizzare solo mezzi ordinari di cura considerando che nessuna terapia, per quanto aggressiva, appare oggi in grado di modificare il decorso della malattia che risulta sempre mortale e che ha alla base la assenza stessa delle strutture che la terapia intensiva dovrebbe momentaneamente vicariare (37, 38, 39). Tali strutture non hanno alcuna possibilità di ripresa e ci si muoverebbe, quindi, in un campo di accanimento terapeutico privo di finalità e possibilità benefiche e, quindi, immotivato.

    Il soggetto anencefalico e la possibilità della donazione di organi
    Affrontando, invece, i problemi relativi all'anencefalico come possibile donatore si possono evidenziare numerose questioni e tre diverse posizioni concettuali nei riguardi del neonato anencefalico.
    Punto di partenza comune è che la tecnica dei trapianti è in grado di alleviare le sofferenze e consentire la sopravvivenza di un gran numero di soggetti ammalati e che ogni sforzo deve essere prodotto al fine di provvedere alle necessità di organi. Le differenze di posizione si evidenziano al momento di stabilire i confini etici dai quali questo sforzo deve essere delimitato. Una prima considerazione è che il prelievo degli organi complessi (fegato, rene e, soprattutto, cuore) deve essere effettuato in condizioni di relativo compenso emodinamico, in un momento in cui, cioè, il cuore è ancora battente, in modo valido, ed in grado do assicurare agli organi interessati una sufficiente perfusione.
    In altri termini attendere la morte dell'anencefalico secondo criteri cardiorespiratori e solo successivamente prelevare gli organi non è compatibile con la preservazione delle funzioni degli organi stessi, che non sarebbero più adatti ad essere trapiantati. E' un problema analogo a quello presentato dal donatore adulto, per il quale è stato approfondito il problema della morte cerebrale. In vari paesi si è avuta una differente traduzione legislativa, anche se, in generale, quasi tutte le legislazioni si attengono al principio della necessità dellacompleta e definitiva sospensione delle funzioni di tutto l'encefalo. L'accertamento di tale stato è effettuato in modi diversi, anche se con l'unico scopo di dimostrare la presenza di una medesima condizione.
    Nel caso del neonato anencefalico la dimostrazione della morte cerebrale presenta notevoli difficoltà, legate alle conoscenze ancora imperfette sulla neurofisiologia neonatale in senso generale ed anche alla stessa condizione malformativa del soggetto (37).
    La rilevazione dell'EEG è impossibile per la stessa assenza anatomica delle strutture che ne originano i potenziali (corteccia). Inoltre la presenza di onde EEG nel neonato e nel bambino non esclude la diagnosi di morte cerebrale (40).
    La misurazione del flusso cerebrale, ancorché difficile, non è significativa in condizione di gravi malformazioni vascolari cerebrali. Parimenti la dimostrazione di flusso cerebrale non esclude, nell'infanzia, la diagnosi di morte cerebrale (41).
    I riflessi del tronco sono variabili in considerazione delle malformazioni a carico di numerosi nervi cranici.
    L'esame clinico tendente ad accertare la compromissione del tronco encefalico è, quindi, di dubbia affidabilità sia per la difficoltà di evocare i riflessi del tronco, sia di interpretare le risposte ottenute. Accanto a ciò è emerso un aspetto ancor più basilare nella fisiopatologia del SNC in età neonatale.
    Un vivace dibattito è in corso sulle potenzialità dell'encefalo in età neonatale. Una notevole capacità di adattamento, anche a condizioni patologiche assai gravi, è riconosciuta nei primi giorni di vita, in cui particolarmente attivi e validi sembrano i fenomeni di neuroplasticità (42, 43). Ampia bibliografia in (8).
    L'encefalo del neonato appare, oggi, sempre meno comparabile ad un cervello adulto in miniatura, soprattutto per le funzioni della coscienza e del contatto con l'ambiente, e sempre più comparabile ad un organo in formazione, con potenzialità variabili (8). La perdita o la mancanza di una parte nella fase di sviluppo non è paragonabile alla perdita della stessa parte una volta che lo sviluppo si sia complessivamente compiuto (8).
    Tali considerazioni hanno particolare rilievo nella valutazione delle capacità dell'anencefalico.
    Non si tratta, ovviamente, della possibilità da parte del tronco di vicariare le funzioni della corteccia mancante, ma di ammettere che la neuroplasticità del tronco potrebbe essere sufficiente a garantire all'anencefalico, almeno nelle forme meno gravi, una qualche primitiva possibilità di coscienza.
    Dovrebbe, quindi, essere respinto l'assunto che l'anencefalico, in quanto privo di emisferi cerebrali non è in grado di avere coscienza e di patire sofferenza 'per definizione' (8, 44).

    Al fine di superare le difficoltà legislative attualmente presenti si sono evidenziate tre diverse possibili valutazioni del problema dell'anencefalico:

    a) Classificare a parte i soggetti anencefalici
    La prima posizione evidenzia il fatto che l'anencefalico ha la particolarità di non possedere la corteccia cerebrale e di non essere dotato delle strutture anatomiche stesse che presiedono alle funzioni superiori. Tali funzioni vengono considerate da alcuni caratteristiche dell'umanità e questa grave malformazione configurerebbe per l'anencefalico uno status particolare (31); non avrebbe quindi senso parlare di "morte cerebrale", ma si dovrebbe parlare di "assenza cerebrale". Una condizione, cioè, del tutto peculiare, secondo le intenzioni di chi lo propone, che dovrebbe ottenere un opportuno riconoscimento legislativo. L'anencefalico non è, quindi, un soggetto "brain dead" ma un caso particolare di morte cerebrale denominato 'brain absence ' (45, 46, 47, 90).
    Un individuo in queste condizioni, incapace di pensiero e di sensibilità, non ha alcun interesse da difendere e, quindi, non è portatore di diritti e non necessita delle tutele applicate a qualsiasi altro soggetto (48).
    Tale posizione si presta a numerose critiche, sia dal punto di vista medico che da quello morale. Essa è originata da un palese intento utilitaristico (3).
    Innanzitutto si è visto che la malformazione non è una entità definita, ma un continuum di gravità a cui si dovrebbero porre dei confini convenzionali. Ciò porterebbe sicuramente a difficoltà di diagnosi e possibilità di errore (49, 52, 89), benché la possibilità di errore non sia di per se un elemento sufficiente a proibire una determinata pratica medica.
    Una seconda obiezione riguarda la possibilità di sofferenza, che non può essere esclusa sulla base delle considerazioni neurofisiologiche a cui si è accennato e sulla base delle attuali conoscenze (44, 53).
    L'obiezione di fondo, tuttavia, è che questi soggetti sono utilizzati senza che a loro derivi un bene, anzi , con un possibile danno, al fine di un beneficio per altri. Essi non sono in grado di esprimere un consenso di alcun genere e la loro condizione non è diversa da quella di molti altri malati in gravi condizioni.
    La posizione illustrata permetterebbe di stralciare la posizione di alcuni soggetti particolari al fine di renderli 'donatori' di organi, in base a valutazioni sulla qualità della loro vita. Non è presente un bilanciamento tra vantaggio per un soggetto e svantaggio per lo stesso e gli altri, ma solo uno squilibrio tra svantaggio per un individuo e vantaggio di un altro (36).
    Accettare una tale posizione significherebbe, inoltre, creare una zona di incertezza nella quale potrebbero ricadere numerose altre condizioni, tra cui lo stato vegetativo persistente (46). Questo argomento, la creazione cioè di uno 'slippery slope', un pendio scivoloso capace di portare molto più in là delle intenzioni originarie, è rimarcato da numerosi autori (3, 31, 36, 48, 51).
    Esiste, al contrario, la necessità di definire il fenomeno della morte con una serie di regole valide in ogni caso, che non permettano eccezioni per condizioni patologiche particolari. Anche ai fini dell'accettazione della donazione di organi da parte dei cittadini una politica di chiarezza ed essenzialità delle regole è da molti autori ritenuta più promettente (27).
    La definizione di morte deve rimanere distinta dalla necessità del trapianto, anche se le necessità e possibilità del trapianto devono costituire uno stimolo all'approfondimento scientifico e clinico. L'opinione pubblica deve avere la certezza che la morte è stabilita con criteri obiettivi e non equivoci e che tali criteri non sono modificati dalla necessità o meno di reperire organi per trapianti.
    E', questo, un diritto fondamentale di ciascuno, prima ancora che un fondamento per una saggia politica del trapianto.

    b) Rivedere l'attuale concetto di morte cerebrale introducendo altri criteri di giudizio
    Una seconda posizione, più radicale ed estensiva della precedente, è quella che invoca l'abbandono del criterio di morte di tutto l'encefalo ritenendo sufficiente la morte della corteccia cerebrale (54, 55).
    Nella definizione della morte si dà, quindi, la massima importanza all'assenza della autocoscienza e della possibilità di relazione, tipica dell'uomo, e minore importanza alle funzioni vegetative, che non sono considerate caratteristiche dell'umanità (27, 35, 56, 57, 58, 60, 61).
    Si tratterebbe, quindi, di ridefinire la morte cerebrale sostituendo alla necessità della completa e definitiva sospensione delle funzioni di tutto l'encefalo la sufficienza della morte della sola corteccia cerebrale e ciò per la totalità dei casi e non solo per l'anencefalico. Su questo problema, peraltro, il Comitato Nazionale per la Bioetica ha già espresso il proprio parere (102) sostenendo che "Non si può condividere questa opinione (ossia la definizione di morte corticale) perché, rimanendo integri i centri del paleoencefalo, permangono attive le capacità di regolazione (centrale) omeostatiche dell'organismo e la capacità di espletare in modo integrato le vitali funzioni, compresa la respirazione autonoma".
    Nel caso particolare dell'anencefalico la liceità del prelievo di organi viene anche giustificata dalla brevissima aspettativa di vita di questi soggetti (27). Secondo alcuni autori la inevitabilità dell'aggravamento delle condizioni cliniche del soggetto anencefalico e l'imminenza della morte giustificherebbe il prelievo degli organi ante-mortem (85, 86).
    Questa posizione attribuisce grande importanza alla integrazione neurologica delle varie funzioni, per cui, pur con presenza della respirazione e della circolazione, in assenza di una integrazione superiore, il soggetto è da considerarsi deceduto (62).
    Una tale impostazione è soggetta a numerose critiche, ed in tale caso è massimamente valido il rischio di estendere il giudizio di morte a soggetti che abbiano non la distruzione anatomica ma la incapacità funzionale della corteccia cerebrale. Un problema immenso si aprirebbe e di questo problema l'anencefalico costituirebbe solo una piccola parte.
    Si rischierebbe l'autorizzazione del prelievo di organi da soggetti viventi, sulla base di considerazioni relative alla loro integrazione neurologica ed alla loro speranza di vita (persone in punto di morte) (27, 89). Si noti che, per assurdo, una volta accettato il principio che è lecito interrompere la vita di un individuo, anche se in particolari condizioni fisiche, a vantaggio di altri, potrebbero rientrare in questa categoria numerosi soggetti (si pensi a condannati alla pena capitale), tra cui addirittura i soggetti stessi affetti da gravi malattie ed in attesa di trapianto (89).
    La prima posizione illustrata costituisce, come è evidente, un tentativo di tipo giuridico per applicare al solo anencefalico il criterio di morte cerebrale come morte (assenza) della sola corteccia, evitando di affrontare i problemi che la estensione di tale criterio a tutti i soggetti immancabilmente causerebbe.
    La valutazione dei problemi relativi alla dichiarazione di morte in presenza di attività del tronco cerebrale esula dallo scopo di questa trattazione. Una sola osservazione: alla valutazione scientifica della morte corticale ( valutazione che pure per la parte riguardante il problema dell'anencefalico fornisce elementi inequivoci a riguardo) va affiancata anche una valutazione di tipo antropologico. La morte accertata con la sola inattività della corteccia cerebrale, sia essa nell'adulto o nel neonato anche anencefalico, contraddice, per la presenza della respirazione spontanea, e di riflessi dei nervi cranici, l'idea stessa della morte quale ci è tramandata da millenni.
    Questi soggetti non sono morti, benché una legge possa dichiararli tali, e non appaiono morti a chiunque si avvicini al loro letto (36). C'è chi, forse provocatoriamente, ha chiesto ai sostenitori di questa tesi se fossero pronti a seppellire questi individui basandosi sul fatto che li consideravano deceduti (63).
    Sarebbe probabilmente impossibile accettare tale posizione da parte dell'umanità se non al prezzo di un generale scetticismo sulla valutazione della morte e sulla intangibilità del soggetto umano vivente ancorché senza speranza di vita anche al fine di procurare un vantaggio ad un altro individuo (46, 64).
    Alcuni autori (65) hanno parlato anche di iatrogenesi etica osservando che anche a prescindere dal fatto che un ragionamento sia o meno valido, qualora esso sia tropo sottile, con facilità può generare errori (87). Il principio morale non deve essere complesso al punto tale che solo poche persone siano in grado di comprenderlo.

    c) Utilizzare i criteri attuali di morte cerebrale. Le difficoltà
    Una terza posizione è quella che ritiene di utilizzare i criteri di morte cerebrale attualmente in vigore e di attendere quindi l'instaurarsi delle morte cerebrale totale prima di procedere all'espianto (66, 67). E' chiaro che anche l'ipotermia indotta prima del decesso non può essere accettata (44).
    Anche questo atteggiamento, tuttavia, che soddisfa i criteri di certezza e uniformità dell'accertamento della morte, non è esente da critiche e da difficoltà.
    Le difficoltà nascono, in generale, dall'accertamento della morte cerebrale nell'infanzia e nella prima settimana di vita poichè, in questa età le conoscenze sulla fisiologia del SNC sono ancora incomplete, in particolare nel caso della malformazione con anencefalia (68).
    Le incertezze vertono principalmente sui tempi di osservazione necessari per avere la sicurezza della morte dell'encefalo (tempi più lunghi che nell'adulto) e sulla maggiore difficoltà a valutare i riflessi dei nervi cranici. Tale difficoltà è, come abbiamo detto, ancor maggiore nell'anencefalico.
    A questo proposito è stato suggerito di valutare come riflesso del tronco cerebrale la sola presenza della respirazione spontanea, che delle attività del tronco è certamente la più importante, se non altro in termini di necessità alla vita (69, 70, 92). La assenza di respirazione spontanea potrebbe essere elemento sufficiente a stabilire, nel neonato anencefalico, la morte del tronco cerebrale.
    Questa ipotesi farebbe creare una specie di sottocategoria, costituita dall'anencefalico, soggetto per il quale sarebbero validi dei criteri parzialmente diversi da quelli richiesti in tutti gli altri casi.
    Tale considerazione contrasta con le osservazioni precedentemente riportate, anche se appare giustificata dalla presenza di una malformazione che pone particolari difficoltà diagnostiche. Sulla tecnica necessaria all'accertamento dell'assenza della respirazione spontanea non vi è ancora accordo tra gli studiosi. Questa posizione, tuttavia, seppur con qualche particolarità, si situa nello stesso quadro concettuale delle legislazioni vigenti (56, 88, 94). 









    CONSIDERAZIONI ETICHE


    Perno delle vigenti legislazioni sulla disciplina dei trapianti da cadavere è il rigoroso accertamento della cosiddetta 'dead donor rule', il precetto cioè che prescrive che in ogni caso il donatore debba essere deceduto con certezza prima del prelievo dell'organo.
    Tale regola, che può ad un primo esame apparire di ovvia banalità, viene in realtà posta in discussione da numerose proposte. In una prospettiva strettamente utilitaristica, ad esempio, potrebbe essere giudicato lecito, per il raggiungimento di un bene, in questo caso la salute o la vita di un'altra persona, prelevare un organo ad un donatore non consenziente, qualora non abbia a soffrirne e non siano violati i suoi interessi.
    E' il caso dell'anencefalico, la cui morte è considerata imminente ed inevitabile e che non è ritenuto capace di alcun contatto con l'ambiente e quindi di provare alcun tipo di sofferenza. L'anencefalico, per questi motivi, non è ritenuto portatore di interessi da difendere e che possano, quindi, essere violati.
    Accanto a questo caso sono proponibili o ipotizzabili numerosi altri casi (malati terminali, malati in stato vegetativo persistente, affetti da grave demenza, pazienti che esprimono il desiderio di morire, ecc.) che ben esplicitano il concetto dello slippery slope da più autori riportato.
    Come si vede le posizioni illustrate sono ben distanti tra loro, anche considerando le prospettive future oggi prevedibili, e provengono da impostazioni culturali di matrice utilitaristica, da un lato, e di ambito personalista dall'altro.
    E' chiaro, innanzitutto, che la morte è un processo a sè stante e non può esistere una morte per il trapianto ed una morte in sè.
    La definizione della morte non può essere qualsiasi cosa noi vogliamo che essa sia, ma esiste indipendentemente dai nostri scopi (3). La morte non può essere definita in senso utilitaristico, in modo da rendere massimo il bene che da essa potrebbe eventualmente derivare a favore di altre persone (3, 84). L'accertamento potrà avvenire con tecniche diverse a seconda delle circostanze e delle terapie in atto (70), ma tale accertamento dovrà dare un risultato valido di per sè ed indipendente dalla possibilità o meno di una donazione di organo.
    La stessa necessità di trapianti deve stimolare la ricerca in questo campo, ma non porsi come fonte della definizione del decesso.
    Tale principio deve valere anche per l'anencefalico, anche se in questo caso si dovranno approntare dei mezzi diagnostici applicabili ed in grado di dare un risultato di certezza.
    Certamente si tratta di un caso limite, ma non per questo siamo autorizzati a configurare per questi soggetti una categoria particolare, biologica o giuridica che essa sia.
    L'anencefalico ha una aspettativa di vita variabile ma sicuramente breve, pur con le difficoltà inerenti a questo giudizio. A ciò si aggiunge che la malformazione di cui è portatore impedisce un suo recupero ed appare oggi, e probabilmente lo sarà sempre, priva di una terapia valida.
    E' una situazione, però, che per vari singoli aspetti, anche se non per tutti contemporaneamente, è comune ad altre categorie di ammalati, se pur con diversa intensità. Si prendano, ad esempio, i malati incurabili, per i quali è stata esaurita ogni possibilità terapeutica, o i malati che hanno perso l'uso delle funzioni intellettive o il contatto con l'ambiente.
    Come non è ritenuto lecito abbreviare l'esistenza a questi soggetti, nè tantomeno causarne la morte, per le analoghe ragioni non è proponibile comportarsi in tal modo nei confronti di un neonato anencefalico (37, 71, 72).
    Nè pare rilevante la durata della vita da sacrificare, quasi che una vita breve sia più sacrificabile a vantaggio di un altro con una aspettativa di vita più lunga; a questo proposito vi è chi ha osservato che se i soggetti anencefalici non vivessero così poco oggi non sarebbero al centro di un tale dibattito (36).
    In una prospettiva che consideri la persona umana in quanto tale, a prescindere quindi dal suo stato di salute o di sviluppo, quale valore centrale di un'etica per le scienze biologiche, appare proponibile solo la determinazione di rendere disponibile alla donazioni di organi solo il corpo di quei soggetti di cui sia stata accertata con sicurezza la morte.
    Riferito al neonato anencefalico ciò significa che, allo stato attuale delle conoscenze, è probabilmente prematuro stabilire dei criteri validi e verificabili per determinarne il decesso con criteri neurologici (27, 73, 74, 75 ,76, 77). Un supplemento di studio si rende indispensabile (68).
    La necessità di una moratoria nell'uso dei soggetti anencefalici quali donatori di organo è stata sostenuta da diversi autori sulla base della incompletezza delle conoscenze attuali su numerosi punti fonte di controversia bioetica. Il precetto che una buona etica nasce da buoni presupposti reali è stato citato ricordando quanto discussi siano ancora numerosi problemi teorici e pratici nel campo del trattamento dei soggetti anencefalici (3).
    Questa posizione di attesa sembra ampiamente giustificata, almeno finché le posizioni diverse sul problema non raggiungeranno, sulla base di nuovi elementi di giudizio, una più ragionevole possibilità di intesa.
    A questo punto si devono rimarcare almeno una contraddizione ed un problema complesso.
    La contraddizione sarebbe quella di legislazioni che permettessero l'interruzione di gravidanza, nel caso di gravi malformazioni, anche in fasi avanzate della gestazione, e poi impedissero il prelievo di organi da tali soggetti una volta che fossero stati volontariamente partoriti.
    E' una contraddizione evidente già segnalata da chi sostiene la posizione della liceità del prelievo di organi dall'anencefalico indipendentemente da accertamenti neurologici (condizione di brain absence), ma che può essere agevolmente letta anche al contrario sostenendo la illiceità di interrompere la gravidanza privando della tutela della legge soggetti che ne sarebbero altrimenti dotati.
    Benché le due condizioni, prima della nascita e dopo la nascita, abbiano un diverso significato biologico e giuridico, appare evidente che i due atteggiamenti sono ben difficilmente conciliabili.
    Accanto a ciò vi è il suggerimento di incoraggiare il proseguimento della gravidanza di feti malformati anche nella prospettiva altamente umanitaria dell’eventuale donazione di organi dopo la loro morte (78). Il problema successivo riguarda la realizzabilità concreta del prelievo di organo da donatore anencefalico.
    Riguardo al problema dell'accertamento della morte cerebrale nell'anencefalico ai fini del trapianto si è visto che questi soggetti non hanno lesioni neurologiche evolutive e che la compromissione neurologica non è tra le cause di morte più importanti. In altri termini il feto anencefalico, benché affetto da una malformazione neurologica gravissima, non ha tendenza all'evoluzione ed è improbabile che possa in breve tempo trovarsi in uno stato di morte cerebrale dato che la morte avviene per lo più per cause respiratorie (3, 79). Ciò significa che al fine di rendere disponibili gli organi al trapianto (e ciò può avvenire solo se è stata mantenuta una buona perfusione, quindi una buona funzionalità cardiorespiratoria fino al momento del prelievo) il feto anencefalico deve essere sottoposto a trattamenti di terapia intensiva finché non sia accertata la morte cerebrale.
    Presupposti del trattamento sono che la morte cerebrale sia imminente in queste condizioni, che essa possa essere diagnosticata con certezza paragonabile a quella di altri potenziali donatori e che le cure prestate, nell'esclusivo interesse di una terza persona e non del neonato siano eticamente valide (27).
    Il problema sta appunto in questa situazione: ci troviamo di fronte al prolungamento artificiale della vita con mezzi eccezionali in una condizione che non presenta alcuna possibilità di ripresa, per cause addirittura anatomiche, e ciò allo scopo di preservare gli organi per un successivo trapianto.
    Descritto in questi termini appare evidente il rischio dell'accanimento terapeutico nel senso più pieno e dell'utilizzo del feto anencefalico soltanto come mezzo asservito ad un beneficio altrui.
    Nella valutazione etica di tale prospettiva sono tuttavia da tener presenti anche altri aspetti. Innanzitutto una pratica analoga è effettuata anche in altri casi:
    - nel periodo di osservazione nel donatore adulto (80). Poiché la morte risale all'inizio del periodo di osservazione non si tratta evidentemente di un accanimento terapeutico su un soggetto vivo, quanto di una particolare procedura a cui viene sottoposto un soggetto ormai deceduto al fine di preservarne gli organi, anche se tale giudizio si può esprimere solo a posteriori, quando i presupposti della morte cerebrale siano stati verificati.
    Nell'anencefalico il trattamento intensivo, al contrario, inizia già al momento della nascita o dell'inizio dell'insufficienza respiratoria in attesa della verificabilità della morte cerebrale, prima quindi del momento della morte, anche retrospettivamente stabilito.
    - nel caso di donne gravide in morte cerebrale, al fine di permettere al feto di giungere ad una età gestazionale che ne permetta la sopravvivenza (81).
    Anche in questo specifico caso non si può parlare di "Accanimento terapeutico" poiché le cure sono evidentemente rivolte alla sopravvivenza del feto e non a quella della madre già deceduta.
    - nel caso di neonati in gravi condizioni, in cui non vi sono possibilità di recupero, al fine semplicemente umano di permettere ai genitori in viaggio di raggiungere i figli (37).
    L'uso di terapie straordinarie allo scopo di preservare gli organi del neonato anencefalico si situa in questi casi di uso non routinario della terapia intensiva, in caso di morte inevitabile ed imminente di un paziente permanentemente privo di coscienza.
    Sicuramente si deve stabilire un limite alla terapia intensiva, oltrepassato il quale tale terapia deve essere interrotta, e, del resto, sopraggiungono le condizioni che le norme vigenti fanno coincidere con la morte c.d. cerebrale (per il senso esatto da dare a questa espressione si rinvia al Glossario posto in appendice a questo documento).
    E’ evidente che l’eccezionalità della condizione del soggetto anencefalico non è tale da far venir meno nel medico l’obbligo di prestare la sua assistenza rianimatoria, favorita dalle condizioni cardio-circolatorie e respiratorie, abitualmente soddisfacenti. Quest’obbligo assistenziale si concilia a pieno con l’eventuale possibilità della donazione di organi, che è resa attuabile proprio grazie a tale sostegno terapeutico, al pari di quanto avviene nel minore e nell’adulto che si trovino nella condizione di poter donare gli organi a fini di trapianto.
    In questi casi dovrebbero essere salvaguardati una serie di elementi, già analizzati dal CNB nel citato documento sulla trapiantologia infantile, quali in particolare la validità del trapianto proposto, la serietà dell'equipe ed in particolare il consenso dei genitori.
    E' questo un aspetto dibattuto ed invocato a sostegno delle più disparate posizioni. Certamente i genitori che si trovino in una tale situazione, sia che sia loro concessa la facoltà di interrompere la gravidanza, sia che ciò non sia possibile, sono al centro di tensioni e difficoltà grandissime. Il sapere che una tragedia personale è in grado di alleviare le sofferenze di altri ammalati può contribuire a dare un senso ad una vicenda che può essere per molti aspetti gravemente traumatizzante. In questo senso rendere, con una pratica eticamente corretta, disponibili gli organi per un trapianto è sicuramente un grande aiuto anche per i genitori, che vedono uno sbocco, seppur minimo, al loro impegno ed alle loro sofferenze; per questo motivo la loro partecipazione ed il loro assenso a tutte le metodiche proposte assume un aspetto determinante.
    In alcuni casi sono stati gli stessi genitori a richiedere con insistenza la possibilità di un trapianto ed è stata ipotizzata anche la possibilità di pressioni da parte dei genitori (27, 44).
    Sulle difficoltà che la diagnosi di anencefalia può creare non solo ai genitori ma anche al medico che occasionalmente ne venga a contatto vedi (82). Tali difficoltà giustificano un adeguato intervento di carattere psicologico, che in genere viene prestato nei centri specializzati, ma che sarebbe di grande valore bioetico istituzionalizzare definitivamente.
    Il Council on Ethical and Judicial Affairs della American Medical Association ha recentemente modificato la sua posizione in merito al problema dei neonati anencefalici come donatori d'organo (99). Si riportano per sommi capi gli elementi di giudizio che hanno fatto modificare la precedente posizione del 1988, in cui il prelievo di organi dal donatore anencefalico era stato ritenuto accettabile solo dopo la morte del donatore stesso, accertata con criteri cardiocircolatori o neurologici (100):
    Anencefalia: benchè l'aspetto esterno dell'anencefalico (funzionalità degli organi viscerali, riflessi di suzione, di allontanamento dagli stimoli dolorosi, movimenti degli occchi e degli arti, emissione di suoni, espressioni del viso) possa dare l'impressione della presenza di un qualche grado di coscienza, non ve ne è alcuna.
    Genitori: il trapianto da anencefalico porta dei benefici non solo al ricevente ma anche ai genitori, che vedono una giustificazione, seppur parziale, alla esperienza vissuta. 

    Risposta alle obiezioni più comun riguardo il prelievo d'organo da anencefalico
    a) viene infranta la regola del 'dead donor rule', che vieta il prelievo di organi vitali da soggetti viventi.
    L'anencefalico, in quanto non ha avuto, non ha e non avrà coscienza non ha alcun interesse alla vita da difendere. Se la esistenza viene abbreviata, non se ne ha alcuna traccia cosciente e non si ha miglioramento o peggioramento dello status a seconda della durata della vita.
    L'eccezione alla regola non allarma la collettività o gli altri potenziali donatori: essi infatti non possono sentirsi 'minacciati' da tale decisione in quanto non potranno mai trovarsi nella situazione dell'anencefalico.
    Tale decisione non altera il rispetto della vita e la considerazione del suo valore. Poichè l'anencefalico non ha nessun interesse a vedere preservata la sua esistenza, viene accettata la potestà dei genitori di chiedere la interruzione delle cure, senza che ciò riduca il rispetto per la vita.

    b) problemi relativi all'accuratezza della diagnosi.
    Il documento conferma che la diagnosi errata di anencefalia è possibile soprattutto se la diagnosi non viene effettuata in strutture specializzate o da una persona dotata di una specifica competenza. Si propone di superare tale problema:
    - applicando i criteri diagnostici per l'anencefalia (101).
    Tali criteri sono:


      assenza di una larga porzione ossea della volta cranica; 

      assenza dello scalpo al di sopra del difetto osseo; 

      presenza di tessuto fibro-emorragico esposto a cause del difetto cranico; 

      assenza di emisferi cerebrali riconoscibili; 

      chiamando a confermare la diagnosi 2 persone con una particolare competenza nel campo, non coinvolte nell'equipe del centro trapianti. Nel caso non vi sia la certezza della diagnosi il prelievo degli organi deve essere proibito. 


    c) argomentazioni relative allo 'slippery slope argument' (la decisione aprirebbe la porte a futuri abusi a danno di altre categorie di malati).
    La eccezione alle regole non potrebbe danneggiare altre categorie (malati in stato vegetativo persistente, grave danno neurologico, anziani con demenza). Si deve dimostrare che tale pericolo esiste, non solo paventarne la possibilità. Tale rischio non è reale, perchè i neonati anencefalicici sono una categoria del tutto particolare, senza storia di coscienza e nessuna possibilità di acquistarla, e ciò diversamente da tutte le altra categorie ricordate.

    d) numero di trapianti effettuabili.
    Molte critiche hanno evidenziato che il prelievo da donatore anencefalico influirebbe in maniera limitatissima sul problema dei trapianti infantili. In realtà le tecniche di trapianto evolvono, permettendo l'impiego di organi in condizioni diverse rispetto al passato ed inoltre ogni donatore potrebbe fornire 4 organi vitali (2 reni, cuore e fegato). Anche se vi fossero solo 20 donatori per anno (negli USA) come alcuni hanno previsto, si tratterebbe pur sempre di un vantaggio in termini di possibilità di sopravvivenza per altrettanti bambini.

    Sono queste, al momento, le problematiche che impongono un attento dibattito al fine di formulare un giudizio sulla liceità del prelievo di organi da donatore anencefalico.
    Pertanto le argomentazioni del Council on Ethical and Judicial Affairs della American Medical Association appaiono come il tentativo - non accettabile - di giustificare la dichiarazione di morte per persone ancora viventi al fine di favorire il prelievo ed il successivo trapianto.
    L'anencefalico é una persona vivente e la ridotta aspettativa di vita non limita i suoi diritti e la sua dignità.
    La soppressione di un essere vivente non é giustificabile anche se proposta per salvare altri esseri da una morte sicura. 


    B I B L I O G R A F I A


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    99) Council on Ethical and Judicial Affairs, American Medical Association, The Use of Anencephalic Neonates as Organ Donors, "JAMA", 273(20), 1614-1618, 1995. 

    100) Council on Ethical and Judicial Affairs, American Medical Association. Anencephalic infants as organ donors,. "Code of Medical Ethics: Reports", Vol I, American Medical association, 49-52, 1992. 

    101) Medical Task Force on Anencephaly. The Infant with anencephaly, "New Engl. J. Med.", 322; 669-674, 1990. 

    102) Comitato Nazionale per la Bioetica, Definizione ed accertamento della morte nell'uomo, Dipartimento per l’Informazione e l'Editoria, Roma, 15 febbraio 1991.

     
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    DEFINIZIONE E ACCERTAMENTO DELLA MORTE NELL'UOMO 
    Comitato nazionale per la Bioetica - 15 febbraio 1991



    P R E S E N T A Z I O N E 


    Il Comitato Nazionale per la Bioetica ha ritenuto importante soffermarsi sul problema della definizione e sulle metodologie della morte, interpretando anche in questa luce il mandato ricevuto con il Decreto istitutivo del 28 marzo 1990.
    Infatti, il turbamento da tempo provocato nell'opinione pubblica dall'impiego di nuove tecnologie strumentali e criteri diversi dai tradizionali per l'accertamento di tale evento, richiede al Comitato di proferire una parola chiara, al fine di fugare ogni dubbio che dal progresso delle scienze e delle tecnologie venga posto in discussione il principio assoluto della tutela della vita.
    Nelle sedute del III e IV Gruppo di lavoro in cui si è articolato il Comitato - sono state prese in attenta considerazione tre relazioni, e cioè: 


      C. MANNI - "Note preliminari sull'accertamento e definizione della morte, dal punto di vista delle tecniche rianimatorie". 

     
    M. BARNI - "Definizione di morte e criteri di accertamento, sotto il profilo medico-legale". 

     
    P. RESCIGNO - "Tutela del soggetto nella fase terminale della vita".


    I primi due documenti sono confluiti in una "Relazione" unitaria, che è stata esaminata nella Seduta plenaria del 25 e 28 gennaio 1991, con gli interventi dei proff. Barberio Corsetti, Cattorini, D'Agostino, Lecaldano, Nordio, Romano, Rossi-Sciumè, Sgreccia, Stammati (che ha presentato una memoria) e Veronesi, ed una consistente integrazione da parte dei professori Barberio Corsetti, Nordio e Rescigno (*).
    La relazione è stata approvata in pari data.
    Il documento finale - idoneo a raccogliere le considerazioni conclusive e le proposte del Comitato espresse in un linguaggio più facilmente comprensibile all'opinione pubblica - è stato approvato il 15 febbraio 1991.
    Il Comitato al termine della Seduta, dà mandato al Presidente di trasmettere i due documenti alla Presidenza del Consiglio.
    Il Comitato formula, altresì, i più vivi ringraziamenti ai proff. Falzea, Giron e Zatti, che hanno discusso le relazioni nella Seduta del Gruppo di lavoro del 25 gennaio.


    Il Presidente 

    A. Bonpiani


    Roma, 25 febbraio 1991

    (*) Il documento RESCIGNO formerà oggetto di ulteriore elaborazione. 








    CONCLUSIONI GENERALI E PARERI DEL COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA 



    I l  C o m i t a t o   N a z i o n a l e   p e r   l a   B i o e t i c a  

      premesso che è di comune constatazione che l'uomo, nel corso della storia, si è confrontato con il problema dell'accertamento della morte riconoscendola in fenomeni ai quali ha attribuito il carattere di certezza; 

     
    premesso altresì che i progressi della scienza medica, e in particolare della rianimazione, non hanno modificato l'evento della morte, che è sempre di non ritorno, ma hanno contribuito a migliorare la capacità di riconoscerne con certezza il momento; 

     
    ritenuto che il problema dell'individuazione del momento della morte assume grande rilievo in relazione alla tutela dei morenti, all'eliminazione di fenomeni di turbamento sociale e alle indicazioni operative per gli operatori e le strutture sanitarie, anche con riferimento all'ipotesi di trapianto di organi; 

     
    premesse tutte le considerazioni scientifiche illustrate nel rapporto allegato 

    avanza le seguenti conclusioni: 

      Il concetto di morte è definito dalla perdita totale e irreversibile della capacità dell'organismo di mantenere autonomamente la propria unità funzionale. 

     
    La morte può essere accertata attraverso criteri anatomici, clinici, biologici, cardiaci e neurologici.

     
    Per quanto riguarda i criteri anatomici, clinici, biologici e cardiaci il Comitato rinvia ai criteri comunemente accettati o codificati, e ritiene valido quanto è contenuto nel Regolamento di Polizia Mortuaria, di recente modificato (D.M. in data 10 settembre 1990). 

     
    Per quanto riguarda i criteri neurologici, il Comitato ritiene accettabile solo quello che fa riferimento alla cosiddetta "morte cerebrale", intesa come danno cerebrale organico, irreparabile, sviluppatosi acutamente, che ha provocato uno stato di coma irreversibile, dove il supporto artificiale è avvenuto in tempo a prevenire o trattare l'arresto cardiaco anossico. 

     
    Non può essere accettato il criterio che fa riferimento alla "morte corticale", nel verificarsi della quale rimangono integri i centri del paleoencefalo e permane la capacità di regolazione centrale delle funzioni omeostatiche e vegetative, compresa la respirazione autonoma. 

     
    Non può altresì essere accettato il criterio che fa riferimento alla morte del tronco encefalico perché essa non indica di per sé che le strutture al di sopra del tronco abbiano perso la possibilità di funzionare se stimolate in altro modo. 

     
    Alla attenta applicazione dei criteri clinici che, in presenza di una lesione cerebrale organica dimostrata con i mezzi della diagnostica strumentale, inducono il sospetto di morte cerebrale, deve accompagnarsi la ricerca, da parte del rianimatore, di tutti i fattori che possano fornire la certezza dell'avvenuta morte cerebrale. 

     
    Il tempo di osservazione attualmente prescritto (12 ore) può essere ridotto con l'impiego di alcuni esami strumentali che consentono di confermare la diagnosi di morte cerebrale ottenuta attraverso il rilievo di un EEG piatto e di smentirla facilmente in caso di intossicazioni esogene (potenziali evocati somato sensoriali), ovvero che dimostrano l'assenza di circolazione cerebrale (angiografia cerebrale, flussimetria Doppler a onda continua, flussimetria Doppler intravranica, scintigrafia cerebrale, tomografia computerizzata ad emissione di singoli fotoni-SPECT). 

     
    L'accertamento della morte in età pediatrica presenta problemi particolari per superare i quali si ritengono accettabili i criteri compilati dalla "Task Force for the determination of Brain death in children", che prevedono un periodo di osservazione più lungo. 

     
    L'accertamento della morte del neonato a termine comporta l'applicazione congiunta di tutti i criteri indicati dalla Task Force; per il neonato pretermine, specie se di età gestazionale inferiore alle 32 settimane, oltre ai criteri indicati dalla Task Force, debbono raccomandarsi un tempo di osservazione sufficiente lungo e la più ampia prudenza nella valutazione dei parametri strumentali attualmente disponibili. 


    Sulla base di tali conclusioni, il Comitato Nazionale per la Bioetica 

    formula l'auspicio: 

      che il legislatore sviluppi in termini normativi i criteri presentati dall'avanzamento della medicina, attraverso parametri strumentali, per l'accertamento della morte a tutti i fini giuridici; 

     
    che siano introdotti criteri normativi differenziati per l'accertamento della morte nell'età pediatrica e neonatale; 

     
    che siano promossi l'istituzione e le garanzie di funzionamento delle commissioni di verifica della realtà della morte. 








    DEFINIZIONE E ACCERTAMENTO DELLA MORTE NELL'UOMO



    1 - P R E M E S S A

    Nel presente documento si tratta della definizione ed accertamento della morte.

    E' di comune constatazione che l'uomo, nel corso della storia, si è confrontato con il problema dell'accertamento della morte riconoscendola in fenomeni di certezza che sono stati diversamente interpretati.
    I motivi che inducono ad intervenire su questo tema, nell'ambito del Comitato Nazionale per la Bioetica, sono molteplici:
    innanzitutto le modificazioni provocate dalle moderne tecnologie biomediche fra cui la più sconvolgente è la definizione di un'entità nosografica del tutto sconosciuta all'era precedente la rianimazione e cioè l'identificazione della morte dell'individuo con la cessazione definitiva, irreversibile, della completa funzione di un singolo organo, il cervello (cosiddetta "morte cerebrale");
    in secondo luogo il problema della gestione del complesso delle cure da parte del personale medico e delle Istituzioni socio-sanitarie impegnato a trattare il prolungamento della sopravvivenza di pazienti in condizioni estremamente critiche. Problemi etici di grande rilevanza infatti si pongono nel merito dei comportamenti dello staff sanitario delle Unità di terapia intensiva, riferiti all'appropriatezza dell'utilizzazione delle tecniche disponibili e alla relazione che esso instaura con i parenti dei pazienti.
    Tale problema del comportamento dello staff sanitario ha aspetti peculiari in neonatologia in quanto - fra l'altro - il personale si deve confrontare con i genitori, ai fini di una tutela del bambino ("child advocacy");
    in terzo luogo il problema del trapianto di organi rispetto al quale si sta diffondendo una "cultura" non sempre congrua alla natura del problema.

    Il Comitato Nazionale per la Bioetica esaminerà questi problemi in documenti che saranno predisposti specificatamente; ma alla loro trattazione ritiene necessario premettere una analisi di criteri atti a stabilire con certezza il momento della morte.
    Nel dibattito pubblico, infatti, i criteri scientifici sono spesso sconosciuti o male interpretati e questo ha contribuito a generare grande sconcerto sull'esatta definizione della morte e del momento in cui essa si verifica. Inoltre, la popolarità e la diffusione degli aspetti scientifici e di costume relativi ai trapianti d'organo, cui i mass-media hanno dedicato molto interesse, comportano un rapporto quasi quotidiano con queste problematiche. Purtroppo, nella divulgazione del dibattito scientifico, la frequente mancanza di chiarezza ha contribuito a suscitare o perpetuare paure e pregiudizi nei confronti di una corretta diagnosi di morte.
    Per questi motivi è sembrato opportuno al Comitato Etico Nazionale offrire una base di approfondimento rigorosamente scientifica, movendo sempre dall'esigenza esclusiva del rispetto e della tutela della vita umana.
    Il Comitato, nell'affrontare il problema di una definizione di morte dell'individuo e nel precisare parametri di accertamento, vuole riferirsi all'esame clinico e sperimentale dei fatti e prende in considerazione l'uomo nella sua individualità organica e funzionale, prescindendo dall'analisi teorico-sistematica delle diverse sensibilità e concezioni culturali e da concetti che sono controversi in campo filosofico e nel linguaggio. 


    2 - D E F I N I Z I O N E    D I    M O R T E

    2.1 I concetti di "morire", di "morte cardiaca", di "morte cerebrale". 

    La morte non estingue in modo istantaneo e globale l'attività di tutte le cellule. Infatti, il "morire", sul piano biologico, deve riconoscersi come un processo evolutivo che colpisce gradualmente le cellule dei diversi tessuti e le relative strutture subcellulari sulla base della loro differente resistenza alla carenza di ossigeno, sino alla estinsione di ogni attività vitale, con il permanere dei soli fenomeni enzimatici colliquativi-putrefattivi. Ma non è certo opportuno attendere l'instaurarsi della "morte biologica" per dichiarare morto un essere vivente.
    E' possibile, invece, definire il momento della cessazione della vita dell'essere come organismo integrato, attraverso criteri scientificamente dimostrati, riferendoci all'organismo umano espresso nella sua integrità morfologica e funzionale.
    Se la determinazione della morte è di facile riscontro oggettivo nei casi di "devastazione", cioè nei casi di disintegrazione fisica della persona (condizione che si realizza ad esempio nei disastri aerei, nelle catastrofi naturali e belliche) è assai meno ovvia e assoluta nei casi quotidiani di diagnosi di morte.
    Comunemente il momento della morte viene fatto coincidere con l'arresto del battito cardiaco (la cosiddetta "morte cardiaca"). L'assenza del battito cardiaco e dei polsi periferici, la presenza di un elettrocardiogramma piatto per non meno di 20 minuti sono i segni che, anche a termine di legge (art. 8 del Regolamento di Polizia Mortuaria, 10 settembre 1990) consentono la diagnosi di morte. Tale condizione determina la cessazione, in termini perentoriamente irreversibili, della possibilità di recupero della funzione cerebrale e di tutti gli altri organi e apparati.
    Le tecniche di rianimazione hanno consentito di vicariare le principali funzioni biologiche (cuore, circolo, respiro) con mezzi strumentali, permettendo di creare un'apparenza di vita del tutto artificiale, anche nei pazienti con lesioni neurologiche globali e irreversibili. E' pertanto possibile mantenere in condizioni straordinarie un cuore battente, reni e fegato funzionanti, e così via, in un paziente con strutture totalmente e irrimediabilmente lese.
    Approvare e servirsi della definizione di "morte cerebrale" non significa però ridefinire il concetto di morte: soltanto indicare una nuova modalità di identificare la morte così da essere preparati ad utilizzare due formulazioni alternative: quella tradizionale di morte cardiaca e quella innovativa della morte cerebrale.
    Ambedue identificano comunque l'assenza del concetto di morte nella perdita totale ed irreversibile della capacità dell'organismo di mantenere autonomamente la propria unità funzionale.
    Invero, questa difficoltà ad accettare la morte cerebrale quale nuovo criterio di morte è presente in tutti i paesi, anche in quelli economicamente e culturalmente più avanzati.



    2.2 Caratteristiche del concetto di "morte cerebrale".


    Sembra opportuno, pertanto, fornire qualche ulteriore informazione al riguardo.
    Negli USA, già dal 1981, la "President's Commission for the Study of Ethical Problems in Medicine and Biochemical and Behavioral Research" ha stabilito che la perdita irreversibile di tutte le funzioni cerebrali, in accordo con standard medici accettati, sia criterio sufficiente per l'accertamento della morte.
    Ciò nonostante un sondaggio Gallup del 1985 ha rivelato che, pur se il 75% degli americani ha sentito parlare di morte cerebrale, solo il 55% di essi è d'accordo ad usare questa definizione come criterio di accertamento di morte della persona.
    Nelle altre nazioni non vi è un modello di comportamento univoco alla morte cerebrale. In alcune esistono disposizioni di legge che codificano la morte cerebrale, ne stabiliscono i criteri e la equivalgono alla morte dell'intero organismo; in altre, viene accettata senza alcuna disposizione di legge e la diagnosi è affidata all'esclusivo giudizio del medico, per altre ancora non viene accettata come causa di morte (ad esempio nei paesi islamici).
    E' chiaro che non sarà facile modificare una tradizione culturale che affonda le sue radici nell'origine dell'uomo.
    La morte cerebrale, descritta per la prima volta nel 1959 da Mollaret e Goulon, definisce l'autolisi, la necrosi asettica degli emisferi cerebrali e del tronco, cioè la distruzione completa ed irreversibile di tutto il contenuto della cavità cranica fino al primo segmento cervicale.
    Solo una percentuale inferiore al 1% delle morti assume le caratteristiche della morte cerebrale: si tratta invariabilmente di quei casi in cui un danno cerebrale organico, irreparabile, sviluppatosi acutamente ha provocato uno stato di coma irreversibile dove il supporto artificiale è avvenuto in tempi utili a prevenire o trattare l'arresto cardiaco anossico.
    La non conoscenza dell'esatta definizione di morte cerebrale, nei termini di estensione ed irreversibilità della lesione, la mancanza univocità nei criteri scientifici ed alcune imprecisioni nella diagnosi differenziale con altri quadri clinici hanno insinuato sospetti soprattutto sulla identificazione ed equiparazione della morte cerebrale con la morte dell'uomo.
    La grave confusione al riguardo è stata ulteriormente stimolata dall'utilizzazione indifferente di termini assai diversi: "coma irreversibile" e "sindrome apallica" definiscono, ad esempio, uno stato di coscienza più simile al sonno non risvegliabile che alla necrosi del parenchima cerebrale; la definizione stessa di "morte cerebrale" può apparire ambigua perché definisce contemporaneamente la morte di un organo in un corpo altrimenti vivo - ove sottoposto a tecniche di sostentamento artificiale - a la morte della persona in virtù della morte di un singolo organo.
    Un altro elemento di confusione è certamente l'identificazione proposta dagli Autori inglesi della morte cerebrale con la morte del tronco encefalo dal momento che la cessazione irreversibile della funzione di questa struttura rende il resto del cervello per sempre non funzionante ed invariabilmente determina la morte somatica. Questa posizione comporta due equivoci di fondo: 


      il primo deriva dal fatto che l'assenza della funzione del resto dell'encefalo non è intrinseca ma semplicemente occasionata dalla mancanza di imput dal tronco (il che non significa che le strutture al di sopra del tronco abbiano per definizione perso la possibilità di funzionare se stimolate in altro modo); 

     
    il secondo deriva dal fatto che non è giusto equiparare l'inevitabilità della morte con la morte stessa: la morte del tronco ha quindi requisiti prognostici ma non diagnosi di morte. 


    Recentemente è stato anche proposto di definire morta la persona nella quale si sia verificata la necrosi della sola area corticale del sistema nervoso centrale, pur rimanendo integre e funzionanti le strutture troncoencefaliche (morte corticale).
    In questa condizione, clinicamente definita "stato vegetativo persistente", la dichiarazione di morte viene giustificata dalla presunta impossibilità a recuperare una sufficiente vita di relazione.
    Non si può condividere questa opinione perché, rimanendo integri i centri del paleoencefalo, permangono attive le capacità di regolazione (centrale) omeostatiche dell'organismo e la capacità di espletare in modo integrate le vitali funzioni, compresa la respirazione autonoma.
    Va rilevato, inoltre, che "stato vegetativo persistente" non vuol dire di per sé irreversibile e si segnalano casi che hanno recuperato, anche se parzialmente ed in tempi lunghi, una vita di relazione.
    Infine vi è una oggettiva difficoltà clinica ad accertare, senza alcuna possibilità di errore, una necrosi completa ed irreversibile della sola corteccia cerebrale.
    Questa mancanza di uniformità e di chiarezza ha certamente contribuito a scatenare polemiche sull'attendibilità dei sistemi diagnostici e sullo stesso concetto di identificazione della morte cerebrale con la morte dell'intero organismo.
    Ed è proprio per questo motivo che appare opportuna una definizione unica, e non aggettivata, della morte.
    Il parlare di morte clinica, morte biologica, morte cardiaca, morte cerebrale, morte tronco-encefalica, morte corticale potrebbe generare notevole confusione e disorientamento: è come se esistessero molte morti e modi diversi di morire.
    Al contrario, va affermato che il momento della morte è uno solo ed è segnato, come già detto, dalla perdita totale ed irreversibile dell'unitarietà funzionale dell'organismo. 



    2.3 Conclusioni in merito alla definizione di morte 


    In pratica, può dirsi che la morte avviene quando l'organismo cessa di "essere un tutto", mentre il processo del morire termina quando "tutto l'organismo" è giunto alla completa necrosi.
    Questo momento iniziale, che segna il passaggio dalla vita alla non-vita, non è variabile nel tempo: ciò che varia sono i criteri scientifici che consentono di individuare e segnalare il momento in cui la vita cessa e, cioè, la realtà e l'irreversibilità della morte stessa. La definizione di morte si esprime scientificamente solo in termini di realtà e irrevocabilità.
    I progressi della scienza medica, ed in particolare della rianimazione e della trapiantologia, non hanno modificato l'evento della morte, che è sempre di non ritorno: le moderne tecnologie hanno contribuito a migliorare la capacità di riconoscere il momento con certezza.
    In pratica, oggi sappiamo che esiste un centro coordinatore e unificante nell'organismo umano: il cervello: la sua totale necrosi segna il passaggio "dall'essere uomo vivente" alla morte; anche se alcuni organi, sostenuti artificialmente, possono conservare la propria funzione.
    Suggeriamo, pertanto, di non utilizzare i termini suddetti, anche se ormai di uso comune, sostituendoli con: criteri clinici, criteri biologici, criteri cardiaci e criteri neurologici per l'accertamento della morte.
    E' chiaro del resto che quando noi diciamo "morte cardiaca" non ci riferiamo alla morte del cuore, bensì ai criteri cardiocircolatori finalizzati alla diagnosi di morte dell'intero organismo.
    Così come, quando parliamo di "morte cerebrale" - come anche in questo documento si fa per una prassi invalsa del linguaggio comune - non intendiamo riferirci alla morte di un solo organo, il cervello, bensì ai criteri neurologici per accertare la morte della persona nella sua totalità.
    E' bene inoltre precisare che questi criteri potranno subire modifiche in accordo ai progressi delle tecnologie biomediche: modifiche che tutti noi dobbiamo essere pronti a recepire, trattandosi di mezzi strumentali che se mai anticipano, ma non infirmano, la morte diagnostica.
    Distinguendo con estrema chiarezza la definizione della morte dai criteri di accertamento, saremo in grado di evitare futuri, sempre prevedibili equivoci. 



    3 - A C C E R T A  M E N T  O   D E L L A     M O R T E  


    Considerando che i criteri anatomici (morte per devastazione) e i criteri cardiocircolatori (morte cardiaca) sono ormai comunemente accettati e ben codificati anche dal punto di vista legislativo, il Comitato si è soffermato a trattare esclusivamente i controversi aspetti dei criteri neurologici (morte cerebrale).
    E' bene premettere che, dal punto di vista anatomofunzionale, il denominatore comune dei diversi fattori eziologici determinanti la morte cerebrale è l'arresto del flusso ematico cerebrale. Ciò si verifica allorquando la pressione di perfusione cerebrale espressa come differenza tra la pressione arteriosa sistematica media e la pressione intracranica media si azzera. Ciò può avvenire per eccessive diminuzioni della pressione arteriosa o per aumenti notevoli della pressione intracranica, condizione alla base delle patologie che più frequentemente determinano la morte cerebrale: il trauma cranico, l'ictus cerebrale emorragico, e i processi espansivi di natura neoplastica. 



    3.1 Criteri clinici e strumenti classici di accertamento di morte 


    Dal punto di vista clinico il sospetto di una morte cerebrale può essere avanzato quando, in presenza di una lesione cerebrale organica dimostrata con i mezzi della diagnostica strumentale, si rileva:


      uno stato di coma non rispondente agli stimoli esogeni; 

     
    ariflessia tendinea dei muscoli scheletrici innervati dai nervi cranici e quindi assenza dei riflessi troncoencefalici (fotomotore, corneale, oculocefalici e oculovestibolari, faringeo e tracheale); 

     
    atonia muscolare; 

     
    assenza di attività elettrica attraverso la registrazione EEG; 

     
    assenza di respirazione spontanea. 


    L'apnea acquisisce valore diagnostico solo se testata dopo aver escluso condizioni che possono fatalmente determinarla come l'ipocapnia spinta o la curarizzazione. Un test all'apnea correttamente eseguito deve essere così compiuto:


      preossigenazione con ossigeno puro per 10 minuti e riduzione della frequenza respiratoria fino ad ottenere una paCO2 di almeno 40 mmHg; 

      deconnessione del paziente dal respiratore automatico per almeno cinque minuti durante i quali da 8 a 10 litri al minuto di ossigeno sono somministrati attraverso il tubo endotracheale; 

      controllo della paCO2 che deve aver superato i 60 mmHg. 


    La rilevazione elettroencefalografica come condizione necessaria per la diagnosi della morte cerebrale non è universalmente accettata. I motivi concettuali di questa posizione si possono ricondurre alla tesi, sostenuta dagli Inglesi, secondo cui la morte del troncoencefalo valutata con mezzi clinici equivale alla morte cerebrale e non richiede l'accertamento con mezzi strumentali come l'EEG.
    La legge italiana prevede attualmente l'assenza di attività elettrica spontanea o provocata rilevata con registrazioni di trenta minuti ottenuti per quattro volte nelle dodici ore di osservazione previste.
    Riteniamo doverosa la registrazione strumentale di un elettroencefalogramma che documenti l'assenza di un attività corticale e che confermi l'avvenuta necrosi di tutto il cervello (corteccia e troncoencefalo).
    Riteniamo invece, per motivi che analizzeremo in seguito, che sia possibile ridurre il tempo di osservazione.
    Spesso anche l'insorgenza di segni e sintomi sistemici possono comportare il sospetto di morte cerebrale:


      la poliura: compare come conseguenza della cessata dismissione in circolo dell'ormone antidiuretico (ADH) dovuto all'ischemia dell'asse diencefalo ipofisario. Essa comporta un'imponente disidratazione con ipernatriemia, iperosmolarità ed ipocaliemia che determinano gravi alterazioni della funzione delle membrane cellulari soprattutto a livello cardiaco; 

     
    l'instabilità cardiocircolatoria: consiste in ipotensione, bradicardia, aritmie, conseguenza inevitabile dell'ischemia dei centri vasomotori del tronco, dello squilibrio idroelettrico e della scomparsa dell'azione vasocostrittrice di alcuni ormoni (ormone antidiuretico, ormoni tiroidei ecc...); 

     
    l'ipotermia: successiva alla perdita della capacità di autoregolazione della temperatura corporea da parte dell'ipotalamo e della notevole dispersione termica da poliura. 


    In presenza del sospetto di morte cerebrale è compito del rianimatore ricercare, con estrema attenzione, se sussistano fattori che escludano la certezza di morte cerebrale quale la presenza di sostanze deprimenti il sistema nervoso centrale, l'ipotermia artificialmente indotta, le patologie endrocrine, gli squilibri metabolici.
    Questi fattori possono determinare uno stato di coma e la comparsa di sintomi e segni simili a quelli che si osservano in soggetti in morte cerebrale ma sempre accertabili con un'adeguata diagnosi differenziale e soprattutto reversibili con un'adeguata terapia.
    L'alterazione dello stato di incoscienza fino al coma è un sintomo frequente anche nei gravi disordini metabolici quali: l'ipossia, l'ipercapnia, l'ipoglicemia, l'insufficienza epatica, l'insufficienza renale e gli squilibri idroelettrolitici.
    Dal punto di vista legale l'accertamento di morte cerebrale prevede la persistenza dei criteri clinici e strumentali suddetti per un lasso di tempo che attualmente risulta essere di 12 ore. Nella formulazione delle nuove proposte di legge si tende a ridurre i tempi di osservazione in accordo con il concetto che una sintomatologia di coma ariflessico ed apneico con assenza di attività elettrica cerebrale non può regredire a meno che non sia stata causata da squilibri endocrino-metabolici o da intossicazione farmacologica comunque diagnosticabili in questi termini di tempo. L'osservazione di tutti questi criteri clinici è assolutamente obbligatoria; nessuno spazio deve essere lasciato alla possibilità di falsi negativi ed ovviamente il medico deve essere assolutamente certo che nessun paziente vivo possa essere erroneamente giudicato morto. 



    3.2 Le tecnologie psicomediche nella diagnosi precoce di morte 


    Alcuni esami strumentali sono in grado di confermare la diagnosi di morte cerebrale in tempi anche più brevi di quanto previsto dalla legge.
    I potenziali evocati somato-sensoriali acquisiscono una importanza sempre maggiore fornendo utili indicazioni riguardanti l'aspetto anatomofunzionale delle strutture sia del troncoencefalo che corticali. Essi consentono soprattutto di confermare la diagnosi di morte cerebrale ottenuta attraverso il rilievo di un EEG piatto e di smentirla facilmente nel caso di intossicazioni esogene.
    Ma il reperto inequivocabile per la diagnosi di morte cerebrale è la dimostrazione dell'assenza di circolazione cerebrale: dell'impossibilità, quindi, che il sangue possa raggiungere il parenchima cerebrale. Ciò si può ottenere con varie tecniche strumentali:


     l'angiografia cerebrale che, attraverso puntura dell'arteria carotide ed iniezione di mezzo contrasto, documenta l'arresto del flusso a livello della base cranica; 
    la flussimetria Doppler ad onda continua che dimostra la scomparsa del flusso diastolico e la comparsa di un'onda reverse, quadro correlato con l'aumento della pressione intracranica e l'ostacolo alla perfusione cerebrale; 

     
    la flussimetria Doppler intracranica che, a differenza del Dopler ad onda continua, emette un'onda pulsata di ultrasuoni a bassa frequenza (2MegaHz) attraverso un cristallo unico che ha contemporaneamente la funzione di ricevente e consente l'insonazione di interfacce vascolari situate in volumi di prelievo di piccole dimensioni, soprattutto a profondità note e programmabili. Il fascio di ultrasuoni è così in grado di superare la teca ossea a livello di determinate finestre ossee e di fornire precise informazioni sulla direzione del flusso, sulla sua velocità e indirettamente sulle resistenze vascolari; 

     
    la scintigrafia cerebrale che si esegue attraverso l'introduzione nell'organismo per via perfusionale o per inalazione di traccianti radioattivi (Tecnezio 99m) e permette l'identificazione della presenza e delle caratteristiche del flusso cerebrale; 

     
    la SPECT (tomografia computerizzata ad emissione di singoli fotoni) esame altamente sofisticato, di grande sensibilità che garantisce con assoluta certezza (visualizzando il solo circolo intracranico) ed esclusione di falsi positivi l'assenza di circolo cerebrale. 


    Nei casi in cui la PIC è monitorizzata con un cratere intraventricolare è possibile valutare la morfologia dell'onda pulsatile liquorale, espressione delle modificazioni di pressioni conseguente all'entrata nel sistema intracranico del volume ematico corrispondente ad ogni sistole cardiaca. L'assenza di tale onda, qualora sia appurato il normale funzionamento del sistema di rilevazione, è altamente suggestivo per l'assenza di circolo cerebrale.
    E' bene precisare che queste tecniche non si propongono l'obiettivo di rendere più sicura la diagnosi di morte cerebrale, bensì quello di ridurre il tempo di osservazione che potrebbe essere limitato a due ore.
    La diagnosi di morte cerebrale, infatti, ha carattere di certezza anche se si utilizzano solo i parametri clinici e la documentazione elettroencefalografica, ma in questo caso il tempo di osservazione deve protrarsi per sei ore. 



    3.3 Problemi particolari di accertamento di morte cerebrale anche in età pediatrica 


    Problemi particolari possono porsi nella diagnosi di morte cerebrale quando il paziente è in età pediatrica; tali problemi non riguardano tanto motivi di ordine deontologico o medico-legale quanto aspetti di difficoltà nella diagnosi clinica e strumentale. La nostra legislazione non prevede, come in realtà da tempo stabilito in altre nazioni, dei criteri diversi o valutazioni supplementari rispetto all'adulto. Ciò avviene nonostante che il substrato anatomo-funzionale sia completamente diverso soprattutto in relazione all'immaturità dello sviluppo e alla maggiore resistenza del parenchima cerebrale all'insulto ischemicoanossico.

    I criteri attualmente più seguiti per la diagnosi clinica di morte cerebrale nel bambino sono quelli compilati dalla "Task Force for the determination of Brain death in children". Essi prevedono:


      stato di coma; 

      assenza della funzione troncoencefalica con pupille in posizione intermedia o midriatiche non reagenti allo stimolo luminoso, assenza di movimenti spontanei o riflessi degli occhi, assenza di
    movimenti spontanei o riflessi dei muscoli innervati dai nervi cranici; 

      apnea; 

      esclusione di ipotermia artificialmente indotta ed ipotensione; 

      atonia muscolare e assenza dei movimenti spontanei o riflessi. 


    Il periodo di osservazione e gli esami strumentali da eseguire sono diversi a secondo dell'età considerata:


      da 7 giorni a 2 mesi la Task Force suggerisce due valutazioni cliniche ed elettroencefalografiche a distanza di 48 ore; 

      da 2 mesi ad 1 anno due valutazioni cliniche e strumentali separate da un intervallo di 24 ore; 

      sopra l'anno di vita (fino a 5 anni) la valutazione clinica deve essere ripetuta dopo 12 ore mentre l'EEG deve essere ripetuto solo se la causa di morte è extracerebrale.
     


    3.4 Criteri di accertamento della morte nel neonato 


    Per l'utilizzo dei criteri della Special Task Force americana in età neonatale per i bambini nati prima del termine in particolare, vanno rilevate alcune osservazioni.
    Quando le condizioni del neonato sono la conseguenza di un insulto perinatale è suggerita l'osservazione fino al settimo giorno dal parto per accertare la irreversibilità del danno cerebrale.
    Vanno tenute presenti le difficoltà applicative e l'affidabilità dei criteri, in particolare in età neonatale. Le difficoltà applicative riguardano soprattutto sia i criteri clinici sia quelli strumentali.
    I riflessi del tronco sono incompleti nei neonati con età gestazionale inferiore a 30-32 settimane, età in cui con le tecniche appropriate il bambino è mantenuto in vita ed ha elevate probabilità di sopravvivere sano. Ci sono casi di neonati, non solo pretermine, in coma, con assenza di riflessi del tronco, che sopravvissero. Non tutti i test sperimentali e proposti sono disponibili nell'unità di terapia intensiva. Né sono usabili secondo le tecniche necessarie per garantire la significatività dei risultati. Più disponibili ed usabili sono il test dell'apnea provocata (è positivo quando la paCO2 supera il valore di 60 in seguito a deconnessione del ventilatore per 10') e l'Eeg (silenzio elettrico per almeno 48 ore). Ma il test dell'apnea è utilizzabile solo per neonati di età gestazionale superiore a 33 settimane e l'EEG non è affidabile se il numero degli elettrodi è necessariamente limitato dalle piccole dimensioni del cranio del bambino pretermine e di peso molto basso. Raccomandato è il test dell'angiografia con radionuclidi per la misurazione del flusso cerebrale. Ma ne è problematica la disponibilità e l'usabilità in molte unità di terapia intensiva.
    Ci sono casi che mettono in forse l'interpretazione dei risultati e quindi la validità dei test. Infatti bambini con test dell'apnea positivo (quelli già menzionati, in coma e con assenza di riflessi del tronco) e con EEG isoelettrico per almeno 24 ore sono sopravvissuti; per contro, l'attività EEG non era soppressa in bambini molto critici che decedettero. Inoltre altri test sperimentati nell'adulto e nel bambino (potenziali evocati uditivi, visivi e somestesici, Xenon CT, angiografia digitale, flussimetria Doppler) hanno scarsa applicabilità nelle unità di terapia intensiva e/o danno risultati che si reputano ancora di incerta applicazione.
    In sintesi, sulla base di un'approfondita analisi della letteratura sembra sostenibile che non si può fare affidamento su uno soltanto dei criteri indicati dalla Special Task Force. Per il neonato a termine dovrebbero essere presenti tutti questi criteri, peraltro di difficile applicazione; per il neonato pretermine, specie se in età gestazionale inferiore a 32 settimane, esiste il problema della loro affidabilità. 



    4 - C O N C L U S I O N I  


    I criteri neurologici per l'accertamento della morte, ormai ampiamente analizzati e verificati dal punto di vista tecnico-scientifico, impongono di affrontare i rilevanti aspetti giuridici del problema al fine di:


      esprimere una metodologia che valga per ogni condizione di coma in costanza di rianimazione, indipendentemente da ogni finalismo ulteriore; 

     
    sanzionare giuridicamente tale metodologia; 

     
    controllarne l'esperimento costante e fedele con l'esercizio di ogni garanzia medico-legale; 

     
    recuperare la statuizione giuridica del momento della morte ben oltre ogni impossibile certezza biologica, attraverso la statuizione giuridica che esso coincide con l'inizio dell'esperimento probatorio ed è pertanto solo ex post definibile; 

     
    introdurre normativamente criteri diversi e/o valutazioni nella età pediatrica e neonatale.

     
    Va raccomandata, peraltro, la più ampia prudenza nella valutazione dei parametri strumentali attualmente disponibili di morte del neonato; 

     
    il legislatore dovrà sviluppare in termini normativi i criteri presentati dalla medicina per l'accertamento di morte, a tutti i fini giuridici, ivi compresa l'istituzione e la garanzia di funzionamento delle commissioni di verifica della realtà della morte in precedenza indicate. 


    La soluzione dei problemi giuridici faciliterà, certamente, il rispetto di alcune norme fondamentali di deontologia medica. Basti pensare che al momento attuale si è ancora costretti a proseguire l'assistenza artificiale del circolo e del respiro in soggetti già morti (morte accertata con criteri neurologici) quando non è possibile o consentita la donazione degli organi.
    Appare evidente, invece, che l'accertamento della morte, come abbiamo già detto, è un dovere del medico indipendentemente da qualsiasi altro finalismo (trapianti) e impone, comunque, la sospensione delle terapie.
    Ovviamente, se sussistono le condizioni, è doverosa la segnalazione del possibile donatore e l'inizio delle procedure atte al sostegno della funzione degli organi da trapiantare.
    Si impone, comunque, la conferma legislativa di ben precise responsabilità nella pratica dell'accertamento della morte, che garantiscano la completa rilevazione e l'esatta interpretazione dei dati clinici e strumentali, e, nello stesso tempo, il rispetto dei tempi, dei modi e delle procedure stabilite dalla legge e dalla norma deontologica; che valgano in ogni caso, nel quadro non superabile del c.d. uso legittimo del cadavere. Se per "morte cardiaca" non può che sostenersi la generalizzazione dell'esperimento elettrocardiografico per non meno di 20' ad opera del medico necroscopo, l'accertamento della "morte cerebrale" implica l'osservazione attiva per almeno 6 ore da parte di una équipe composta dal neurologo, dal rianimatore e dal medico legale, del tutto estranea all'ambito clinico in cui la morte si sia verificata e allo staff operativo cui siano affidate eventuali operazioni di trapianto d'organi. Quest'ultimo finalismo deve essere in effetti inteso alla stregua di aspetto particolare del più generale impegno medico, fortemente connotato di valenze etiche, per una diagnosi certa e perentoriamente affidante della fine irreversibile della vita. 


    B I B L I O G R A F I A



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    DEFINIZIONE E ACCERTAMENTO DELLA MORTE NELL'UOMO 
    Comitato nazionale per la Bioetica - 15 febbraio 1991



    P R E S E N T A Z I O N E 


    Il Comitato Nazionale per la Bioetica ha ritenuto importante soffermarsi sul problema della definizione e sulle metodologie della morte, interpretando anche in questa luce il mandato ricevuto con il Decreto istitutivo del 28 marzo 1990.
    Infatti, il turbamento da tempo provocato nell'opinione pubblica dall'impiego di nuove tecnologie strumentali e criteri diversi dai tradizionali per l'accertamento di tale evento, richiede al Comitato di proferire una parola chiara, al fine di fugare ogni dubbio che dal progresso delle scienze e delle tecnologie venga posto in discussione il principio assoluto della tutela della vita.
    Nelle sedute del III e IV Gruppo di lavoro in cui si è articolato il Comitato - sono state prese in attenta considerazione tre relazioni, e cioè: 


      C. MANNI - "Note preliminari sull'accertamento e definizione della morte, dal punto di vista delle tecniche rianimatorie". 

     
    M. BARNI - "Definizione di morte e criteri di accertamento, sotto il profilo medico-legale". 

     
    P. RESCIGNO - "Tutela del soggetto nella fase terminale della vita".


    I primi due documenti sono confluiti in una "Relazione" unitaria, che è stata esaminata nella Seduta plenaria del 25 e 28 gennaio 1991, con gli interventi dei proff. Barberio Corsetti, Cattorini, D'Agostino, Lecaldano, Nordio, Romano, Rossi-Sciumè, Sgreccia, Stammati (che ha presentato una memoria) e Veronesi, ed una consistente integrazione da parte dei professori Barberio Corsetti, Nordio e Rescigno (*).
    La relazione è stata approvata in pari data.
    Il documento finale - idoneo a raccogliere le considerazioni conclusive e le proposte del Comitato espresse in un linguaggio più facilmente comprensibile all'opinione pubblica - è stato approvato il 15 febbraio 1991.
    Il Comitato al termine della Seduta, dà mandato al Presidente di trasmettere i due documenti alla Presidenza del Consiglio.
    Il Comitato formula, altresì, i più vivi ringraziamenti ai proff. Falzea, Giron e Zatti, che hanno discusso le relazioni nella Seduta del Gruppo di lavoro del 25 gennaio.


    Il Presidente 

    A. Bonpiani


    Roma, 25 febbraio 1991

    (*) Il documento RESCIGNO formerà oggetto di ulteriore elaborazione. 








    CONCLUSIONI GENERALI E PARERI DEL COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA 



    I l  C o m i t a t o   N a z i o n a l e   p e r   l a   B i o e t i c a  

      premesso che è di comune constatazione che l'uomo, nel corso della storia, si è confrontato con il problema dell'accertamento della morte riconoscendola in fenomeni ai quali ha attribuito il carattere di certezza; 

     
    premesso altresì che i progressi della scienza medica, e in particolare della rianimazione, non hanno modificato l'evento della morte, che è sempre di non ritorno, ma hanno contribuito a migliorare la capacità di riconoscerne con certezza il momento; 

     
    ritenuto che il problema dell'individuazione del momento della morte assume grande rilievo in relazione alla tutela dei morenti, all'eliminazione di fenomeni di turbamento sociale e alle indicazioni operative per gli operatori e le strutture sanitarie, anche con riferimento all'ipotesi di trapianto di organi; 

     
    premesse tutte le considerazioni scientifiche illustrate nel rapporto allegato 

    avanza le seguenti conclusioni: 

      Il concetto di morte è definito dalla perdita totale e irreversibile della capacità dell'organismo di mantenere autonomamente la propria unità funzionale. 

     
    La morte può essere accertata attraverso criteri anatomici, clinici, biologici, cardiaci e neurologici.

     
    Per quanto riguarda i criteri anatomici, clinici, biologici e cardiaci il Comitato rinvia ai criteri comunemente accettati o codificati, e ritiene valido quanto è contenuto nel Regolamento di Polizia Mortuaria, di recente modificato (D.M. in data 10 settembre 1990). 

     
    Per quanto riguarda i criteri neurologici, il Comitato ritiene accettabile solo quello che fa riferimento alla cosiddetta "morte cerebrale", intesa come danno cerebrale organico, irreparabile, sviluppatosi acutamente, che ha provocato uno stato di coma irreversibile, dove il supporto artificiale è avvenuto in tempo a prevenire o trattare l'arresto cardiaco anossico. 

     
    Non può essere accettato il criterio che fa riferimento alla "morte corticale", nel verificarsi della quale rimangono integri i centri del paleoencefalo e permane la capacità di regolazione centrale delle funzioni omeostatiche e vegetative, compresa la respirazione autonoma. 

     
    Non può altresì essere accettato il criterio che fa riferimento alla morte del tronco encefalico perché essa non indica di per sé che le strutture al di sopra del tronco abbiano perso la possibilità di funzionare se stimolate in altro modo. 

     
    Alla attenta applicazione dei criteri clinici che, in presenza di una lesione cerebrale organica dimostrata con i mezzi della diagnostica strumentale, inducono il sospetto di morte cerebrale, deve accompagnarsi la ricerca, da parte del rianimatore, di tutti i fattori che possano fornire la certezza dell'avvenuta morte cerebrale. 

     
    Il tempo di osservazione attualmente prescritto (12 ore) può essere ridotto con l'impiego di alcuni esami strumentali che consentono di confermare la diagnosi di morte cerebrale ottenuta attraverso il rilievo di un EEG piatto e di smentirla facilmente in caso di intossicazioni esogene (potenziali evocati somato sensoriali), ovvero che dimostrano l'assenza di circolazione cerebrale (angiografia cerebrale, flussimetria Doppler a onda continua, flussimetria Doppler intravranica, scintigrafia cerebrale, tomografia computerizzata ad emissione di singoli fotoni-SPECT). 

     
    L'accertamento della morte in età pediatrica presenta problemi particolari per superare i quali si ritengono accettabili i criteri compilati dalla "Task Force for the determination of Brain death in children", che prevedono un periodo di osservazione più lungo. 

     
    L'accertamento della morte del neonato a termine comporta l'applicazione congiunta di tutti i criteri indicati dalla Task Force; per il neonato pretermine, specie se di età gestazionale inferiore alle 32 settimane, oltre ai criteri indicati dalla Task Force, debbono raccomandarsi un tempo di osservazione sufficiente lungo e la più ampia prudenza nella valutazione dei parametri strumentali attualmente disponibili. 


    Sulla base di tali conclusioni, il Comitato Nazionale per la Bioetica 

    formula l'auspicio: 

      che il legislatore sviluppi in termini normativi i criteri presentati dall'avanzamento della medicina, attraverso parametri strumentali, per l'accertamento della morte a tutti i fini giuridici; 

     
    che siano introdotti criteri normativi differenziati per l'accertamento della morte nell'età pediatrica e neonatale; 

     
    che siano promossi l'istituzione e le garanzie di funzionamento delle commissioni di verifica della realtà della morte. 








    DEFINIZIONE E ACCERTAMENTO DELLA MORTE NELL'UOMO



    1 - P R E M E S S A

    Nel presente documento si tratta della definizione ed accertamento della morte.

    E' di comune constatazione che l'uomo, nel corso della storia, si è confrontato con il problema dell'accertamento della morte riconoscendola in fenomeni di certezza che sono stati diversamente interpretati.
    I motivi che inducono ad intervenire su questo tema, nell'ambito del Comitato Nazionale per la Bioetica, sono molteplici:
    innanzitutto le modificazioni provocate dalle moderne tecnologie biomediche fra cui la più sconvolgente è la definizione di un'entità nosografica del tutto sconosciuta all'era precedente la rianimazione e cioè l'identificazione della morte dell'individuo con la cessazione definitiva, irreversibile, della completa funzione di un singolo organo, il cervello (cosiddetta "morte cerebrale");
    in secondo luogo il problema della gestione del complesso delle cure da parte del personale medico e delle Istituzioni socio-sanitarie impegnato a trattare il prolungamento della sopravvivenza di pazienti in condizioni estremamente critiche. Problemi etici di grande rilevanza infatti si pongono nel merito dei comportamenti dello staff sanitario delle Unità di terapia intensiva, riferiti all'appropriatezza dell'utilizzazione delle tecniche disponibili e alla relazione che esso instaura con i parenti dei pazienti.
    Tale problema del comportamento dello staff sanitario ha aspetti peculiari in neonatologia in quanto - fra l'altro - il personale si deve confrontare con i genitori, ai fini di una tutela del bambino ("child advocacy");
    in terzo luogo il problema del trapianto di organi rispetto al quale si sta diffondendo una "cultura" non sempre congrua alla natura del problema.

    Il Comitato Nazionale per la Bioetica esaminerà questi problemi in documenti che saranno predisposti specificatamente; ma alla loro trattazione ritiene necessario premettere una analisi di criteri atti a stabilire con certezza il momento della morte.
    Nel dibattito pubblico, infatti, i criteri scientifici sono spesso sconosciuti o male interpretati e questo ha contribuito a generare grande sconcerto sull'esatta definizione della morte e del momento in cui essa si verifica. Inoltre, la popolarità e la diffusione degli aspetti scientifici e di costume relativi ai trapianti d'organo, cui i mass-media hanno dedicato molto interesse, comportano un rapporto quasi quotidiano con queste problematiche. Purtroppo, nella divulgazione del dibattito scientifico, la frequente mancanza di chiarezza ha contribuito a suscitare o perpetuare paure e pregiudizi nei confronti di una corretta diagnosi di morte.
    Per questi motivi è sembrato opportuno al Comitato Etico Nazionale offrire una base di approfondimento rigorosamente scientifica, movendo sempre dall'esigenza esclusiva del rispetto e della tutela della vita umana.
    Il Comitato, nell'affrontare il problema di una definizione di morte dell'individuo e nel precisare parametri di accertamento, vuole riferirsi all'esame clinico e sperimentale dei fatti e prende in considerazione l'uomo nella sua individualità organica e funzionale, prescindendo dall'analisi teorico-sistematica delle diverse sensibilità e concezioni culturali e da concetti che sono controversi in campo filosofico e nel linguaggio. 


    2 - D E F I N I Z I O N E    D I    M O R T E

    2.1 I concetti di "morire", di "morte cardiaca", di "morte cerebrale". 

    La morte non estingue in modo istantaneo e globale l'attività di tutte le cellule. Infatti, il "morire", sul piano biologico, deve riconoscersi come un processo evolutivo che colpisce gradualmente le cellule dei diversi tessuti e le relative strutture subcellulari sulla base della loro differente resistenza alla carenza di ossigeno, sino alla estinsione di ogni attività vitale, con il permanere dei soli fenomeni enzimatici colliquativi-putrefattivi. Ma non è certo opportuno attendere l'instaurarsi della "morte biologica" per dichiarare morto un essere vivente.
    E' possibile, invece, definire il momento della cessazione della vita dell'essere come organismo integrato, attraverso criteri scientificamente dimostrati, riferendoci all'organismo umano espresso nella sua integrità morfologica e funzionale.
    Se la determinazione della morte è di facile riscontro oggettivo nei casi di "devastazione", cioè nei casi di disintegrazione fisica della persona (condizione che si realizza ad esempio nei disastri aerei, nelle catastrofi naturali e belliche) è assai meno ovvia e assoluta nei casi quotidiani di diagnosi di morte.
    Comunemente il momento della morte viene fatto coincidere con l'arresto del battito cardiaco (la cosiddetta "morte cardiaca"). L'assenza del battito cardiaco e dei polsi periferici, la presenza di un elettrocardiogramma piatto per non meno di 20 minuti sono i segni che, anche a termine di legge (art. 8 del Regolamento di Polizia Mortuaria, 10 settembre 1990) consentono la diagnosi di morte. Tale condizione determina la cessazione, in termini perentoriamente irreversibili, della possibilità di recupero della funzione cerebrale e di tutti gli altri organi e apparati.
    Le tecniche di rianimazione hanno consentito di vicariare le principali funzioni biologiche (cuore, circolo, respiro) con mezzi strumentali, permettendo di creare un'apparenza di vita del tutto artificiale, anche nei pazienti con lesioni neurologiche globali e irreversibili. E' pertanto possibile mantenere in condizioni straordinarie un cuore battente, reni e fegato funzionanti, e così via, in un paziente con strutture totalmente e irrimediabilmente lese.
    Approvare e servirsi della definizione di "morte cerebrale" non significa però ridefinire il concetto di morte: soltanto indicare una nuova modalità di identificare la morte così da essere preparati ad utilizzare due formulazioni alternative: quella tradizionale di morte cardiaca e quella innovativa della morte cerebrale.
    Ambedue identificano comunque l'assenza del concetto di morte nella perdita totale ed irreversibile della capacità dell'organismo di mantenere autonomamente la propria unità funzionale.
    Invero, questa difficoltà ad accettare la morte cerebrale quale nuovo criterio di morte è presente in tutti i paesi, anche in quelli economicamente e culturalmente più avanzati.



    2.2 Caratteristiche del concetto di "morte cerebrale".


    Sembra opportuno, pertanto, fornire qualche ulteriore informazione al riguardo.
    Negli USA, già dal 1981, la "President's Commission for the Study of Ethical Problems in Medicine and Biochemical and Behavioral Research" ha stabilito che la perdita irreversibile di tutte le funzioni cerebrali, in accordo con standard medici accettati, sia criterio sufficiente per l'accertamento della morte.
    Ciò nonostante un sondaggio Gallup del 1985 ha rivelato che, pur se il 75% degli americani ha sentito parlare di morte cerebrale, solo il 55% di essi è d'accordo ad usare questa definizione come criterio di accertamento di morte della persona.
    Nelle altre nazioni non vi è un modello di comportamento univoco alla morte cerebrale. In alcune esistono disposizioni di legge che codificano la morte cerebrale, ne stabiliscono i criteri e la equivalgono alla morte dell'intero organismo; in altre, viene accettata senza alcuna disposizione di legge e la diagnosi è affidata all'esclusivo giudizio del medico, per altre ancora non viene accettata come causa di morte (ad esempio nei paesi islamici).
    E' chiaro che non sarà facile modificare una tradizione culturale che affonda le sue radici nell'origine dell'uomo.
    La morte cerebrale, descritta per la prima volta nel 1959 da Mollaret e Goulon, definisce l'autolisi, la necrosi asettica degli emisferi cerebrali e del tronco, cioè la distruzione completa ed irreversibile di tutto il contenuto della cavità cranica fino al primo segmento cervicale.
    Solo una percentuale inferiore al 1% delle morti assume le caratteristiche della morte cerebrale: si tratta invariabilmente di quei casi in cui un danno cerebrale organico, irreparabile, sviluppatosi acutamente ha provocato uno stato di coma irreversibile dove il supporto artificiale è avvenuto in tempi utili a prevenire o trattare l'arresto cardiaco anossico.
    La non conoscenza dell'esatta definizione di morte cerebrale, nei termini di estensione ed irreversibilità della lesione, la mancanza univocità nei criteri scientifici ed alcune imprecisioni nella diagnosi differenziale con altri quadri clinici hanno insinuato sospetti soprattutto sulla identificazione ed equiparazione della morte cerebrale con la morte dell'uomo.
    La grave confusione al riguardo è stata ulteriormente stimolata dall'utilizzazione indifferente di termini assai diversi: "coma irreversibile" e "sindrome apallica" definiscono, ad esempio, uno stato di coscienza più simile al sonno non risvegliabile che alla necrosi del parenchima cerebrale; la definizione stessa di "morte cerebrale" può apparire ambigua perché definisce contemporaneamente la morte di un organo in un corpo altrimenti vivo - ove sottoposto a tecniche di sostentamento artificiale - a la morte della persona in virtù della morte di un singolo organo.
    Un altro elemento di confusione è certamente l'identificazione proposta dagli Autori inglesi della morte cerebrale con la morte del tronco encefalo dal momento che la cessazione irreversibile della funzione di questa struttura rende il resto del cervello per sempre non funzionante ed invariabilmente determina la morte somatica. Questa posizione comporta due equivoci di fondo: 


      il primo deriva dal fatto che l'assenza della funzione del resto dell'encefalo non è intrinseca ma semplicemente occasionata dalla mancanza di imput dal tronco (il che non significa che le strutture al di sopra del tronco abbiano per definizione perso la possibilità di funzionare se stimolate in altro modo); 

     
    il secondo deriva dal fatto che non è giusto equiparare l'inevitabilità della morte con la morte stessa: la morte del tronco ha quindi requisiti prognostici ma non diagnosi di morte. 


    Recentemente è stato anche proposto di definire morta la persona nella quale si sia verificata la necrosi della sola area corticale del sistema nervoso centrale, pur rimanendo integre e funzionanti le strutture troncoencefaliche (morte corticale).
    In questa condizione, clinicamente definita "stato vegetativo persistente", la dichiarazione di morte viene giustificata dalla presunta impossibilità a recuperare una sufficiente vita di relazione.
    Non si può condividere questa opinione perché, rimanendo integri i centri del paleoencefalo, permangono attive le capacità di regolazione (centrale) omeostatiche dell'organismo e la capacità di espletare in modo integrate le vitali funzioni, compresa la respirazione autonoma.
    Va rilevato, inoltre, che "stato vegetativo persistente" non vuol dire di per sé irreversibile e si segnalano casi che hanno recuperato, anche se parzialmente ed in tempi lunghi, una vita di relazione.
    Infine vi è una oggettiva difficoltà clinica ad accertare, senza alcuna possibilità di errore, una necrosi completa ed irreversibile della sola corteccia cerebrale.
    Questa mancanza di uniformità e di chiarezza ha certamente contribuito a scatenare polemiche sull'attendibilità dei sistemi diagnostici e sullo stesso concetto di identificazione della morte cerebrale con la morte dell'intero organismo.
    Ed è proprio per questo motivo che appare opportuna una definizione unica, e non aggettivata, della morte.
    Il parlare di morte clinica, morte biologica, morte cardiaca, morte cerebrale, morte tronco-encefalica, morte corticale potrebbe generare notevole confusione e disorientamento: è come se esistessero molte morti e modi diversi di morire.
    Al contrario, va affermato che il momento della morte è uno solo ed è segnato, come già detto, dalla perdita totale ed irreversibile dell'unitarietà funzionale dell'organismo. 



    2.3 Conclusioni in merito alla definizione di morte 


    In pratica, può dirsi che la morte avviene quando l'organismo cessa di "essere un tutto", mentre il processo del morire termina quando "tutto l'organismo" è giunto alla completa necrosi.
    Questo momento iniziale, che segna il passaggio dalla vita alla non-vita, non è variabile nel tempo: ciò che varia sono i criteri scientifici che consentono di individuare e segnalare il momento in cui la vita cessa e, cioè, la realtà e l'irreversibilità della morte stessa. La definizione di morte si esprime scientificamente solo in termini di realtà e irrevocabilità.
    I progressi della scienza medica, ed in particolare della rianimazione e della trapiantologia, non hanno modificato l'evento della morte, che è sempre di non ritorno: le moderne tecnologie hanno contribuito a migliorare la capacità di riconoscere il momento con certezza.
    In pratica, oggi sappiamo che esiste un centro coordinatore e unificante nell'organismo umano: il cervello: la sua totale necrosi segna il passaggio "dall'essere uomo vivente" alla morte; anche se alcuni organi, sostenuti artificialmente, possono conservare la propria funzione.
    Suggeriamo, pertanto, di non utilizzare i termini suddetti, anche se ormai di uso comune, sostituendoli con: criteri clinici, criteri biologici, criteri cardiaci e criteri neurologici per l'accertamento della morte.
    E' chiaro del resto che quando noi diciamo "morte cardiaca" non ci riferiamo alla morte del cuore, bensì ai criteri cardiocircolatori finalizzati alla diagnosi di morte dell'intero organismo.
    Così come, quando parliamo di "morte cerebrale" - come anche in questo documento si fa per una prassi invalsa del linguaggio comune - non intendiamo riferirci alla morte di un solo organo, il cervello, bensì ai criteri neurologici per accertare la morte della persona nella sua totalità.
    E' bene inoltre precisare che questi criteri potranno subire modifiche in accordo ai progressi delle tecnologie biomediche: modifiche che tutti noi dobbiamo essere pronti a recepire, trattandosi di mezzi strumentali che se mai anticipano, ma non infirmano, la morte diagnostica.
    Distinguendo con estrema chiarezza la definizione della morte dai criteri di accertamento, saremo in grado di evitare futuri, sempre prevedibili equivoci. 



    3 - A C C E R T A  M E N T  O   D E L L A     M O R T E  


    Considerando che i criteri anatomici (morte per devastazione) e i criteri cardiocircolatori (morte cardiaca) sono ormai comunemente accettati e ben codificati anche dal punto di vista legislativo, il Comitato si è soffermato a trattare esclusivamente i controversi aspetti dei criteri neurologici (morte cerebrale).
    E' bene premettere che, dal punto di vista anatomofunzionale, il denominatore comune dei diversi fattori eziologici determinanti la morte cerebrale è l'arresto del flusso ematico cerebrale. Ciò si verifica allorquando la pressione di perfusione cerebrale espressa come differenza tra la pressione arteriosa sistematica media e la pressione intracranica media si azzera. Ciò può avvenire per eccessive diminuzioni della pressione arteriosa o per aumenti notevoli della pressione intracranica, condizione alla base delle patologie che più frequentemente determinano la morte cerebrale: il trauma cranico, l'ictus cerebrale emorragico, e i processi espansivi di natura neoplastica. 



    3.1 Criteri clinici e strumenti classici di accertamento di morte 


    Dal punto di vista clinico il sospetto di una morte cerebrale può essere avanzato quando, in presenza di una lesione cerebrale organica dimostrata con i mezzi della diagnostica strumentale, si rileva:


      uno stato di coma non rispondente agli stimoli esogeni; 

     
    ariflessia tendinea dei muscoli scheletrici innervati dai nervi cranici e quindi assenza dei riflessi troncoencefalici (fotomotore, corneale, oculocefalici e oculovestibolari, faringeo e tracheale); 

     
    atonia muscolare; 

     
    assenza di attività elettrica attraverso la registrazione EEG; 

     
    assenza di respirazione spontanea. 


    L'apnea acquisisce valore diagnostico solo se testata dopo aver escluso condizioni che possono fatalmente determinarla come l'ipocapnia spinta o la curarizzazione. Un test all'apnea correttamente eseguito deve essere così compiuto:


      preossigenazione con ossigeno puro per 10 minuti e riduzione della frequenza respiratoria fino ad ottenere una paCO2 di almeno 40 mmHg; 

      deconnessione del paziente dal respiratore automatico per almeno cinque minuti durante i quali da 8 a 10 litri al minuto di ossigeno sono somministrati attraverso il tubo endotracheale; 

      controllo della paCO2 che deve aver superato i 60 mmHg. 


    La rilevazione elettroencefalografica come condizione necessaria per la diagnosi della morte cerebrale non è universalmente accettata. I motivi concettuali di questa posizione si possono ricondurre alla tesi, sostenuta dagli Inglesi, secondo cui la morte del troncoencefalo valutata con mezzi clinici equivale alla morte cerebrale e non richiede l'accertamento con mezzi strumentali come l'EEG.
    La legge italiana prevede attualmente l'assenza di attività elettrica spontanea o provocata rilevata con registrazioni di trenta minuti ottenuti per quattro volte nelle dodici ore di osservazione previste.
    Riteniamo doverosa la registrazione strumentale di un elettroencefalogramma che documenti l'assenza di un attività corticale e che confermi l'avvenuta necrosi di tutto il cervello (corteccia e troncoencefalo).
    Riteniamo invece, per motivi che analizzeremo in seguito, che sia possibile ridurre il tempo di osservazione.
    Spesso anche l'insorgenza di segni e sintomi sistemici possono comportare il sospetto di morte cerebrale:


      la poliura: compare come conseguenza della cessata dismissione in circolo dell'ormone antidiuretico (ADH) dovuto all'ischemia dell'asse diencefalo ipofisario. Essa comporta un'imponente disidratazione con ipernatriemia, iperosmolarità ed ipocaliemia che determinano gravi alterazioni della funzione delle membrane cellulari soprattutto a livello cardiaco; 

     
    l'instabilità cardiocircolatoria: consiste in ipotensione, bradicardia, aritmie, conseguenza inevitabile dell'ischemia dei centri vasomotori del tronco, dello squilibrio idroelettrico e della scomparsa dell'azione vasocostrittrice di alcuni ormoni (ormone antidiuretico, ormoni tiroidei ecc...); 

     
    l'ipotermia: successiva alla perdita della capacità di autoregolazione della temperatura corporea da parte dell'ipotalamo e della notevole dispersione termica da poliura. 


    In presenza del sospetto di morte cerebrale è compito del rianimatore ricercare, con estrema attenzione, se sussistano fattori che escludano la certezza di morte cerebrale quale la presenza di sostanze deprimenti il sistema nervoso centrale, l'ipotermia artificialmente indotta, le patologie endrocrine, gli squilibri metabolici.
    Questi fattori possono determinare uno stato di coma e la comparsa di sintomi e segni simili a quelli che si osservano in soggetti in morte cerebrale ma sempre accertabili con un'adeguata diagnosi differenziale e soprattutto reversibili con un'adeguata terapia.
    L'alterazione dello stato di incoscienza fino al coma è un sintomo frequente anche nei gravi disordini metabolici quali: l'ipossia, l'ipercapnia, l'ipoglicemia, l'insufficienza epatica, l'insufficienza renale e gli squilibri idroelettrolitici.
    Dal punto di vista legale l'accertamento di morte cerebrale prevede la persistenza dei criteri clinici e strumentali suddetti per un lasso di tempo che attualmente risulta essere di 12 ore. Nella formulazione delle nuove proposte di legge si tende a ridurre i tempi di osservazione in accordo con il concetto che una sintomatologia di coma ariflessico ed apneico con assenza di attività elettrica cerebrale non può regredire a meno che non sia stata causata da squilibri endocrino-metabolici o da intossicazione farmacologica comunque diagnosticabili in questi termini di tempo. L'osservazione di tutti questi criteri clinici è assolutamente obbligatoria; nessuno spazio deve essere lasciato alla possibilità di falsi negativi ed ovviamente il medico deve essere assolutamente certo che nessun paziente vivo possa essere erroneamente giudicato morto. 



    3.2 Le tecnologie psicomediche nella diagnosi precoce di morte 


    Alcuni esami strumentali sono in grado di confermare la diagnosi di morte cerebrale in tempi anche più brevi di quanto previsto dalla legge.
    I potenziali evocati somato-sensoriali acquisiscono una importanza sempre maggiore fornendo utili indicazioni riguardanti l'aspetto anatomofunzionale delle strutture sia del troncoencefalo che corticali. Essi consentono soprattutto di confermare la diagnosi di morte cerebrale ottenuta attraverso il rilievo di un EEG piatto e di smentirla facilmente nel caso di intossicazioni esogene.
    Ma il reperto inequivocabile per la diagnosi di morte cerebrale è la dimostrazione dell'assenza di circolazione cerebrale: dell'impossibilità, quindi, che il sangue possa raggiungere il parenchima cerebrale. Ciò si può ottenere con varie tecniche strumentali:


     l'angiografia cerebrale che, attraverso puntura dell'arteria carotide ed iniezione di mezzo contrasto, documenta l'arresto del flusso a livello della base cranica; 
    la flussimetria Doppler ad onda continua che dimostra la scomparsa del flusso diastolico e la comparsa di un'onda reverse, quadro correlato con l'aumento della pressione intracranica e l'ostacolo alla perfusione cerebrale; 

     
    la flussimetria Doppler intracranica che, a differenza del Dopler ad onda continua, emette un'onda pulsata di ultrasuoni a bassa frequenza (2MegaHz) attraverso un cristallo unico che ha contemporaneamente la funzione di ricevente e consente l'insonazione di interfacce vascolari situate in volumi di prelievo di piccole dimensioni, soprattutto a profondità note e programmabili. Il fascio di ultrasuoni è così in grado di superare la teca ossea a livello di determinate finestre ossee e di fornire precise informazioni sulla direzione del flusso, sulla sua velocità e indirettamente sulle resistenze vascolari; 

     
    la scintigrafia cerebrale che si esegue attraverso l'introduzione nell'organismo per via perfusionale o per inalazione di traccianti radioattivi (Tecnezio 99m) e permette l'identificazione della presenza e delle caratteristiche del flusso cerebrale; 

     
    la SPECT (tomografia computerizzata ad emissione di singoli fotoni) esame altamente sofisticato, di grande sensibilità che garantisce con assoluta certezza (visualizzando il solo circolo intracranico) ed esclusione di falsi positivi l'assenza di circolo cerebrale. 


    Nei casi in cui la PIC è monitorizzata con un cratere intraventricolare è possibile valutare la morfologia dell'onda pulsatile liquorale, espressione delle modificazioni di pressioni conseguente all'entrata nel sistema intracranico del volume ematico corrispondente ad ogni sistole cardiaca. L'assenza di tale onda, qualora sia appurato il normale funzionamento del sistema di rilevazione, è altamente suggestivo per l'assenza di circolo cerebrale.
    E' bene precisare che queste tecniche non si propongono l'obiettivo di rendere più sicura la diagnosi di morte cerebrale, bensì quello di ridurre il tempo di osservazione che potrebbe essere limitato a due ore.
    La diagnosi di morte cerebrale, infatti, ha carattere di certezza anche se si utilizzano solo i parametri clinici e la documentazione elettroencefalografica, ma in questo caso il tempo di osservazione deve protrarsi per sei ore. 



    3.3 Problemi particolari di accertamento di morte cerebrale anche in età pediatrica 


    Problemi particolari possono porsi nella diagnosi di morte cerebrale quando il paziente è in età pediatrica; tali problemi non riguardano tanto motivi di ordine deontologico o medico-legale quanto aspetti di difficoltà nella diagnosi clinica e strumentale. La nostra legislazione non prevede, come in realtà da tempo stabilito in altre nazioni, dei criteri diversi o valutazioni supplementari rispetto all'adulto. Ciò avviene nonostante che il substrato anatomo-funzionale sia completamente diverso soprattutto in relazione all'immaturità dello sviluppo e alla maggiore resistenza del parenchima cerebrale all'insulto ischemicoanossico.

    I criteri attualmente più seguiti per la diagnosi clinica di morte cerebrale nel bambino sono quelli compilati dalla "Task Force for the determination of Brain death in children". Essi prevedono:


      stato di coma; 

      assenza della funzione troncoencefalica con pupille in posizione intermedia o midriatiche non reagenti allo stimolo luminoso, assenza di movimenti spontanei o riflessi degli occhi, assenza di
    movimenti spontanei o riflessi dei muscoli innervati dai nervi cranici; 

      apnea; 

      esclusione di ipotermia artificialmente indotta ed ipotensione; 

      atonia muscolare e assenza dei movimenti spontanei o riflessi. 


    Il periodo di osservazione e gli esami strumentali da eseguire sono diversi a secondo dell'età considerata:


      da 7 giorni a 2 mesi la Task Force suggerisce due valutazioni cliniche ed elettroencefalografiche a distanza di 48 ore; 

      da 2 mesi ad 1 anno due valutazioni cliniche e strumentali separate da un intervallo di 24 ore; 

      sopra l'anno di vita (fino a 5 anni) la valutazione clinica deve essere ripetuta dopo 12 ore mentre l'EEG deve essere ripetuto solo se la causa di morte è extracerebrale.
     


    3.4 Criteri di accertamento della morte nel neonato 


    Per l'utilizzo dei criteri della Special Task Force americana in età neonatale per i bambini nati prima del termine in particolare, vanno rilevate alcune osservazioni.
    Quando le condizioni del neonato sono la conseguenza di un insulto perinatale è suggerita l'osservazione fino al settimo giorno dal parto per accertare la irreversibilità del danno cerebrale.
    Vanno tenute presenti le difficoltà applicative e l'affidabilità dei criteri, in particolare in età neonatale. Le difficoltà applicative riguardano soprattutto sia i criteri clinici sia quelli strumentali.
    I riflessi del tronco sono incompleti nei neonati con età gestazionale inferiore a 30-32 settimane, età in cui con le tecniche appropriate il bambino è mantenuto in vita ed ha elevate probabilità di sopravvivere sano. Ci sono casi di neonati, non solo pretermine, in coma, con assenza di riflessi del tronco, che sopravvissero. Non tutti i test sperimentali e proposti sono disponibili nell'unità di terapia intensiva. Né sono usabili secondo le tecniche necessarie per garantire la significatività dei risultati. Più disponibili ed usabili sono il test dell'apnea provocata (è positivo quando la paCO2 supera il valore di 60 in seguito a deconnessione del ventilatore per 10') e l'Eeg (silenzio elettrico per almeno 48 ore). Ma il test dell'apnea è utilizzabile solo per neonati di età gestazionale superiore a 33 settimane e l'EEG non è affidabile se il numero degli elettrodi è necessariamente limitato dalle piccole dimensioni del cranio del bambino pretermine e di peso molto basso. Raccomandato è il test dell'angiografia con radionuclidi per la misurazione del flusso cerebrale. Ma ne è problematica la disponibilità e l'usabilità in molte unità di terapia intensiva.
    Ci sono casi che mettono in forse l'interpretazione dei risultati e quindi la validità dei test. Infatti bambini con test dell'apnea positivo (quelli già menzionati, in coma e con assenza di riflessi del tronco) e con EEG isoelettrico per almeno 24 ore sono sopravvissuti; per contro, l'attività EEG non era soppressa in bambini molto critici che decedettero. Inoltre altri test sperimentati nell'adulto e nel bambino (potenziali evocati uditivi, visivi e somestesici, Xenon CT, angiografia digitale, flussimetria Doppler) hanno scarsa applicabilità nelle unità di terapia intensiva e/o danno risultati che si reputano ancora di incerta applicazione.
    In sintesi, sulla base di un'approfondita analisi della letteratura sembra sostenibile che non si può fare affidamento su uno soltanto dei criteri indicati dalla Special Task Force. Per il neonato a termine dovrebbero essere presenti tutti questi criteri, peraltro di difficile applicazione; per il neonato pretermine, specie se in età gestazionale inferiore a 32 settimane, esiste il problema della loro affidabilità. 



    4 - C O N C L U S I O N I  


    I criteri neurologici per l'accertamento della morte, ormai ampiamente analizzati e verificati dal punto di vista tecnico-scientifico, impongono di affrontare i rilevanti aspetti giuridici del problema al fine di:


      esprimere una metodologia che valga per ogni condizione di coma in costanza di rianimazione, indipendentemente da ogni finalismo ulteriore; 

     
    sanzionare giuridicamente tale metodologia; 

     
    controllarne l'esperimento costante e fedele con l'esercizio di ogni garanzia medico-legale; 

     
    recuperare la statuizione giuridica del momento della morte ben oltre ogni impossibile certezza biologica, attraverso la statuizione giuridica che esso coincide con l'inizio dell'esperimento probatorio ed è pertanto solo ex post definibile; 

     
    introdurre normativamente criteri diversi e/o valutazioni nella età pediatrica e neonatale.

     
    Va raccomandata, peraltro, la più ampia prudenza nella valutazione dei parametri strumentali attualmente disponibili di morte del neonato; 

     
    il legislatore dovrà sviluppare in termini normativi i criteri presentati dalla medicina per l'accertamento di morte, a tutti i fini giuridici, ivi compresa l'istituzione e la garanzia di funzionamento delle commissioni di verifica della realtà della morte in precedenza indicate. 


    La soluzione dei problemi giuridici faciliterà, certamente, il rispetto di alcune norme fondamentali di deontologia medica. Basti pensare che al momento attuale si è ancora costretti a proseguire l'assistenza artificiale del circolo e del respiro in soggetti già morti (morte accertata con criteri neurologici) quando non è possibile o consentita la donazione degli organi.
    Appare evidente, invece, che l'accertamento della morte, come abbiamo già detto, è un dovere del medico indipendentemente da qualsiasi altro finalismo (trapianti) e impone, comunque, la sospensione delle terapie.
    Ovviamente, se sussistono le condizioni, è doverosa la segnalazione del possibile donatore e l'inizio delle procedure atte al sostegno della funzione degli organi da trapiantare.
    Si impone, comunque, la conferma legislativa di ben precise responsabilità nella pratica dell'accertamento della morte, che garantiscano la completa rilevazione e l'esatta interpretazione dei dati clinici e strumentali, e, nello stesso tempo, il rispetto dei tempi, dei modi e delle procedure stabilite dalla legge e dalla norma deontologica; che valgano in ogni caso, nel quadro non superabile del c.d. uso legittimo del cadavere. Se per "morte cardiaca" non può che sostenersi la generalizzazione dell'esperimento elettrocardiografico per non meno di 20' ad opera del medico necroscopo, l'accertamento della "morte cerebrale" implica l'osservazione attiva per almeno 6 ore da parte di una équipe composta dal neurologo, dal rianimatore e dal medico legale, del tutto estranea all'ambito clinico in cui la morte si sia verificata e allo staff operativo cui siano affidate eventuali operazioni di trapianto d'organi. Quest'ultimo finalismo deve essere in effetti inteso alla stregua di aspetto particolare del più generale impegno medico, fortemente connotato di valenze etiche, per una diagnosi certa e perentoriamente affidante della fine irreversibile della vita. 


    B I B L I O G R A F I A



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    VOLPE J.J., Brain death determination in the newborn. Pediatrics, 1987, 80:296.

     
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  14. *Anima Ribelle*
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    DONAZIONI D'ORGANO A FINI DI TRAPIANTO 
    Comitato nazionale per la Bioetica - 7 ottobre 1991



    P R E S E N T A Z I O N E 


    Il problema della "donazione di organi" a fini di trapianto terapeutico è - da tempo - oggetto di elaborazioni dottrinali in campo giuridico; inoltre suscita, da molti anni, appassionati dibattiti nell'opinione pubblica.
    In tutti i Paesi sanitariamente avanzati, il prelievo di organi a fini di trapianto è rigidamente regolamentato, e le norme elaborate - alquanto difformi tra loro - considerano in ogni caso il problema del "consenso alla donazione".
    Allorché trattasi di prelievo da cadavere, in attesa di auspicabili omologazioni delle norme, previste dai vari Stati, come peraltro raccomandato per i Paesi della Comunità Europea dalla Risoluzione n. 29 del 1978, ovunque si opera per fare progredire l'opinione pubblica verso traguardi di maggiore sensibilità circa il valore sociale della donazione personalmente e formalmente compiuta in vita a favore di persone ignote, ma per le quali la sopravvivenza stessa, o il recupero di accettabili condizioni di vita, è assicurato esclusivamente dal trapianto.
    Il Comitato Nazionale per la Bioetica ha ritenuto doveroso partecipare al dibattito sulla donazione e sul consenso al prelievo d'organi, presentando una serie di argomentazioni medico-legali, giuridiche ed etiche che possono aiutare il formarsi di una coscienza più matura sul problema.
    Si è ritenuto opportuno affrontare anzitutto i problemi - che potrebbero definirsi "classici" - del prelievo di organi dal bambino all'adulto, escludendo - al momento - la trattazione di questioni che hanno valenze giuridico-etiche particolari, come ad esempio il prelievo di organi da neonati anencefali, il prelievo di midollo da minorenne e l'innesto di cellule e tessuti fetali.
    Il Comitato Nazionale per la Bioetica si riserva - ovviamente - di prendere in esame questi argomenti nella loro specificità.
    Così delineato l'argomento, sulla base delle relazioni introduttive del prof. Merli, riguardante prevalentemente gli aspetti medico-sanitari e del prof. Stammati - dedicata agli aspetti giuridici - si è sviluppata una intensa azione di approfondimento, estesa anche agli aspetti etici, facilitata dalla presenza di contributi scritti da parte dei proff. Lecaldano, Manni e Sgreccia; a questa riflessione hanno concorso numerosi Membri del Comitato nelle sedute del 15/2; 29/4; 8/7/1991 (riunione Gruppi di lavoro 3° e 4°) e nelle sedute del 29/4; 9/7; 22/7; 16/9; 7/10/1991 (riunioni plenarie).
    Il Comitato Nazionale per la Bioetica ha ascoltato anche, in qualità di "esperti", i proff. Ciccone (Docente di teologia morale del Collegio Alberoni di Piacenza), Cortesini (Presidente Associazione nazionale trapianti d'organo9, Sirchia (Primario del Centro trasfusionale e immunologia dei trapianti di Milano).
    A nome personale e del Comitato, ringrazio vivamente i Colleghi per l'apporto dato, con generosità e competenza.
    I documenti conclusivi sono stati approvati il 7/10/1991, con il parziale dissenso espresso dal prof. Silvestrini.
    Come di consueto, sono stati elaborati due documenti: la"Sintesi e pareri" che offre il punto di arrivo delle valutazioni condotte e la "Relazione", che svolge con maggiore sistematicità l'argomento soprattutto in riferimento agli aspetti giuridici. 

    Il Presidente 

    A. Bonpiani


    Roma, 7 ottobre 1991








    SINTESI E PARERI DEL COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA


    La chirurgia dei trapianti si definisce come una sicura ed insostituibile opportunità terapeutica capace di risolvere positivamente oggettive situazioni di pericolo e di danno per la vita o per la validità individuale, non altrimenti e/o non altrettanto efficacemente trattabili.
    Lo sviluppo quantitativo di questo impegno terapeutico, le cui controindicazioni e complicanze di indole clinica sono sempre più contenute, è condizionato ormai, non solo da fattori tecnici ed organizzativi propri di ogni sistema sanitario gravato da specifici problemi di natura economica, superabili attraverso la programmazione delle iniziative rapportate alle risorse e alle attese sociali, ma anche, e soprattutto, dalla limitata disponibilità del materiale biologico utile per ogni trapianto.
    Tale difetto è particolarmente evidente in Italia ove si va accentuando il divario tra esigenze-attese terapeutiche e opportunità di intervento e ove pertanto, nonostante le soddisfacenti e talora eccellenti realizzazioni organizzative e tecnico-operative, annualmente si perdono migliaia di pazienti per i quali ogni speranza di sopravvivenza è confidata ad un possibile impianto di organo vitale.
    Considerando il più preoccupante e urgente aspetto del problema, quello cioè concretizzato dai prelievi da donatore defunto di età superiore ai 5 anni (con riserva di interessarsi successivamente dei prelievi da soggetti di età inferiore ai 5 anni e - con maggiore ampiezza - dei prelievi da vivente), il C.N.B. ne evidenzia ancora una volta la particolare gravità, anche alla luce delle convincenti e autorevoli testimonianze offerte dai più qualificati e responsabili esperti dello specifico settore sanitario.
    Si ricorda come sinora siano stati eseguiti, in tutto il mondo, oltre 200.000 trapianti renali e come ogni anno si effettuino circa 20.000 trapianti di rene, di cui 9.000 negli USA, 6.000 in Europa e 5.000 in Sud America (Argentina, Brasile e Cile), Asia (Giappone e Cina), e Africa (Egitto, Marocco, Nigeria e Sud Africa). In Italia si è molto al di sotto del numero minimo di trapianti renali ritenuti necessari (30 per milione di abitanti/anno); nel 1990 sono stati praticati circa 800 trapianti renali, di cui, purtroppo, ben 200 all'estero.
    Si ricorda, altresì, a dimostrazione del totale superamento della fase sperimentale di questa tecnologia chirurgica, come i risultati siano assai incoraggianti con successo ad un anno, a cinque anni e sopravvivenza massima, quali risultano dalla seguente tabella (Cortesini):

     







































    TAB. 1. - RISULTATI DELLA CHIRURGIA DEI TRAPIANTI 


    Trapianto


    Successo ad 
    1 anno


    Successo a 
    5 anni


    Sopravvivenza
    massima


    Interventi 31/12/90 


    Rene


    85


    65


    oltre 25 anni


    oltre 200.000


    Cuore


    85


    65


    oltre 20 anni


    oltre 10.000


    Fegato


    80


    60


    oltre 20 anni


    oltre 8.000


    Pancreas


    60


    40


    oltre 10 anni


    oltre 2.000




    L'unanimità di orientamenti emersi nel corso della discussione tenutasi in seno al Comitato Nazionale di Bioetica sui temi della definizione e dell'accertamento della morte, ha rappresentato il presupposto necessario per poter giungere ad unanimi conclusioni anche nei confronti della problematica del prelievo di organi a fine di trapianto terapeutico, avendo assunto particolare rilievo la ribadita affermazione che la diagnosi di morte non dovrà essere limitata e finalizzata al prelievo di organo, nella prospettiva di un eventuale trapianto, bensì dovrà essere formulata in tutti quei casi nei quali verrà assunto il convincimento clinico-strumentale della irreversibilità del trapasso, indipendentemente dalla destinazione del cadavere.
    Naturalmente l'aver ribadito il valore di metodologie che potranno applicarsi per ogni condizione di coma irreversibile in costanza di rianimazione, indipendentemente dall'ulteriore destinazione del cadavere, imporrà anche l'esigenza che i colleghi medici deputati all'accertamento della realtà della morte vengano adeguatamente potenziati onde poter corrispondere alle accresciute esigenze di un servizio medico-sociale di così elevato impegno tecnico e morale.
    In sostanza, se il più intenso e lacerante dilemma incentrato sulla definizione e sulla certezza della morte del potenziale donatore di organi è avviato verso più consolidati approdi, in virtù dei progressi diagnostici che ispirano parametri e protocolli cui scienza e diritto offrono una sanzione ben precisa e autorevole, resta e anzi si aggrava paradossalmente l'altra condizione di incertezza operativa e di sofferenza decisionale legata al presupposto del consenso.
    Non vi è dubbio che il fine specifico cui si ispira e tende la pratica del prelievo a fini terapeutici ne nobilita la ragione in maniera ben più rilevante, sotto il duplice profilo etico e sociale, che non le finalità didattiche, scientifiche, clinico-diagnostiche, giudiziarie, e persino assicurative, alle quali si riferisce la legislazione vigente riguardo alla legittima disponibilità del cadavere, e per le quali è del tutto ininfluente ogni contraria opinione od opzione.
    Ciò nonostante, pur nella consapevolezza e nella convinta salvaguardia dell'alto significato di donazione proprio del prelievo e dei valori di solidarietà, che, secondo taluno, non possono essere facoltativi ma rientrano tra i doveri gravi che vincolano i membri di un'umana convivenza, e nella parallela certezza del significato terapeutico, non più sperimentale, della chirurgia dei trapianti, e, quindi, della sua consolidata validità sanitaria ed etica, non può trascurarsi di considerare la rilevanza etica e giuridica del consenso al prelievo di organi e di tessuti.
    La legislazione vigente in Italia valorizza tanto il diniego espresso in vita dal soggetto, quanto il volere dei familiari, se interpellabili, quando altrimenti propugnando una sorta di presunzione del consenso.
    Questa diversità di soluzioni, di per sé formalmente legittima, non ha mancato di suscitare perplessità ed è iniziata - da tempo - la ricerca di una soluzione unitaria ed in sé più coerente, secondo quelle che sembrano le aspirazioni della nuova sensibilità civile.
    Il C.N.B. ha ritenuto opportuno affrontare questo aspetto del problema; va subito avvertito che, ai fini di un'equilibrata soluzione legislativa, non è sembrato significativo ed utile rinnovare la discussione sul controverso tema della proprietà delle spoglie umane, che ha sostenuto per molto tempo tesi favorevoli o contrarie al riconoscimento di un diritto (personale o surrogatorio) a decidere sulla donazione e per contro, tesi favorevoli o contrarie alla libera disponibilità sociale di una res nullius, cui solo la dovuta pietà dei defunti conferisce, in ambito penale, garanzie di rispetto e di tutela contro ogni legittima manomissione.
    In proposito è stato richiamato nella Relazione il carattere singolare che avrebbe la configurazione proprietaria post mortem della relazione tra la persona defunta e i propri organi, dopo che essa è stata assolutamente disconosciuta dall'ordinamento durante il corso della vita di quella stessa persona; l'incompatibilità che verrebbe a determinarsi fra l'ipotizzato riconoscimento di quella rilevanza proprietaria e il carattere squisitamente e necessariamente gratuito collegato alla disponibilità personale nei confronti dell'atto di prelievo; la possibilità di spiegarsi i limitati pur se decisivi poteri di disposizione intitolati dal diritto positivo a parenti o conviventi sulle spoglie del proprio congiunto, fondandoli su sostegni giuridico-positivi del tutto diversi da quelli proprietari.
    Molto più convincente è apparso, invece, rintracciare i fondamenti giuridici della disciplina del consenso alla donazione degli organi nelle discipline costituzionali che attengono ai diritti alla vita e alla salute, alla tutela della dignità personale del donatore, che si manifesta nel rispetto della sua volontà di donare, alla tutela del diritto-dovere di familiari e conviventi di prestare l'ultima assistenza dettata dalla pietà, nell'onorare le spoglie mortali delle persone loro più vicine. Tra tali situazioni ugualmente tutelate, spetterà allo Stato svolgere opera di necessaria mediazione, sospingendo queste ultime pur legittime esigenze verso la consapevole soddisfazione dei valori intrinseci alle prime, di carattere più pregnante e generale.
    Affrancare del tutto la praticabilità delle operazioni di trapianto dal vincolo del consenso o del non dissenso, imputabile alla persona defunta o ai suoi familiari, è parso - in ogni caso - sul piano del diritto, del tutto insostenibile.
    In definitiva, il Comitato ritiene che una disciplina legislativa dei trapianti d'organo non possa conseguire legalmente ed efficacemente lo scopo solidaristico che la motiva se non accetti senza riserve di fondarsi sul riconoscimento di alcuni basilari diritti: quello del rispetto della volontà eventualmente manifestata prima della morte della persona defunta; quello del rispetto della sua dignità, anche dopo la morte, da parte di chiunque; quello del rispetto dei valori espressi dalle persone legate alla persona defunta da un legame di familiarità o di convivenza.
    A quest'ultimo proposito è stato osservato nella Relazione come il ruolo riservato alla famiglia negli ordinamenti giuridici dei vari Stati (che oscilla fra quello di testimonianza e di interpretazione dell'inespressa volontà del defunto, e quello di esternazione di una volontà familiare autonoma, efficace anche se in ipotesi non corrispondente a quella volontà) assuma un peso che si accresce laddove l'ordinamento attribuisca scarso rilievo alla volontà diretta degli interessati di donare gli organi e che, viceversa, decresce laddove quest'ultima volontà sia posta dalle regole dell'ordinamento in posizione centrale.
    Nella ricognizione condotta dal C.N.B. circa le ipotesi di soluzioni giuridiche possibili, si è preso atto che, nella complessità della situazione giuridica e nella difficoltà di definire le legittime attribuzioni nell'area dei familiari non sono mancate, nel dibattito internazionale, opinioni che hanno prospettato l'adeguatezza di una posizione etica che non esiga che si debba sempre avere, prima di dare corso al prelievo, un parere esplicitamente positivo dei congiunti: laddove considerazioni terapeutiche lo esigano - secondo tali posizioni - e laddove non esista una manifesta opposizione dichiarata in vita, ai congiunti potrebbe essere riconosciuta la possibilità di manifestare opposizioni motivate, che dovrebbero essere volta per volta prese in considerazione dai sanitari responsabili, ed accolte o rifiutate.
    Di fronte a questa complessità di problemi e di opinioni, il C.N.B. ravvisa la necessità che sia promosso uno sviluppo di un'ampia "cultura dei trapianti" che si esalti nei valori della solidarietà e della responsabilità: dovrebbe essere questo il fine essenziale di una grande opera di sensibilizzazione, insostituibile presupposto per l'esperibilità di una pratica clinica assolutamente peculiare, tecnicamente affermata e di frequente insostituibile, perché priva di alternative.
    Essendo il convincimento del C.N.B. fermo nel riconoscere la massima dignità alla manifestazione di volontà da parte del potenziale donatore, sembra doveroso raccomandare al legislatore di adottare una soluzione normativa atta a stimolare ogni persona a manifestare consapevolmente la propria volontà e a creare un sistema efficace di registrazione di quella; tuttavia il C.N.B. nel periodo che si renderà necessario per rendere operativo tale obiettivo, ritiene che non debba essere disconosciuto il valore dell'inquadramento legislativo attualmente offerto al problema del silenzio.
    Il C.N.B. ribadisce altresì che la donazione deve essere assolutamente libera, e che debba essere, in diritto e in fatto, combattuta ogni deprecabile ipotesi di commercializzazione, senza alcuna indulgenza nei confronti delle possibilità di acquisire gli organi necessari sul mercato clandestino nazionale e/o internazionale.
    Sulla base di tali osservazioni, il Comitato Nazionale per la Bioetica:


      ritiene che si debba perseguire un'etica che consideri doverosa la donazione post- mortem e ne favorisca la diffusione; 

      ritiene che per facilitare il raggiungimento dell'obiettivo di un trapianto/donazione, sia consigliabile la transizione verso un regime giuridico del consenso ai prelievi di organo da cadavere, nel quale possano trovare riconoscimento più equilibrato le istanze della scelta personale di donare i propri organi - per una fascia appropriata di età - e la presunzione qualificata della prestazione del consenso nei confronti di chi abbia taciuto, pur in presenza si una norma che prescriva di esplicitare la propria volontà relativamente all'accettazione del prelievo; 

      in ogni caso, il Comitato ritiene necessario: 


    a) - che venga accresciuta la sensibilità nei riguardi della cultura dei trapianti, nell'ambito dei principi generali di solidarietà umana, attraverso adeguate iniziative socio-sanitarie con esplicito impegno da arte dello Stato di assumersi l'onere della loro realizzazione; 

    b) - che siano rimosse tutte le numerose difficoltà a livello organizzativo che costituiscono ancora causa manifesta di mancato utilizzo di organi potenzialmente disponibili per la salvezza di una vita umana; 

    c) - che venga bandita ogni ipotesi di commercializzazione nella trapiantologia umana, anche attraverso una più attenta sorveglianza e la creazione di idonei strumenti legislativi penalistici. 


    Il prof. Bruno Silvestrini esprime la seguente opinione in parziale dissenso:
    "premessa la necessità di attuare una campagna di informazione riguardante il valore etico e medico della donazione di tessuti prelevati da defunti a fini terapeutici, nonché l'assoluta affidabilità dei criteri di accertamento della morte, il Comitato Nazionale per la Bioetica raccomanda l'emanazione di norme che consentono il prelievo, salvo un diniego espresso, o dal defunto, finchè è in vita, o dai suoi familiari, o da persone che possano testimoniarne la volontà". 









    RELAZIONE


    Questo documento affronta i problemi della donazione di organi con esclusivo riguardo alla posizione del donatore (o dei congiunti).
    Il tema centrale del discorso è infatti quello del consenso del donatore o dei congiunti (da intendere questi ultimi sulla base del criterio della consuetudine di vita comune) e delle forme di manifestazione (esplicita o presunta) dello stesso, in una valutazione di ordine etico ed alla ricerca di discipline giuridiche persuase dalla esigenza di una cultura della solidarietà da promuovere ed incrementare.
    Il Comitato ritiene tuttavia opportuno, con l'impegno di riprendere il tema con la sollecitudine che merita, sottolineare che appartengono all'ambito della riflessione etico-giuridica anche i problemi attinenti alla tutela del ricevente, soprattutto con riguardo ai criteri di scelta che si rendano necessari in ragione della limitatezza delle risorse ed alla delicatezza delle decisioni da prendere in tali casi, a cominciare dalla determinazione delle persone a cui rimetterle, quando non si tratti di priorità che si impongono con carattere di indeclinabile necessarietà (come è delle condizioni di convergenza biologica tra donatore e ricevente, e dell'urgenza).
    L'argomento, in questa Relazione, verrà considerato dapprima sotto l'aspetto prevalentemente medico-legale, poi giuridica ed infine etica. 


    1 - Autonomia dell'accertamento di morte nei riguardi di ogni possibile 
    destinazione del cadavere.


    L'unanimità di orientamenti emersi nel corso della discussione svoltasi di recente in seno al Comitato Nazionale per la Bioetica sui temi della definizione e dell'accertamento della morte - tale da aver consentito la presentazione del documento definitivo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri sin dal 18 febbraio u.s. - ha rappresentato un essenziale presupposto che ha fornito la possibilità di avviare una riflessione libera da qualsiasi ipotesi pregiudiziale in merito al dibattuto problema del prelievo di organi a fine di trapianto terapeutico.
    L'aver precisato che il concetto di morte è definito dalla perdita totale ed irreversibile della capacità dell'organismo di mantenere autonomamente la propria unità funzionale; l'aver identificato tale nozione con quella di "morte cerebrale", secondo le più recenti e consolidate acquisizioni scientifiche; l'aver riconosciuto che la morte può essere accertata attraverso criteri anatomici, clinici, biologici, cardiaci e neurologici; l'aver sottolineato che il tempo di osservazione attualmente prescritto può essere ridotto con l'impiego di metodiche strumentali idonee a riconoscere con certezza e più precocemente il momento del decesso; l'aver riconosciuto la necessità di introdurre criteri normativi differenziati per l'accertamento della morte nell'età pediatrica e neonatale; tutto ciò ha contribuito a sgomberare il campo da uno degli ostacoli più importanti che hanno rallentato l'iter legislativo di necessario adeguamento della nostra attuale normativa sui trapianti (L. 2 dicembre 1975, nr. 644 e regolamento D.P.R. 16 giugno 1977, nr. 409).
    Nel documento già approvato - infatti - assume particolare rilievo l'esplicita affermazione che la diagnosi di morte con l'ausilio di moderne metodiche strumentali non dovrà essere limitata e finalizzata al prelievo di organi, nella prospettiva di un eventuale trapianto, bensì dovrà essere formulata in tutti quei casi nei quali verrà assunto il convincimento clinico della irreversibilità del trapasso, indipendentemente dalla destinazione del cadavere.
    In sintesi, nel documento del Comitato è stato definitivamente chiarito il concetto di "momento della morte", se ne è data la ineccepibile dimostrazione, identificando metodologie che potranno valere per ogni condizione di coma irreversibile in costanza di rianimazione, indipendentemente da ogni finalismo ulteriore.
    Questa conclusione ha grande importanza ai fini del perseguimento o non proseguimento di cosiddette "pratiche rianimatorie" allorché sia constatata con criteri strumentali e "dichiarata" la morte del soggetto: tali pratiche non hanno di per se stesse alcun significato (corrispondendo a mera ventilazione del cadavere) e va osservato che - coerentemente - già l'art. 44 del vigente Codice deontologico - emanato dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Medici Odontoiatri - ammette la possibilità di prosecuzione del cosiddetto sostegno vitale anche oltre la morte clinica - stabilita secondo le modalità di legge - "solo al fine di mantenere in attività organi destinati al trapianto e per il tempo strettamente necessario". 


    2 - L'organizzazione sanitaria deputata all'accertamento della morte. 


    L'affermazione del Comitato porta subito ad una prima conclusione già emersa nel citato documento e da ribadire in questa sede: i Collegi medici deputati all'accertamento della realtà della morte dovranno essere adeguatamente potenziati onde corrispondere alle accresciute esigenze di un servizio medico-sociale di così elevato impegno morale, che - almeno in gran parte dei casi di decesso che avvengono in ospedale nei reparti di rianimazione - non è più affidabile alla tradizionale figura del medico necroscopo. In particolare il Comitato sente di dover avvertire come in molti Ospedali è stata più volte denunciata la difficoltà a costituire persino la Commissione per l'accertamento della morte cerebrale e ciò determina di fatto la mancata segnalazione di molti possibili donatori, inducendo i medici ad astenersi dal dare inizio a complesse e impegnative procedure diagnostiche.
    Al fine di superare queste difficoltà, la promozione di una rete adeguata dei Collegi medici sovraindicati dovrà scaturire da un'attenta valutazione e da un comune impegno di autorità sanitarie regionali e servizi medici universitari e ospedalieri di alta qualificazione.
    Dall'esigenza di potenziare i Collegi medici, si è reso interprete il legislatore con la L. 13 luglio 1990, nr. 198, relativa a "Disposizioni sul prelievo di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico", quando - in attesa dell'emanazione di una normativa più compiuta, della cui necessità esiste consapevolezza - ha precisato che i "Collegi medici previsti dall'art. 3, ultimo comma, e dall'art. 5 della presente legge (2 dicembre 1975, nr. 644) sono tenuti, a richiesta, ad accertare la morte del probabile donatore presso strutture ospedaliere diverse da quelle di appartenenza", nella palese consapevolezza di un'attuale insufficienza di servizio.
    Conforme l'auspicio già formulato dal C.N.B. nel documento sulla definizione e accertamento della morte, "che siano promossi l'istituzione e le garanzie di funzionamento delle commissioni di verifica della realtà della morte".
    Tuttavia, altri rilievi sembrano opportuni in merito all'organizzazione sanitaria sotto questo specifico profilo.
    Il Comitato Nazionale per la Bioetica rileva come la cronica e grave insufficienza di personale infermieristico nei Centri di rianimazione e terapia intensiva - documentata anche dalle audizioni esperite dal Comitato - determini carenze assistenziali tali da rendere - attualmente - utopistico qualsiasi progetto finalizzato a segnalare "tutti" i possibili donatori.
    Il Comitato rileva, inoltre, come l'accertamento della morte cerebrale, la segnalazione del donatore e il mantenimento di una normale funzionalità degli organi da trapiantare impongano l'utilizzazione di sofisticati strumenti di monitoraggio e assistenza strumentale non sempre in possesso della maggior parte dei Centri di rianimazione e non sempre supportati dal personale "tecnico" necessario al pieno funzionamento; ne deriva la concreta proposta di potenziare alcuni di questi Centri ai quali affidare con priorità la gestione di pazienti con sospetta morte cerebrale onde evitare da un lato la concentrazione di risorse, e dall'altro assicurare la più elevata professionalità possibile a tutela del donatore. 


    3 - Il problema del "consenso": aspetti generali. 


    Il Comitato si è a lungo soffermato sull'altro fondamentale punto che ha suscitato sinora ostilità e diffidenze anche di opposta natura nei confronti della proposta di modifica della legislazione attuale in tema di trapianti d'organo, e cioè sulle questioni relative al consenso al prelievo.
    E' stato in proposito, anzitutto, richiamata l'attenzione sulla straordinaria difformità del comportamento dell'opinione pubblica nazionale nei confronti, da un lato del trapianto del rene tra persone viventi, dall'altro del prelievo di parti di cadavere a scopo di trapianto terapeutico: in questo paragrafo si intende chiarire questo aspetto.

    Consenso nella donazione di rene tra viventi.
    Non è chi non veda come il trapianto da vivente assuma, in termini di "sacrificio" di una parte di sé, una connotazione assai più gravosa e soggettivamente più impegnativa di quanto non sia, nel caso del prelievo da cadavere, il superamento di convincimenti legati ad un'impostazione fideistica di "intangibilità" del corpo umano. Malgrado ciò, è altrettanto evidente che il problema personale, sociale e giuridico del consenso si presenta nella prima ipotesi molto semplificato dalla legge stessa, che si ispira peraltro ad una percezione dei valori in gioco molto evidente e che non si presta a tutte le alternative che possono nascere nell'altra ipotesi (prelievo da cadavere). Ciò trova conferma nella lettera della normativa vigente (L. 26 giugno 1967, nr. 458), precedente quindi l'attuale testo riguardante il prelievo di organo da cadavere, la quale pone come condizione di liceità la semplice "libera e spontanea" disponibilità del proprio corpo, sempre che fornita da soggetto che "abbia raggiunto la maggiore età, sia a conoscenza dei limiti della terapia del trapianto del rene tra viventi e sia consapevole delle conseguenze personali che il suo sacrificio comporta"(art. 2).
    In sostanza è stato richiesto dal legislatore, in deroga all'art. 5 del codice civile, un semplice atto volontario di solidarietà sociale, di norma fra stretti consanguinei, per rendere lecita la menomazione dell'integrità somatica, e - solo in caso di necessità e di impossibilità - a provvedere diversamente fra persone non legate da legame familiare.
    Atto di solidarietà sociale certamente nobilissimo da cui derivano diritti a godere dei benefici previsti dalle leggi vigenti per i lavoratori autonomi e subordinati in stato di infermità e di essere assicurato contro i rischi immediati e futuri inerenti all'intervento operatorio e alla menomazione subita (art. 5, legge 458/67).
    Sul piano strettamente etico, il Comitato non ha escluso che in talune circostanze sia da valutarsi positivamente l'ipotesi di allargamento della donazione di organi fra viventi - per ora il rene - oltre la cerchia della stretta consanguineità attualmente prevista come norma della legge, come atto superogatorio; non vi è dubbio, infatti, che la donazione di un rene da parte di un non consanguineo a persona che - nelle circostanze concrete - non abbia possibilità di sopravvivere se non con quella donazione, se ispirata ai principi di nobiltà spirituale che unicamente potrebbero giustificarla, assuma un valore socialmente ancor più luminoso del precedente e proprio per questo motivo non dovrebbe trovare preclusioni.
    Deve rimanere fermo - comunque il concetto che l'atto medico, in sé considerato, di donazione da vivente non si sottrae a qualche dubbio di non eticità della menomazione (sia pure nell'ambito di rischi accettabili) per la prospettiva di salute del donante.
    Ma soprattutto, il Comitato si dichiara ben consapevole che, sul piano strettamente giuridico-politico, debba essere considerata attentamente l'eventualità che una disciplina con ambito applicativo più esteso dell'attuale possa aprire la porta al rischio che vengano favorite inaccettabili opportunità di "commercio di rene" a danno di persone sottoposte a illecite pressioni morali o giuridicamente" più deboli."

    Prelievi di organo da cadavere
    E' di comune osservazione che molto diversamente vengono percepiti dall'opinione pubblica quei contenuti di solidarietà umana che si mettono in atto nelle donazioni di organo (o di più organi) da cadavere: in realtà ciò sembra essere di conseguenza del passaggio a tutt'altra struttura di fenomeni, e cioè da fenomeni la cui struttura è normalmente una intesa solidarietà parentale fra viventi e fenomeni squisitamente sociali, ove non è concretamente identificabile il destinatario stesso della donazione, ed in cui il gesto di donazione non si innesta su un rapporto di vita vissuta insieme, ma su una mera esigenza di solidarietà.
    Pertanto la donazione e il trapianto vanno inquadrati fra i problemi della regolazione giuridica di un tipo particolare di fenomeno medico sociale; e a partire da queste promesse il Comitato ha dedicato una particolare attenzione all'analisi del problema.
    Accanto al riconoscimento di ciò, il Comitato ha individuato anche l'esistenza di altri fenomeni che trovano le loro radici in motivazioni di natura soggettivistica e pregiudiziale (quale ad es. l'intangibilità del corpo umano inanimato) o in una percezione esasperata di motivi culturali di per se stessi degni, come ad esempio la pietas verso i defunti.
    In ogni caso, pur ritenendo che questi ultimi siano atteggiamenti insostenibili di fronte ad un corretto vaglio scientifico, che pretende un severo impegno per il loro superamento e per la loro soluzione, il Comitato ritiene che debba essere accordata preferenza a quelle soluzioni che non esercitino violenza a una sensibilità così profondamente radicata.
    Si ritiene utile, presentare la serie delle argomentazioni strettamente giuridiche che sostengono le opinioni del Comitato Nazionale per la Bioetica circa le caratteristiche del "consenso" al prelievo. 


    4 - Solidarietà, Libertà e Autorità nella disciplina giuridica dei trapianti d'organo da cadavere,
     con particolare riguardo al "consenso" al prelievo 


    Il regime giuridico del consenso al prelievo deve essere ritenuto centrale e nevralgico anche nella complessiva disciplina giuridica dei trapianti d'organo da cadavere. In esso confluiscono, infatti, tre valori fondamentali (Solidarietà, Libertà, Autorità), il cui bilanciamento quella disciplina non può permettersi di ignorare qualora ambisca a porsi quale costruzione che affida la sua stabilità alla consistenza e alla polivalenza dei propri fondamenti costituzionali, culturali e politici. 

    Valori di solidarietà sociali
    Il valore che motiva la disciplina giuridica dei trapianti d'organo da cadavere è, naturalmente, quello della tutela della salute o della vita delle persone per le quali il trapianto è condizione di recupero funzionale, o addirittura della sopravvivenza, cioè un valore di solidarietà. Fra gli altri esso non è forse quello emotivamente percepito dall'opinione pubblica con la più forte intensità; la sua natura è, tuttavia, quella di un valore- fine, al quale la disciplina giuridica dei trapianti affida, oltre che la propria dignità etica, la propria identità teleologica, e per il quale, al contempo, essa postula, in modo stringente, l'individuazione di un nitido riconoscimento costituzionale. Ma poiché quest'ultima operazione individuativa non presenta particolari difficoltà, essendo diffuse nelle costituzioni contemporanee dichiarazioni che tutelano solennemente il diritto alla vita - che si prolunga nel diritto alla salute - (come di recente nella Costituzione spagnola - art. 15 - e in quella della Repubblica federale di Germania, art. 2 nr. 2), e il diritto alla salute - che sottintende il diritto alla vita - (come nella Costituzione della Repubblica italiana, artt. 32 e 2), alla cui soddisfazione tende l'operazione chirurgica dei trapianti d'organo da cadavere, appare evidente che a rendere fortemente problematica la progettazione di una disciplina giuridica di tale operazione rispettosa del sistema di valori costituzionali, è, da un lato, l'impossibilità di costruirla in modo semplicistico, assolutizzando cioè il valore alla cui tutela essa si rivolge, dall'altro, la contrapposta necessità costituzionale di sintetizzarvi, invece, il più armoniosamente, le pretese potenzialmente, ma non necessariamente, antinomiche dei valori-fine dell'istituto (di solidarietà sociale generale) e quelle di altri, più comprensivi, valori, anch'essi di rango costituzionale, che potranno, secondo mutevoli esigenze storiche, agire, in contraddizione, in bilanciamento, o in sinergia con le pretese dei primi. La fonte di quella necessità sembra agevolmente rintracciabile nella circostanza che, nella specie, i diritti personalissimi alla vita e alla salute di chi ha bisogno di un trapianto d'organo possono essere soddisfatti, non dalla prestazione di una cura che lo Stato-apparato (attraverso il Servizio Sanitario Nazionale) possa autonomamente erogare, né attraverso l'usuale schema dell'imposizione generalizzata di doveri di prestazione personale o patrimoniale nell'interesse della collettività, bensì attraverso un'operazione che può effettuarsi soltanto realizzando quei diritti fondamentali di persone determinate, ciò che solleva, fra l'altro, dato il carattere non generale della richiesta o dell'imposizione del sacrificio, gravi perplessità legate, o alla casualità assoluta dei criteri si selezione dei soggetti passivi del prelievo, o, all'opposto, ai sospetti di parzialità che possono essere ingenerati dalle selezioni effettivamente operate. 

    Valori di libertà e di solidarietà naturali
    Ecco, dunque, perché altri valori (di libertà e di solidarietà naturale), intrinsecamente complessi, entrano necessariamente in gioco nella disciplina giuridica dei trapianti d'organo; essi esercitano, rispetto ai precedenti , il ruolo astratto di valori- limite, di valori, cioè, subordinatamente ai quali il valore-fine potrà essere perseguito e, proprio in virtù di questa loro funzione, sono tali da riflettersi con forte efficacia strutturante sul disegno della disciplina legislativa dei trapianti.
    Essi sono rappresentati dalla tutela costituzionalmente accordata alla persona umana e alle formazioni sociali primarie, considerate queste ultime dapprima (art. 2 Cost.), insieme ad altre, come forme istituzionali preesistenti entro le quali essa si trova le condizioni atte a costituirsi e a svilupparsi; quindi (artt. 29-31 Cost.), come istituzioni capillari e autonome che nascono per effetto dell'instaurazione volontaria della relazioni interpersonali più creative, personali e durature che sia dato a ogni uomo di costruire nella società, durante il corso della sua esistenza. 

    a) In riferimento alla posizione del donatore
    La tutela costituzionale della persona, primo elemento costitutivo di questo valore complesso, non solo è, di per sé, sufficiente a offrire fondamento giuridico, il più solido, all'efficacia post mortem che l'ordinamento giuridico intenda riconoscere alle più varie manifestazioni della volontà personale anteriore all'evento della morte, e dunque anche a quelle riguardanti il proprio corpo inanimato, ma si configura come fonte difficilmente oppugnabile di un vero e proprio dovere giuridico dei pubblici poteri di prestare quel riconoscimento. Quest'ultimo, perciò, appare del tutto indipendente da qualsiasi legame di natura proprietaria tra la persona, vivente o defunta, e i propri organi che si creda di poter intravedere alla base di esso, e, anzi, si mostra collegato a ragioni che si rivelano fortemente antitetiche alla valorizzazione di quel legame. Questo, d'altra parte, non possiede alcuna plausibilità giuridica, oltre che per quelle indicata, per molte, ulteriori, decisive, ragioni di diritto positivo, che sembra opportuno discutere distintamente in questo documento. Si rifletta, in ogni caso, sul carattere singolare che avrebbe la configurazione proprietaria post mortem della relazione fra la persona defunta e i propri organi dopo che essa è stata assolutamente disconosciuta dall'ordinamento durante il corso della vita di quella stessa persona; sull'incompatibilità che verrebbe a determinarsi fra l'ipotizzato riconoscimento di quella rilevanza proprietaria e il carattere squisitamente e necessariamente gratuito istituzionalmente collegato alla disponibilità personale, comunque accertata, nei confronti dell'atto di prelievo; sulla preferibilità di giustificare i limitati, pur se decisivi, poteri di disposizione intitolati dal diritto positivo a parenti o conviventi sulla salma del loro congiunto, fondandoli su sostegni giuridico-positivi del tutto diversi da quelli proprietari.
    La disciplina costituzionale della famiglia, infatti, se mostra di prestare particolare attenzione al suo ruolo di custodia formativa nella fase in cui questa si palesa quale condizione necessaria a costruire l'identità delle persone che ne fanno parte nella loro età minore (art. 30 Cost.), accorda, nello stesso tempo, simmetricamente, un riconoscimento, sicuramente più implicito, meno definito nelle forme e meno perentorio nell'individuazione delle responsabilità , e, tuttavia, non meno certo, al ruolo di custodia assistenziale della "formazione sociale" famiglia, che si estende, comprendendolo in sé, fino al momento della morte, punto estremo della vicenda personale di ognuno. Nell'art. 2 della Costituzione, infatti, il rapporto tra la persona e le formazioni sociali basilari è preso in considerazione, non in questo o in quello dei momenti evolutivi di ciascuna vita personale, ma nella complessità e globalità dello "svolgimento" di questa. E' in questa formula costituzionale, dunque, che deve essere rintracciata la base positiva più adeguata e convincente delle responsabilità che il diritto positivo affida a familiari o conviventi riguardo alla destinazione al trapianto degli organi del congiunto estinto, specialmente quando, in regime positivo non fondato sull'obbligo di esplicitare la propria volontà o addirittura il proprio consenso espresso, manchi una sua antecedente presa di posizione relativa all'eventualità di un futuro prelievo. 

    b) In riferimento alla posizione del ricevente
    Fermo restando che il complesso dei problemi relativi al ricevente saranno oggetto di successiva analisi da parte del C.N.B. - come già indicato - sembra opportuno dedicare un cenno a questa questione.
    La necessità di rispettare la volontà personale (e familiare in taluni casi), si mostra, infatti, con caratteri di particolare evidenza in quegli aspetti della pratica dei trapianti d'organo che involgono problemi di tutela della personalità del ricevente. Questi si pongono, tuttavia, su un terreno abbastanza diverso da quello del consenso alla donazione, sul quale questa relazione è prevalentemente incentrata: relativamente al consenso del ricevente basterà, infatti, riaffermare il principio che il trapianto d'organo, che pure gli è intrinsecamente favorevole, non potrà, tuttavia, essere effettuato se non su persona che, essendo preventivamente informata sull'operazione progettata e sull'efficacia che da essa, positivamente o negativamente, ci si attende, espressamente vi consenta.
    A tale principio sembra doversi derogare solo su due ipotesi tipiche: quando, esistendo un rischio imminente per la vita della persona candidata a ricevere l'organo, non sia possibile, a causa del suo stato, informarla direttamente; quando il ricevente, a cagione della sua età, non sia in grado di ricevere consapevolmente l'informazione e, dunque, di consentirvi. In entrambi i casi la priorità giuridica del valore della tutela della vita deve essere riconosciuto in tutta nettezza. Ciò non cancella, naturalmente, l'obbligo di informare i familiari e di ascoltarne l'avviso: vuol dire che esso, come conferma l'orientamento giurisprudenziale del tutto prevalente, se sia contrario alla volontà di effettuare il trapianto maturata dai sanitari il cui paziente è affidato, non possa agire con effetto preclusivo del dispiegarsi di quella volontà e responsabilità. Quando si verifichi l'ipotesi inversa, quando cioè, familiari o conviventi chiedano, a favore di un congiunto o della persona cui siano legati da convivenza e destinata a morte sicura, l'effettuazione di un trapianto d'organo che i sanitari responsabili non ritengano di effettuare, lo stesso principio della priorità del diritto alla vita autorizza quelle persone a tentare di trovare un'équipe sanitaria che, a differenza della prima, sia disposta ad effettuare il trapianto.
    Nei casi in cui a favore del trapianto d'organo esista un'indicazione favorevole orientata però al recupero della salute, anziché alla salvezza della vita, l'obbligo sanitario di informare il ricevente resta, evidentemente, invariato; quanto all'acquisizione del consenso, essa, per un certo aspetto si mostra più semplice, dato che, nei trapianti di questo tipo, non dovrebbero presentare le difficoltà o le vere e proprie impossibilità di comunicazione diretta fra medico e paziente che caratterizzano i trapianti d'organo finalizzati alla salvezza della vita di quest'ultimo. D'altra parte, quando, invece, nonostante che il trapianto sia indicato quoad valetudinem anziché quoad vitam, quelle difficoltà o impossibilità vi siano, l'indicazione sanitaria favorevole al trapianto sembra senz'altro tenuta a concordarsi con l'avviso di coloro che, in virtù della loro prossimità al ricevente, abbiano titolo a manifestare la propria preferenza per trattamenti sanitari alternativi rispetto a quello di trapianto, la cui intrinseca autorevolezza viene, nella fattispecie, indirettamente irrobustita anche dalle delicate valutazioni di etica pubblica, sospingenti alla prudenza riguardo all'effettuazione di trapianti troppo rischiosi o di dubbia efficacia riabilitante, che non possono non concorrere a integrare le valutazioni tecniche dei sanitari. 

    Il valore autorità nella disciplina dei trapianti
    Il terzo, problematico, valore (il valore-autorità) che deve trovare collocazione e soluzione in una disciplina legislativa dei trapianti d'organo da cadavere, è quello, estremamente delicato, rappresentato dalla determinazione del ruolo costituzionalmente più appropriato, che, rispetto alla determinazione dei suoi contenuti e del suo funzionamento, dovrebbero svolgere i pubblici poteri (il potere legislativo e il potere amministrativo); in particolare, sulla scorta di una riflessione di principio, esso sembra, infatti, doversi costruire in guisa da evitare gli opposti pericoli rappresentati da una loro invadenza antilibertaria, o, all'opposto, da una loro influenza depotenziata e solidaristicamente inefficace nella materia considerata.
    Al riguardo occorre affermare con la massima chiarezza che la pretesa, talora affacciata in sedi per lo più lontane dalla consapevolezza giuridica dei problemi e comprensibilmente angustiate, viceversa, dalla debolezza della risposta istituzionale alla sofferente domanda di trapianti d'organo, di affrancare del tutto la praticabilità della operazioni di trapianto dal vincolo del consenso o del non dissenso imputabile, secondo i diversi sistemi, alla persona defunta o ai suoi familiari, appare, sul piano del diritto, del tutto insostenibile. In via preliminare si può osservare, in proposito, che, se i vari ordinamenti degli Stati divergono fra loro quanto ai modi e ai limiti in cui sono disposti ad attribuire efficacia alla volontà delle presone dalle quali sarà effettuato il prelievo e a quella dei suoi familiari, essi convergono tutti, però, ciò nonostante, nell'attribuire a tale volontà un ruolo di riferimento insostituibile per la costruzione dell'istituto giuridico dei trapianti d'organo. Si può osservare, a rincalzo, come sia del tutto fragile il richiamo, che talvolta si fa, alla disposizione che legittima il prelievo di organi, nel caso in cui sia stata disposta autopsia giudiziaria nei confronti del corpo della persona deceduta, o nel caso in cui questo sia stato sottoposto a riscontro diagnostico, anche se esso sia espressamente avversato dagli interessati, con l'intendimento sotterraneo di mostrare la possibilità dell'applicazione generalizzata di quella disposizione particolare. E' infatti evidente che la legittimità alibertaria di essa si sorregge per intero sul suo carattere di circoscritta e discutibile eccezione all'applicabilità generale di un principio di libertà del tenore esattamente opposto (da ricondurre, come in ogni altra, nell'orbita di specifici valori costituzionali) e sarebbe destinata a perdere tutte le proprie già dubbie giustificazioni ove si volesse radicalmente trasmutarne la natura, foggiando come formula normativa di principio, quella che non può restare, in uno Stato ispirato a principi di convivenza democratica, una formula normativa eccezionale, il cui ambito applicativo appare, fra l'altro, destinato a restringersi, qualora venga legislativamente adottata una formulazione giuridica più rigorosa del consenso legalmente necessario ad effettuare, in via normale, operazioni per il trapianto di organi. 


    5 - Alcuni approfondimenti di questioni particolari. 


    Ma, tolte queste osservazioni preliminari, non è difficile enumerare brevemente alcune argomentazioni di varia ampiezza che, in negativo valgono a oppugnare l'ipotesi astratta che i fini solidaristici all'istituto dei trapianti d'organo possano essere legittimamente ed efficacemente perseguiti ritagliando per i pubblici poteri un ruolo dominante e coercitivo, non ricettivo delle ragioni di libertà e di solidarietà naturale che pervadono anch'esse la logica di quell'istituto, e che, in positivo, valgono a mostrare nitidamente come le funzioni il cui svolgimento, in questo settore, spetta indiscutibilmente ai pubblici poteri, siano tutte collegate al ruolo di mediazione necessaria che ad essi evidentemente compete onde possa essere istituito il collegamento più robusto fra le ragioni della libertà e della solidarietà particolare e quelle dei valori di solidarietà generale.
    Sul piano più generale, per la teoria pubblicista, è del tutto chiaro che, comunque voglia costituzionalmente configurarsi il principio di solidarietà, come principio autonomo o come semplice risvolto dei doveri inderogabili di solidarietà esplicitamente previsti nella carta costituzionale, esso non può che essere fondato su una sintesi di libertà e di coercizione quale può essere realizzata imponendo a tutti doveri personali e patrimoniali di prestazione. Questi ultimi, infatti, come è noto, pur agendo in limitazione della libertà, tuttavia non si pongono affatto in antitesi teorica con essa, ma ne costituiscono piuttosto una condizione logica e assiologica di possibilità. D'altro canto il fondamento astratto della loro efficacia vincolante e dello stesso potere di imporli, viene, negli ordinamenti democratici, tradizionalmente rintracciato nel consenso originario, e periodicamente rinnovato, prestato dai soggetti passivi del dovere alle istituzioni rappresentative, dalla cui volontà formalizzata il dovere successivamente scaturisce. Nella specie, tuttavia, è vano il tentativo di configurare come dovere giuridico la donazione degli organi, sia per l'impossibilità di riferire il dovere alla persona defunta, sia, come già osservato, per il carattere manifestamente fittizio e solo astrattamente generale che avrebbe il porre a carico dei parenti della persona defunta il dovere di consentire al prelievo dei suoi organi.
    Se, dunque, per sua natura, il principio della solidarietà è misto di autorità e di libertà, anche per questa ragione deve escludersi che esso possa essere tradotto, all'interno dell'istituto dei trapianti d'organo, per mezzo di meccanismi di natura puramente autoritativa e coercitiva. Soluzioni coercitive si avrebbero qualora fossero adottate discipline che pretendessero di riservare ai pubblici poteri una potestà proprietaria sul corpo delle persone defunte, pari a quella spettante sulle cose non appartenenti ad alcuno: soluzioni autoritative si avrebbero qualora fossero adottate discipline che attribuissero, caso per caso, alle autorità sanitarie il potere discrezionale di sottrarre, in vista della destinazione al prelievo, i corpi di persone defunte alla cura dei loro parenti e alla naturale destinazione alla sepoltura. Le soluzioni del primo tipo sarebbero caratterizzate da un'evidente violazione dl principio di congruità - derivazione di quello di uguaglianza costituzionale - per l'indiscutibile sproporzione che introdurrebbero fra l'universalità della limitazione che sarebbe imposta e lo scopo, quantitativamente limitato, per il quale essa verrebbe imposta e da un rovesciamento palese del senso normativo dell'art. 32, 1° comma Cost., in quanto imporrebbero a tutela del diritto alla salute di una persona, limiti che colpirebbero l'interesse dell'intera collettività. Le soluzioni del secondo tipo sarebbero caratterizzate da una visibile violazione del principio di legalità per l'impossibilità istituzionale di indicare in forma astratta criteri di guida dell'esercizio del potere amministrativo di ablazione dei corpi inanimati sui quali praticare i prelievi. Comune a entrambe sarebbe, poi, lo squilibrio tra la natura della tecniche prescelte, corrispondente a una logica autoritativa e proprietaria che si sovrapporrebbe inevitabilmente alle esigenze di rispetto dovuto alle persone defunte e a quelle più vicine, loro sopravvissute, la quale connoterebbe effettivamente l'istituto, e lo scopo, umanitario e solidaristico, al quale nominalmente questo sarebbe rivolto. 


    6 - Prelievo di organi da bambino. 


    Nel contesto del problema generale - come in precedenza illustrato - vanno messe in evidenza le peculiarità che presenta il prelievo in età pediatrica e neonatale, sia per motivi tecnici che propriamente etici.
    Si tratta di convincimento maturato dall'esperienza. Questo conferma la necessità, nell'ambito dei prelievi da bambini inferiori a 5 anni, di usare particolare cautela per la difficoltà di cogliere con certezza e tempestivamente (e quindi utilmente a fine di trapianto) il momento del definitivo passaggio alla fase di coma irreversibile, e quindi di morte cerebrale.
    In proposito vanno tenute ben presenti le indicazioni contenute nel rapporto che gli esperti medici americani nel 1981 hanno indirizzato al Presidente della Commissione per lo studio dei problemi etici in medicina nella ricerca biomedica, nel quale, è stato precisato che "il cervello dei neonati e dei bambini presenta un aumentata resistenza al danno, essendo in grado di recuperare importanti funzioni anche dopo aver mostrato assenze di risposte all'esame neurologico per un periodo più lungo di quanto si riscontri negli adulti"; da cui deriva la conclusione - sempre formulata nel rapporto - che " i medici dovrebbero essere particolarmente cauti quando applicano i criteri neurologici per accertare la morte in bambini minori di 5 anni". 


    7 - Alcune conclusioni sui valori giuridici rilevanti. 


    Sulle considerazioni negative che si sono appena finite di svolgere, possono, senza forzature essere innestate alcune conclusioni.
    La prima è che una disciplina legislativa dei trapianti d'organo non può conseguire legalmente ed efficacemente lo scopo solidaristico che la motiva se non accetti ,senza riserve, di fondarsi sul riconoscimento di alcuni basilari principi: quello del rispetto della volontà, manifestata prima della morte, della persona defunta; quello del rispetto della sua dignità, anche dopo la morte, da parte di chiunque; quello della considerazione dei valori delle persone legate alla persona defunta da un legame di familiarità o di convivenza.
    La seconda è che non sembra accettabile, sulla base delle osservazioni proposte, una contrapposizione di principio tra discipline dei trapianti ispirate a principi individualistici e discipline ispirate a principi solidaristici; si potranno dare, nelle varie contingenze storiche, soluzioni legislative che attribuiranno, nella materia, ampiezza al dispiegamento dei diritti di libertà e solidarietà naturale, e diversamente dimensioneranno e accoglieranno il valore solidarietà generale, senza che mai divenga loro lecito, però, a pena di uscire dai limiti che identificano gli Stati democratico-liberali, ripudiare la sintesi necessaria degli uni e degli altri.
    La terza è che il ruolo dello Stato non potrà essere che di necessaria mediazione tra valori di libertà e valori di solidarietà, avviando, secondo quanto sarà ritenuto politicamente preferibile, l'esercizio della libertà sulla via degli scopi di solidarietà, a tal fine eventualmente avvalendosi di disposizioni per l'interpretazione autoritativa di quell'esercizio, ma rinunciando preliminarmente all'uso di qualsiasi strumento coercitivo di esso. 


    8 - Lineamenti dell'azione politico-amministrativa dei pubblici poteri. 


    Gli inquadramenti che sono proposti consentono, a questo punto, di venire, conclusivamente, con criterio di massima brevità, alla questione più nota che investe la disciplina giuridica dei trapianti d'organo, relativa alle azioni politico-amministrative che i pubblici poteri dovrebbero intraprendere, alle soluzioni normative che dovrebbero adottare per rendere operante e per orientare la funzione mediativa che loro si riconosce spettante.
    L'azione politica con più alto significato mediativo fra i valori ricordati è quella, che raccoglie vasti consensi, consistente nella predisposizione e attivazione di una pluralità di capillari strumenti informativi allo scopo di diffondere le conoscenze tecniche basilari relative ai trapianti d'organo, accrescere la consapevolezza del loro valore e combattere il pregiudizio relativo al carattere sperimentale dell'operazione di trapianto. L'informazione, che non dovrebbe assumere fastidiose vesti propagandistiche e unilaterali, ma dovrebbe essere condotta in modo da sollecitare e fronteggiare la curiosità informativa dei cittadini, dovrebbe avere quale suo necessario, complementare, oggetto, anche la trasmissione e diretta comunicazione di notizie relative ai centri italiani nei quali si pratica la terapia del trapianto, ai dati riguardanti la loro attività e le loro specializzazioni, alle statistiche dei successi e insuccessi conseguiti, alle équipes sanitarie operanti all'interno di ognuno, ai loro direttori, alla durata delle attese, alla qualità dell'organizzazione ospedaliera, etc. Così facendo si opererebbe in guisa da raccordare realisticamente le libertà civili agli obiettivi perseguiti dalle istituzioni sanitarie a presidio della salute quale "interesse della collettività", oltre che quale "fondamentale diritto dell'individuo".
    L'azione amministrativa dei pubblici poteri, a differenza di quella precedente, finalizzata all'irrobustimento e alla maturazione informata della libertà di scelta che a ognuno deve essere riconosciuta fra il prestare e il non prestare la propria disponibilità al prelievo degli organi dal proprio corpo inanimato, deve essere indirizzata direttamente alla cura degli interessi, pubblici o oggettivamente qualificati per l'inerenza a interessi di tal natura, la cui valenza è intrinsecamente solidaristica. Essi attengono al buon funzionamento del servizio ospedaliero in tutti i suoi aspetti organizzativi, tecnici, di selezione, preparazione e disciplina delle varie professionalità coinvolte. Sarebbe intrinsecamente contraddittoria, infatti, la condotta delle varie organizzazioni pubbliche, che una volta affermato il valore sociale delle operazioni di trapianto, non ponessero altrettanto impegno nel migliorare se stesse, sia, avvertendo, senza farsi paralizzare, le critiche più diffuse a vari aspetti del proprio funzionamento, che investono anche le complesse fasi in cui si articola l'operazione del trapianto d'organi, sia mostrando capacità di utilizzare quelle d'esse che individuano disfunzioni effettivamente esistenti, per modernizzare strutture e apparecchi e per civilizzare il sistema, spesso tanto carente, delle relazioni umane al proprio interno. 


    9 - Ipotesi per una disciplina normativa.


    Sul piano normativo, la responsabilità dei pubblici poteri riguarda, fra l'altro, la disputata disciplina del consenso al prelievo di organi destinati ad essere successivamente trapiantati. La disciplina, in questo caso, agisce su entrambi i valori, su quelli libertari e di solidarietà naturale e, in modo riflesso, anche su quelli di solidarietà generale, che essa potrà reciprocamente ordinare secondo concezioni diverse.

    Disciplina del consenso personale
    Al riguardo è noto, ormai, che il quadro delle risposte offerte dalle varie legislazioni risulta fortemente schematizzabile: ai poli opposti si collocano, da un lato le discipline che massimizzano il valore della prestazione personale del consenso al trapianto, di guisa che questo possa effettuarsi soltanto se una volontà che esplicitamente l'accetti sia stata legalmente manifestata; dall'altro quelle che (come la legge italiana attualmente in vigore), si fondano sul c.d. consenso presunto; interpretano, cioè, come volontà favorevole al futuro prelievo, salva la contraria volontà scritta dei suoi più stretti congiunti, il silenzio serbato in vita al riguardo dalla persona defunta. Intermedie fra queste due ipotesi sono quelle che, partendo dall'esistenza di una statuizione legislativa che fa obbligo ai cittadini che abbiano raggiunto un'età minima variabilmente fissata (16-18 anni o altra) di pronunciarsi in senso favorevole o sfavorevole quanto alla propria disponibilità al futuro prelievo degli organi, considerano l'eventuale inadempimento dell'obbligo (e, dunque, il silenzio), o come fattispecie di silenzio assenso, o, al contrario, come fattispecie di silenzio diniego.

    Disciplina del consenso familiare
    Schematizzazioni parallele possono essere rintracciate nei vari ordinamenti giuridici a proposito del ruolo riservato al consenso familiare.
    E' del tutto conforme alla logica della quale hanno voluto improntare l'istituto dei trapianti che gli ordinamenti nei quali il consenso personale e formalizzato è istituito a condizione legale della fattibilità dei prelievi, escludano di subordinarli ulteriormente all'acquisizione del consenso dei familiari, ammessi, comunque, a dare prova o testimonianza di esso.
    In posizione, almeno in linea di principio, simmetrica, si collocano quegli ordinamenti che vietano l'operazione di trapianto solo laddove sia stata manifestata in vita dal defunto opposizione scritta, aprendo con ciò la porta nello spazio restante, a prelievi fondati su generali e non qualificate presunzioni di consenso. In ordinamenti così fatti il ruolo dei poteri familiari dovrebbe assumere, se le Costituzioni non trascurino di tutelare il legame tra i singoli e le formazioni sociali in cui si svolge la loro personalità (e non sia constatabile una situazione sociale di diffusa disponibilità alla donazione degli organi), un'ampiezza inversamente parallela a quella accordata alla manifestazione personale del consenso, pur se esso dovrebbe essere, comunque, orientato al solo scopo di testimoniare o interpretare la volontà non espressa del defunto. In concreto, l'esame delle legislazioni positive, rivela, invece, un andamento fortemente divaricato e una concezione, il più delle volte, repressiva o deformata del ruolo di quei poteri. In taluni di essi, infatti, la minimizzazione dell'esigenza di verificare direttamente la volontà dei cittadini si completa, senza alcuna ragionevolezza storica, con presunzioni di consenso che escludono ogni influenza dei familiari nella decisone di trapianto; in tal'altri, al contrario, quelle presunzioni e la mancanza di mezzi per l'accertamento delle volontà personali, finiscono per attribuire alle famiglie un ruolo che non è solo di testimonianza e di interpretazione della volontà, non manifestata, della persona defunta, ma anche di una volontà familiare autonoma, efficace, non solo di fatto ma anche in principio, anche se non poggiata sulla volontà informalmente manifestata da quella persona.
    In ordinamenti caratterizzati dall'obbligo di informare personalmente tutti i cittadini, che abbiano raggiunto l'età convenzionalmente determinata dal legislatore, circa il loro obbligo di manifestare la propria posizione riguardo all'eventualità di un futuro prelievo di organo dal proprio cadavere, il problema del ruolo da accordare ai poteri familiari si affaccia e si conchiude tutto nell'ipotesi in cui i destinatari dell'obbligo si siano sottratti al suo rispetto. Sembra illogico, infatti, in tali ipotesi, interpretare il silenzio degli interessati come silenzio diniego, escludendo, di conseguenza, il ruolo dei familiari, perché, così facendo, andrebbe perduta la specificità del modello di disciplina qui discusso, che si rivelerebbe nient'altro che una variante formale del modello normativo ispirato al principio della necessità di condizionare i trapianti al consenso espresso dagli interessati. Il vuoto di risposta dovrebbe, dunque, essere riempito, collegando la mancata manifestazione di volontà della persona defunta, a suo tempo informata, a un suo non dissenso relativamente all'eventualità di un futuro prelievo, restando libero il legislatore che abbia indirizzato ai cittadini una così forte interpellanza, di valutare l'opportunità di associare o non associare a tale presunzione qualificata il potere dei più stretti congiunti o conviventi, di testimoniare o di interpretare in senso opposto a quello razionalmente presunto, tale, non manifestata volontà.

    Valutazioni delle varie ipotesi di disciplina giuridica complessiva
    Si tratta di risposte legislative al problema dell'acquisizione del consenso senza dubbio ordinabili, così come sono state appena descritte, secondo l'evidenza, via via meno forte, che rispettivamente accordano alla manifestazione personale di disponibilità al prelievo e che sembrano il frutto di quel potere di comporre scelte dei singoli e scelte presuntivamente operate in loro vece dalla legge, nel quale si materializzano i margini della funzione mediativa riconosciuta generalmente agli Stati dalle moderne costituzioni democratiche.
    Assai più controverso è valutare se ai diversi modelli di composizione delle scelte lasciate ai cittadini e di quelle riservate ai pubblici poteri nella materia dei trapianti d'organo, corrispondano, come sembra essere opinione diffusa, e ciò non di meno criticabile, altrettanti modelli di composizione di valori libertari e di valori solidaristici, ricalcati sul medesimo criterio di distribuzione delle scelte.
    Occorre, infatti, mostrare grande cautela sia nello schematizzare troppo rigidamente le valenze dei valori caratterizzati ciascuna delle risposte normative che possono essere offerte alla questione del consenso al futuro prelievo e i rapporti di mutua implicazione fra essi e le caratteristiche complessive degli ordinamenti giuridici di cui sono destinate a far parte, sia nell'automatizzare concettualmente gli effetti che il ricorso a ciascuna di quelle risposte potrebbe avere sulla pratica dei trapianti d'organo.
    Molto problematico è, per esempio, affermare che una disciplina più liberale e personalizzata del consenso al prelievo degli organi abbia senz'altro una valenza individualistica e che si addica di più a un ordinamento giuridico che debba ancora conseguire una piena stabilizzazione democratica, come contrappeso alla gracilità della sua tradizione libertaria, e una piena maturazione solidaristica, potendosi far notare in contrario l'esistenza di ordinamenti nei quali quel tipo di disciplina consente di far fronte alle esigenze di solidarietà che in tema di trapianti d'organo vi si manifestano e nei quali, d'altra parte, esso viene considerato riflesso necessario dell'esistenza di una consolidata storia di rispetto delle libertà civili e politiche e di una robusta coscienza dei vincoli di cittadinanza. D'altra parte, se non appare infondato sostenere che l'attribuzione ai pubblici poteri di penetranti poteri di determinazione delle situazioni nelle quali si può procedere al prelievo di organi dai cadaveri, può essere considerato segno dell'espansione dei valori di solidarietà, non meno fondato è sostenere che quell'ampiezza di attribuzioni corrisponde a una situazione di gracilità della cultura solidaristica, che quel modello autoritativo di disciplina serve precisamente a nascondere e compensare. Altrettanto problematica dovrebbe considerarsi la convinzione che all'introduzione di una disciplina liberale del consenso debbano automaticamente conseguire possibilità mano ampie di effettuare trapianti d'organo. Se quella conseguenza, infatti, fosse, senza dubbio, possibile, essa potrebbe, tuttavia, rivelarsi niente affatto verificata se l'ordinamento giuridico poggiasse su una coscienza sociale diffusa favorevole all'effettuazione dei trapianti d'organo, anche in virtù di un'azione condotta in tal senso dai pubblici poteri, e, parallelamente, su una diffusa ed esplicita disponibilità dei cittadini a consentire al futuro prelievo. 

    Conclusioni e proposte di formulazione legislativa
    Tenendo conto del significato elastico e variabile degli elementi che integrano la sua composizione, non sembra, dunque, possibile, sottoscrivere una gerarchia astratta dei modelli di disciplina proponibili relativamente all'istituto del consenso da prestarsi in relazione a operazioni di prelievo di organi, né, sempre sul piano astratto, sembra lecito indicare una linea di sviluppo che la disciplina presa in considerazione dovrebbe seguire nel proprio passaggio da uno stato di minorità ad uno stato di maturità.
    E' lecito, tuttavia, riaffermare che in un paese rispetto al quale non sia fondato sostenere che il ricorso legislativo all'istituto del consenso presunto trova la sua ragione nel rigoglio della cultura della solidarietà e nell'esistenza di un'antica tradizione libertaria, quel ricorso si rivela inevitabilmente come un mezzo per trovare un contrappeso alla difettività di quei valori sostanziali. La disciplina dei prelievi d'organo imperniata su di esso si imporrebbe, dunque, in una situazione come quella descritta, per ragioni legate a uno stato culturale e sanitario di necessità, piuttosto che per effetto di giustificazioni direttamente attinte ai valori che, secondo i principi, dovrebbero innervarla. Non si può, perciò, nascondersi l'eventualità che, molto verosimilmente, il ricorso a una disciplina di tal natura, nel mentre che possa giovare a conseguire i risultati che contingentemente le vengono assegnati, potrebbe, al contempo agire da aggravante delle ponderose ragioni negative che hanno indotto a ricorrervi.
    In un ambiente giuridico come quello descritto, rinunciando al proponimento di introdurre, velleitariamente e precipitosamente, un regime del consenso totalmente alternativo a quello fino ad oggi preferito dal legislatore, il Comitato ritiene che potrebbe risultare consigliabile la transizione verso un regime giuridico del consenso ai trapianti d'organo da cadavere, nel quale possano trovare riconoscimento più equilibrato le istanze della scelta personale di donare i propri organi e la presunzione qualificata della prestazione del consenso nei confronti di chi abbia taciuto, pur in presenza di un suo obbligo di esplicitare la sua volontà relativamente all'accettazione del prelievo.
    In questa nuova configurazione dell'istituzione dei trapianti d'organo da cadavere, nella quale sarebbe fortemente valorizzata la volontà manifestata dal defunto, il Comitato ritiene che sarebbe consigliabile sottrarre alla famiglia il lacerante compito di produrre ex abrupto una propria testimonianza o interpretazione della contrarietà della persona defunta relativamente al futuro trapianto, salvo che nell'ipotesi eccezionale in cui possa essere da parte sua esibita una documentazione scritta dell'interessato con la quale si oppone al trapianto. In via normale ad essa dovrebbe essere conferito, nel sistema che si suggerisce, soltanto un ruolo di garanzia del rispetto, da parte delle autorità sanitarie della manifestazione di volontà, esplicita o legalmente presunta, della persona estinta.
    E' del tutto evidente che la nuova impostazione della disciplina legislativa potrà dirsi in sintonia con i valori etici che vogliono sorreggerla solo nell'ipotesi in cui essa riesca a propagarsi socialmente in guisa tale da portare effettivamente l'obbligo che essa impone alla conoscenza e alla mediazione di tutti coloro che vi sarebbero formalmente sottoposti. Solo in questo caso essa costringerebbe tutti a misurarsi, più di quanto finora sia avvenuto, con i problemi posti dalla necessità di dare vita a una libera cultura della solidarietà, senza togliere, tuttavia, completamente, il paracadute autoritario delle presunzioni di consenso. 


    10 - Aspetti etici della questione dei trapianti d'organo. 


    Il quadro delle garanzie giuridiche precedentemente delineate rende possibile il costituirsi, nella sua autonomia, dello spazio per un approccio più propriamente etico, alle alternative poste dalle diverse situazioni collegate ai trapianti. Su quest'ultimo piano, si presenta infatti il problema di quale sia l'alternativa da privilegiare ed approvare da un punto di vista morale nelle situazioni in cui ci si trovi a dovere dare vita ad un prelievo o ad un trapianto.
    Pur riconoscendo la possibilità che diano modelli di comportamento diverso da fare valere, il Comitato ritiene di poter richiamare l'attenzione su alcune prerogative proprie di un'impostazione etica della discussione sui problemi dei trapianti.
    Un primo piano di analisi è quello che coinvolge particolarmente il personale sanitario che delibera sul ricorrere o meno ad un intervento di trapianto. A tale livello, ovviamente, valgono gli usuali criteri di valutazione dei rischi e delle probabilità di successo della linea terapeutica prescelta e in aggiunta sarà richiesta un'attenta valutazione del ricorso ai trapianti in alternativa ad altre procedure. Nel corso di questa valutazione le esigenze del malato dovranno essere considerate con assoluta priorità e dovranno essere tenute da parte sia idiosincrasie di ordine ideologico come considerazioni attinenti ad eventuali successi realizzabili in una competizione mossa esclusivamente dall'obiettivo di realizzare innovazioni sperimentali.
    Alcuni vincoli etici di massima possono essere indicati anche dalla prospettiva di un ricevente che voglia dare validità alle sue esigenze. Una richiesta eticamente del tutto legittima è da ritenersi - espressa o inespressa - quella di chi richiede un organo per un trapianto che si presenta come unica condizione di sopravvivenza o come unica via per rendere possibile una condizione di vita dignitosa in presenza di un'infermità grave (come ad esempio nel caso di malati di reni continuamente dializzati o altri casi analoghi). Minore cogenza da un punto di vista morale andrà riconosciuta a richieste mosse da meno impellenti interessi; in tali casi la valutazione andrà fatta contemperando i fattori in gioco con altre esigenze eventualmente presenti nel caso in esame.
    I principali problemi etici sorgono laddove si affrontano le alternative di fronte alle quali si trova ciascuna persona considerata o come potenziale donatore o come parente di defunto (o persona a lui collegata da una consuetudine di vita) che potrebbe essere sottoposto ad operazioni di prelievo. Prima di passare ad affrontare alcuni problemi più specifici il Comitato ritiene opportuno sottolineare che una scelta eticamente adeguata in generale potrà essere ottenuta in quanto la deliberazione sia conseguente ad un'attenta considerazione, da parte di ciascuno, della possibilità di ritrovarsi, non solo nella posizione di donatore o di parente di donatore, ma anche in quella di eventuale ricevente legittimato ad attendersi un organo. Un'opzione etica sulla donazione di organi non può infatti essere realizzata se non in quanto si sia stati capaci di immaginarsi anche nella posizione di colui che ha bisogno di ricevere un organo per poter sopravvivere o risolvere in modo tollerabile la grave malattia invalidante di cui soffre. Il Comitato auspica, quindi, che si diffonda la consapevolezza di come un'adeguata scelta etica sui problemi collegati al trapianto possa essere realizzata solo dopo che ciascuno, nella propria autonomia e in piena libertà, abbia bilanciato i differenti interessi coinvolti.
    Sulla base di questa sottolineatura il Comitato richiama alcune linee argomentative che possono essere fatte valere nel tentativo di risolvere l'impasto dei problemi morali legati ai trapianti. In primo luogo si potrà caratterizzare come moralmente super erogatoria (atto eticamente positivo anche se non obbligatorio ovvero come da non considerare in senso stretto un obbligo o dovere) una donazione di organo fatta da vivente (ovviamente si ha presente solo il caso in cui la donazione non sia chiaramente pericolosa per il donatore, perché - in tal caso - sarebbe discutibile considerare apprezzabile il gesto anche a livello super erogatorio). Un tale approccio consente, sia di valutare con la dovuta approvazione una donazione da vivente come di svuotare qualsiasi pretesa di considerarla un obbligo morale (ad esempio tra congiunti). Proprio una collocazione a livello super erogatorio della donazione di organi tra viventi rappresenta una linea etica da contrapporre a quelle concezioni che sembrano consentire ad una commercializzazione di organi. Una tale commercializzazione implicherebbe un generale collocarsi delle scelte e decisioni sui trapianti in una sfera di rapporti economici e non etici al cui interno non potrebbero non diffondersi soluzioni e pratiche distributive che non avrebbero nulla a che fare con quelle esigenze di parità, equità e giustizia che una prospettiva etica sui trapianti dovrebbe invece fare valere.
    Problemi etici del tutto peculiari si presentano laddove l'alternativa di fronte alla quale ci si trova è se consentire o meno ad un prelievo di organi dal proprio corpo dopo la morte. Per quanto riguarda la questione di quale sia l'opzione eticamente da preferire o da approvare, in questo caso non sembra dubbio che questa sia quella di assentire al prelievo del proprio cadavere, soluzione che può presentare tutte le ragioni e giustificazioni che caratterizzano un dovere e un obbligo morale. Ad ispirare tale opzione sul piano etico contribuisce appunto il ragionamento di bilanciamento degli interessi di cui si è detto e ciascuno dovrebbe divenire consapevole che l'alternativa è tra il conservare unito un organo al proprio cadavere - comunque avviato ad una putrefazione più o meno rapida - o mettere a disposizione questo organo per mantenere in vita un altro essere umano (con un ragionamento di reciprocità, tale posto potrà essere occupato anche proprio da sé stessi) o permettergli una vita ulteriore in condizioni dignitose.
    Fermo restando che il principio del libero consenso salvaguarda compiutamente le esigenze di rispetto dei diversi convincimenti e delle diverse opzioni etiche in merito, il Comitato concorda unanimemente nel ritenere - anche per i motivi sopra esposti - che si debba aderire ad un'etica che consideri doverosa la donazione post mortem e ne favorisca la diffusione.
    Tale opzione è, tra l'altro, pienamente congruente con una corretta interpretazione dei valori prescelti nella tradizione etica e religiosa del nostro paese. Il Comitato auspica inoltre che si realizzino varie forme di intervento pubblico volte a frugare immotivate paure - ad esempio legate a confusioni sulla morte cerebrale - che possano spingere ad un diniego alla donazione.
    Il Comitato ritiene anche che sia da auspicarsi - in quanto eticamente privilegiata - una situazione in cui i cittadini possano esprimere consapevolmente il loro assenso ad una donazione dei propri organi dopo la morte.
    Ritiene, dunque, che vada sollecitato un pronunciamento che possa favorire la crescita di questa capacità di affrontare da un punto di vista etico tutte le questioni collegate ai trapianti. Una volta posta la condizione nella quale tutti i cittadini possano esprimere la loro volontà a questo riguardo, potrà ritenersi sufficiente, per un eventuale prelievo, anche il fatto che manchi un'esplicita volontà in senso contrario. A favore dell'interpretare come una disposizione (propensione) alla donazione un'eventuale omissione nel pronunciamento richiesto, si possono considerare tutte le relazioni e gli scambi sociali che positivamente sono stati intrattenuti nel corso della sua vita dalla persona che ha mancato di pronunciarsi. La partecipazione alla trama di solidarietà costituita dai rapporti sociali può essere interpretata come un deciso assenso alla continuazione di rapporti solidaristici anche dopo la morte.
    Vanno, infine, delineate le questioni in gioco laddove si tratti di definire la propria soluzione etica nel caso in cui si occupi la posizione di familiare di defunto - o di persona a lui collegata da una consuetudine di vita - dal quale può realizzarsi un prelievo di un organo che può avere conseguenze fortemente beneficanti per un'altra persona viva. Vi è un caso semplice in cui noi siamo solamente chiamati a testimoniare qual'era la volontà espressa dal defunto in vita. Più complesso è il caso in cui, in mancanza di volontà da parte del defunto, si sia interpellati per esprimere il proprio atteggiamento nei confronti di un eventuale prelievo. Il Comitato ritiene che possa contribuire ad una più corretta impostazione dell'intreccio dei problemi in gioco affrontare questo caso guardando non tanto ai "diritti" che i parenti hanno sul cadavere del defunto, ma piuttosto agli indubbi doveri ed obblighi che ciascuno ha nei confronti del corpo della persona morta. Una volta messo in primo piano, non tanto "un diritto a disporre del cadavere del congiunto" quanto piuttosto "un dovere ed un obbligo morale di rispettarlo, onorarlo e dare ad esso un'adeguata sepoltura", si presentano chiaramente i vincoli al cui interno si potrà trovare la soluzione eticamente preferibile del caso del prelievo da un cadavere di un nostro congiunto.
    Gli obblighi e i doveri che abbiamo nei confronti del cadavere del nostro congiunto andranno bilanciati con gli obblighi e i doveri che abbiamo verso la persona viva che potrà essere salvata o messa in condizioni di vivere dignitosamente con un organo prelevato a quel cadavere, donando il quale ci si sottrae al dovere di dargli sepoltura e dagli altri obblighi, né si è limitati nel rivolgere le dovute onoranze al defunto. Il Comitato è d'altra parte consapevole di quanto sia difficoltoso percorrere in modo non emotivo tali bilanciamenti di doveri in una situazione così drammatica come quella conseguente alla morte di un proprio caro e auspica che - in attesa della diffusione di un costume meno timoroso - si trovino soluzioni pratiche che sappiano tenere conto della particolare complessità psicologica della situazione senza danneggiare o offendere alcuna delle esigenze in gioco. 

     
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