Alimentazione :Piccolo glossario

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    Piccolo glossario























    -Latte
    -Zucchero
    -Caloria
    -Lattosio
    -Fruttosio
    -Calcio
    -Diabete


    http://sanihelp.msn.it

    Edited by *Anima Ribelle* - 22/6/2005, 04:19
     
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  2. *Anima Ribelle*
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    latte

    liquido prodotto e secreto dalle ghiandole mammarie delle femmine dei mammiferi dopo la nascita dei piccoli.
    Qualità nutrizionali
    Il latte è un alimento di eccezionale importanza in quanto è il solo adatto a nutrire i mammiferi nel primo stadio della loro vita. È un alimento completo: contiene, in quantità proporzionalmente ottimali, tutti i principali elementi nutritivi indispensabili all’organismo umano, e quindi è particolarmente importante per un organismo in crescita e lungo tutta la vita. Il latte si presenta come liquido opaco, di colore bianco-giallastro per la presenza di piccolissime goccioline di grasso, con odore tipico, di sapore dolciastro. Il latte di vacca è costituito da acqua (88%), da zuccheri (4,8%), rappresentati principalmente dal lattosio (che è lo zucchero caratteristico del latte), da grassi (3,5%), rappresentati da trigliceridi, fosfolipidi e colesterolo, e da proteine (3,5%) rappresentate da caseina, lattoalbumina e lattoglobulina; inoltre il 7% è costituito da sali minerali, in particolare di calcio e di fosforo, e da numerose
    vitamine, come quelle del gruppo B, C, A, K, D, e PP. Il latte alimentare può essere intero (contenuto minimo di grasso 3%), parzialmente scremato (grasso massimo 1,8%), scremato o magro (grasso non superiore allo 0,5%).


    Digeribilità del latte
    Il latte di vacca differisce da quello di donna per diversi aspetti: maggior contenuto di
    caseina nel latte di vacca rispetto a quello di donna: questo fatto è molto importante ai fini della digestione, perché la caseina forma nello stomaco un coagulo piuttosto compatto, mentre la lattoalbumina (contenuta in quantità maggiore nel latte di donna) forma un precipitato fioccoso più digeribile; il latte di donna, più povero di calcio e di fosforo rispetto a quello di vacca, è però più ricco di oligoelementi (rame, zinco, ferro); l’enzima lisozima è più rappresentato nel latte di donna, e è importante perché sembra difendere l’organismo dalle infezioni e influire sulla flora intestinale; il latte di vacca risulta più povero quanto a vitamine C, A e E, e a zuccheri (lattosio); il latte di donna infine è più ricco di acidi grassi polinsaturi. I grassi del latte sono facilmente digeribili in quanto le loro particelle sono molto piccole; le proteine contengono, in rapporti ottimali, tutti gli aminoacidi essenziali (cioè indispensabili all’organismo); le globuline hanno proprietà immunitarie, protettive contro le infezioni. Il lattosio presente nel latte può provocare, se non viene demolito in molecole più semplici, disturbi digestivi e nutrizionali. Tale scissione viene provocata da un enzima (lattasi), che si trova nell’intestino tenue e che può venire a mancare, per cause congenite o perché, se il latte non viene continuamente introdotto con l’alimentazione, l’enzima non viene più prodotto. Un adulto che abbia smesso di bere latte per un periodo di tempo prolungato, non è più in grado di produrre questo enzima in quantità sufficiente, e quindi l’assunzione occasionale di una discreta quantità di latte (per esempio, un bicchiere) può provocargli disturbi a livello intestinale (diarrea, meteorismo): a questo inconveniente si può ovviare introducendo nell’alimentazione piccole e man mano crescenti quantità di latte, fino al completo ripristino del corredo enzimatico.


    L’apporto di sali minerali e vitamine
    Per quanto riguarda i sali minerali, il latte è una delle fonti principali di calcio e fosforo, e quindi è molto utile nel periodo di accrescimento e nei casi in cui è necessario aumentare l’introito di questi sali (per esempio, nell’
    osteoporosi). Le vitamine rappresentano un pregio esclusivo del latte intero, perché quello scremato viene privato delle vitamine liposolubili (A, D, E, K). Il latte è dunque un alimento relativamente completo, fatta eccezione per il contenuto di ferro, di cui è carente. Il latte non deve essere bollito, in quanto il calore eccessivo degrada le proteine e distrugge le vitamine; inoltre il calore porta alla formazione di una pellicola superficiale e di un deposito sul fondo del recipiente, i quali fanno perdere entrambi il 20% dei grassi, del calcio e delle proteine.


    L’intolleranza al latte
    È la conseguenza di un alterato assorbimento del lattosio e è caratterizzata da diarrea con feci liquide e schiumose, talora emesse a spruzzo, di odore acre, con pH acido e presenza di disaccaridi o monosaccaridi evidenziabili. L’assorbimento del lattosio avviene a livello dei villi intestinali, dove è scisso dalla lattasi in glucosio e galattosio. Se mancano la lattasi o la proteina trasportatrice, il lattosio o i suoi derivati si accumulano nel lume intestinale, dove per meccanismo osmotico sono richiamati acqua ed elettroliti in quantità tale che non possono essere riassorbiti dal colon e provocano diarrea. Vi sono diverse forme di intolleranza al lattosio. La più frequente è la forma conseguente a gastroenteriti virali o batteriche della prima infanzia, o a malattie gastroenteriche croniche (morbo celiaco ecc.), per cui l’epitelio intestinale danneggiato non è più in grado di produrre lattasi. La terapia prevede: abolizione del latte dalla dieta per 1-3 settimane se l’intolleranza è conseguente a gastroenterite, per alcuni mesi se a morbo celiaco. Forma più rara è il deficit congenito di lattasi, le cui manifestazioni iniziano dalla prima poppata: l’astensione dai cibi contenenti lattosio dovrà protrarsi per tutta la vita. Vi è una terza forma, ereditata con meccanismo autosomico recessivo, in cui la lattasi è parzialmente alterata. La sintomatologia inizia dopo il 2°-3° anno di vita con disturbi gastrointestinali e diarrea dopo ogni ingestione di latte. È una forma particolarmente frequente in alcune popolazioni dell’Africa, dell’Est Asiatico, dell’India e del Mediterraneo. La terapia è analoga alla precedente. Forma a sé stante è l’intolleranza al latte vaccino caratteristica dei primi mesi di vita in seguito a una reazione immunoallergica. Le manifestazioni possono interessare vari apparati: cutaneo (eczema), respiratorio (
    rinite, asma), gastroenterico (intolleranza digestiva acuta con vomito, diarrea liquida o mucosa o muco-emorragica e dolori addominali che compaiono 1-2 ore dopo l’ingestione del latte; intolleranza digestiva cronica, con diarrea mucosa, oppure solo anemia sideropenica o malassorbimento). La terapia richiede assoluta astensione da qualsiasi cibo contenente latte vaccino sino al 12°-13° mese.


    Percorsi correlati:
    Alimentazione 
    Pediatria

    Approfondimenti:











      Latte di vacca e latte materno.





    Edited by *Anima Ribelle* - 22/6/2005, 04:17
     
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  3. *Anima Ribelle*
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    zùcchero

    termine con cui si indica commercialmente il saccarosio, disaccaride costituito dall’unione di una molecola di glucosio con una di fruttosio. Lo zùcchero viene prodotto dalla canna da zùcchero o dalla barbabietola da zùcchero. Grezzo, si presenta in masse cristalline, di colore giallo bruno; sottoposto a processi di raffinazione e decolorazione, diventa alla fine lo zùcchero bianco, cristallino, raffinato. Lo zùcchero è un alimento essenzialmente energetico (4 kcal per grammo, come gli altri carboidrati), privo di funzioni plastiche o protettive: perciò è indicato nelle circostanze che richiedono un apporto di energia prontamente utilizzabile (per esempio, nella pratica sportiva); in tutti gli altri casi non è consigliabile superare il 5% delle calorie totali giornaliere, pari a circa 25 g di zùcchero visibile al giorno. Occorre limitare il consumo di zùcchero, ritenuto corresponsabile di alcune malattie come l’ obesità, il diabete mellito non insulinodipendente, la carie dentaria e l’ aterosclerosi. È tuttavia importante specificare che non è dannoso lo zùcchero in sé, ma un suo uso continuo ed eccessivo, tenendo presente che lo zùcchero ingerito non è solo quello visibile, aggiunto alle bevande, ma anche quello contenuto nei vari dolciumi (zùccheri nascosti).
     
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  4. *Anima Ribelle*
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    calorìa

    quantità di energia necessaria per innalzare la temperatura di 1 g d’acqua distillata da 14,5 a 15,5 gradi. In fisiologia è impiegata come unità di misura della quantità di energia utilizzabile contenuta negli alimenti: tale energia può essere misurata bruciando le sostanze alimentari in presenza di ossigeno, per mezzo di un calorimetro. Il Sistema Internazionale impiega come unità di misura dell’energia il Joule (J): per passare da un’unità di misura a un’altra si usano i seguenti fattori di conversione: 1 caloria (cal) = 4,2 Joule, 1 Joule = 0,24 calorie. In campo nutrizionale si impiega nell’uso corrente un multiplo della caloria, cioè la chilocaloria (kcal, cioè mille calorie); ugualmente si fa con il Joule, utilizzando il chiloJoule (kJ). Le calorie fornite dalla metabolizzazione delle proteine, dei lipidi (grassi), dei glicidi (zuccheri) contenuti negli alimenti sono: 1 g di proteine fornisce 4 kcal, 1 g di lipidi 9 kcal, 1 g di glidici 4 kcal. Per il valore calorico dei singoli cibi, vedi alimenti, diete dimagranti.


    Percorsi correlati:
    Alimentazione 
    Metabolismo
     
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  5. *Anima Ribelle*
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    lattosio

    disaccaride (zucchero formato da due molecole elementari) costituito da glucosio e galattosio, contenuto principalmente nel latte dei mammiferi (specie umana compresa); il latte di vacca ne contiene circa il 5%. Il lattosio per essere assorbito deve essere scisso nei due zuccheri semplici che lo compongono, galattosio e glucosio: l’enzima che permette questa scissione è la lattasi, presente nelle cellule intestinali. L’attività di questo enzima è particolarmente intensa alla nascita (quando l’alimentazione è esclusivamente lattea), poi decresce, fino a scomparire in persone che non consumano latte o lo consumano saltuariamente. Questo processo dipende dal fatto che la lattasi, come altri enzimi gastrointestinali, viene prodotta solo se si introduce nell’alimentazione la sostanza che l’enzima deve demolire, cioè il latte: è dunque possibile riattivare la produzione di lattasi consumando regolarmente il latte.
     
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  6. *Anima Ribelle*
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    fruttòsio

    (o levulosio), carboidrato diffusissimo nei vegetali, libero o legato a una molecola di glucosio a formare il saccarosio, il comune zucchero di canna e di bietola. Il fruttòsio viene utilizzato dai tessuti per la sintesi di ATP e per la produzione di energia: una volta assorbito dall’intestino, il fruttòsio presente negli alimenti viene fosforilato da un enzima contenuto nel fegato, nel rene, nella mucosa intestinale e nei muscoli. Il composto che ne deriva viene a sua volta scisso in gliceraldeide e diidrossiacetone-fosfato, che sono due importanti metaboliti intermedi della glicolisi.
     
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  7. *Anima Ribelle*
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    calcio

    elemento chimico che svolge nell’organismo varie e importanti funzioni: entra nella composizione delle ossa e dei denti, partecipa ai meccanismi della coagulazione del sangue, permette gli scambi di materiali attraverso la membrana delle cellule. Inoltre ha un ruolo primario nei processi di contrazione della muscolatura liscia e striata e del miocardio e prende parte, come cofattore, a numerose reazioni enzimatiche. Lo scheletro umano contiene 1000-1200 g di calcio; la sua percentuale media nel sangue è di 9-10 mg per 100 millilitri; tale quantità è in parte legata all’albumina plasmatica, in parte è libera come ione calcio o in forma non ionizzata. Nelle ossa il calcio è presente sotto forma di carbonato e di idrossiapatite. Questi sali formano depositi insolubili che tuttavia l’organismo può utilizzare all’occorrenza; a tal fine essi vengono rimossi dalle ossa e solubilizzati nel sangue attraverso meccanismi ormonali ( paratormone), oppure con piccole variazioni del pH, cioè della concentrazione idrogenionica, dei fluidi circolanti. L’individuo adulto assume giornalmente con gli alimenti 500-800 mg di calcio, come complesso calcioproteico o come sali di acidi organici. L’apporto di calcio da parte dei sali inorganici (fosfati, carbonati, bicarbonati ecc.) è invece di scarsa importanza in quanto tali sali figurano negli alimenti in quantità molto modeste. L’ assorbimento intestinale del calcio è favorito dalla vitamina D e dai sali biliari, mentre è inibito dall’acido ossalico e dall’acido fitico. Questi acidi possono alterare sensibilmente il bilancio calcico dell’organismo specie se, accanto a un ridotto apporto di calcio alimentare, vengono introdotte forti quantità di verdure ricche di ossalati (spinaci, crescione, barbabietole, pomodori ecc.) oppure cereali o farine integrali di grano, orzo, avena, mais, che contengono molto acido fitico. L’escrezione del calcio avviene per via intestinale e urinaria, in gran parte sotto forma di ossalato. In normali condizioni fisiologiche il bilancio calcico è in equilibrio, poiché la quantità introdotta giornalmente è pari a quella eliminata. Ciò si osserva, entro certi limiti, anche con l’assunzione di diete ipocalciche, in quanto l’organismo può normalizzare il bilancio attraverso la mobilizzazione di adeguate riserve ossee. Nell’infanzia invece le quote introdotte devono superare in buona misura quelle eliminate per assicurare la normale mineralizzazione dello scheletro: tra il 3° e il 13° anno di vita vengono trattenuti giornalmente circa 10 mg/kg di peso corporeo di calcio; tale fenomeno (calciopessia), attuato con l’intervento della vitamina D, è fondamentale ai fini dell’accrescimento. Un aumento del fabbisogno di calcio dell’organismo si osserva anche durante la gravidanza e l’allattamento.

     
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  8. *Anima Ribelle*
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    diabete

    termine che nel linguaggio comune indica il diabete mellito.


    Percorsi correlati:
    Endocrinologia 
    Metabolismo 
    Malattie Endocrinologiche 
    Malattie Metaboliche


     


    diabete mellito

    malattia del ricambio caratterizzata da alterazione del metabolismo dei carboidrati. Il paziente diabetico, per una carenza assoluta o relativa di insulina, non riesce a utilizzare gli zuccheri; pertanto questi restano in circolo e determinano un aumento della glicemia. Il diabete mellito si riconosce per la cronica iperglicemia, spesso accompagnata da polidipsia (aumento della sete), poliuria (aumento della quantità di urine), perdita di peso, obnubilamento del sensorio, che conducono, in assenza di adeguata terapia, al coma e alla morte.


     


     



    Le differenti forme di diabete mellito
    L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha proposto nel 1985 una classificazione del diabete mellito, che è attualmente in uso in tutto il mondo. Essa comprende alcune classi cliniche e alcune condizioni considerate a rischio statistico per il diabete mellito. Tra le classi cliniche vi sono: IDDM o di tipo 1 (diabete mellito insulino-dipendente), caratterizzato da un esordio generalmente brusco e grave, spesso come conseguenza di una malattia infettiva stagionale, che compare in soggetti giovani o in bambini, e necessita di terapia insulinica; NIDDM (diabete mellito non insulino-dipendente) o di tipo 2, che si presenta invece con esordio graduale e in genere colpisce soggetti di media età, spesso
    obesi, i quali nella maggior parte dei casi hanno dei diabetici tra i parenti di primo grado; diabete mellito collegato alla malnutrizione, presente esclusivamente nei paesi sottosviluppati, pare per diretto danno pancreatico; altre condizioni o sindromi in cui il diabete mellito si associa a malattie del pancreas, malattie di origine ormonale, condizioni indotte da farmaci o sostanze chimiche, anormalità dell’insulina o dei suoi recettori, o sindromi genetiche. Tra le condizioni cliniche in cui si osserva un’alterazione del metabolismo glicidico, sono state inserite inoltre: la ridotta tolleranza glicidica, situazione caratterizzata da iperglicemia lieve, spesso presente in individui obesi, che generalmente si normalizza con il recupero del peso ideale; il diabete mellito gestazionale, con iperglicemia che compare in gravidanza e può regredire dopo il parto, costituendo pur sempre un elemento di rischio per sviluppo successivo di diabete mellito. Tra le classi di rischio statistico vanno considerati i soggetti con normale tolleranza glicidica, ma aumentato rischio di sviluppare il diabete mellito: si tratta di soggetti che in passato abbiano avuto diagnosi di diabete mellito o ridotta tolleranza glicidica; gemelli monozigoti di pazienti diabetici; parenti di primo grado di pazienti malati di diabete mellito non insulino-dipendente; persone obese; madri di neonati di peso superiore ai 4,5 kg.


     


    Quadro clinico e terapia
    Il diabete mellito è caratteristicamente una malattia che in tempi lunghi può compromettere la retina, il rene, i nervi periferici e comportare un aggravamento della patologia
    arteriosclerotica cardiaca dei vasi, degli arti e del sistema nervoso centrale. Tra le cause, molteplici e non del tutto chiarite, concorrono fattori ereditari, genetici, ambientali, immunologici, interferenze ormonali e fenomeni acquisiti. Per quanto riguarda la diagnosi di diabete mellito, a volte evidente a volte molto difficile, generalmente è considerato sufficiente eseguire due misurazioni della glicemia a digiuno, che confermeranno la diagnosi qualora evidenzino valori di glicemia superiori a 140 mg per dl in entrambi i casi. La terapia del diabete mellito, se seguita scrupolosamente, consente di ottenere un perfetto compenso glicidico e quindi di evitare la comparsa delle complicazioni che costituiscono il maggiore problema per il paziente: fondamentale è la terapia dietetica, che a seconda del quadro clinico può essere sufficiente da sola, oppure essere associata a farmaci antidiabetici (ipoglicemizzanti orali o insulina). La prescrizione dietetica deve essere seguita scrupolosamente, in particolare per quanto riguarda le restrizioni che comprendono zucchero, dolciumi in genere, gelati, bevande gasate artificiali, vini dolci e liquorosi e sciroppi. Importante è, poi, un adeguamento della quantità dei cibi consumati alle reali necessità dell’organismo in modo da evitare il sovrappeso. Per questo è necessario pesare per un certo tempo gli alimenti in modo da stabilire con precisione il volume delle razioni consentite. Per un miglior controllo della stabilità della glicemia, fondamentale è inoltre la suddivisione degli alimenti in tre o quattro pasti evitando pasti eccessivamente ricchi e altri troppo poveri. Le bevande alcoliche sono consentite in modica misura solo sotto il diretto controllo del medico. Gravi deroghe alla prescrizione dietetica possono essere, specie se ripetute, alla base di scompensi della malattia che possono portare al coma diabetico o al coma ipoglicemico. Il diabete può scompensarsi anche in seguito a malattie infettive o terapie cortisoniche. Per il primo soccorso in caso di coma ipoglicemico o iperglicemico vedi emergenza nel soggetto diabetico .

     
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